Fucilati, ma solo nel film di Rosi di B. V.
Gli «Uomini contro» furono assolti Gli «Uomini contro» furono assolti Fucilati, ma solo nel film di Rosi I L regista Francesco Rosi e Emilio Lussu si sono sbagliati. Il famoso episodio degli ufficiali della Brigata Sassari, condannati a morte per insubordinazione dopo aver ucciso un superiore, è frutto di fantasia. Nella realtà le cose andarono diversamente. Il tribunale militare interpretò la sentenza con rara sensibilità e assolse gli imputati «perché il fatto non costituisce reato». La notizia riemerge dagli archivi dei tribunali militari (dopo quasi ottant'anni) grazie a un articolo del settimanale diocesano di Padova La difesa del Popolo, ripreso ieri dal quotidiano Avvenire (con un servizio di Antonella Mariani). «Conosco già questa storia e le carte del tribunale di Graziani - dice lo scrittore Mario Rigoni Stern -. E' uno dei rari esempi di sentenza "illuminata" pronunciata da un tribunale militare in tempo di guerra, di solito più propenso a punire. Ma dietro il caso c'è un risvolto politico. La Sassari era una brigata leggendaria, eroica. Non avrebbero potuto fucilare degli ufficiali senza incrinarne l'aura. Fu un verdetto complesso e sofferto, so che fu molto laboriosa la ricerca dei testimoni per dimostrare che il maggiore era davvero matto». Il drammatico episodio accadde in un ordinario pomeriggio d'orrore, il 10 giugno 1917, sull'altipiano di Asiago. Un gruppo di soldati italiani, ricoverati in una grotta, fu bersagliato per errore dalle artiglierie amiche. Esplose il panico, la truppa cercò di fuggire, nonostante gli ordini contrari del maggiore. Il comandante, pazzo di rabbia, volle punire i colpevoli dell'indisciplina e ne ordinò la fucilazione; ma altri ufficiali si opposero e dopo una violenta diatriba ordinarono al plotone d'esecuzione di far fuoco sul superiore. Emilio Lussu ricorda l'episodio nel suo Un anno sull'altipiano, descrivendo i tre ribelli (un capitano, un tenente e un sottotenente), deferiti al tribunale militare: «Passarono in mezzo al mio battaglione. I soldati si levarono, sull'attenti, e salutarono». Il racconto si fermava qui, lasciando i tre «colpevoli» in marcia verso una probabile punizione esemplare. Francesco Rosi, che dal libro di Lussu trasse il film Uomini contro, forzò la conclusione in chiave più drammatica. Gli insubordinati venivano fucilati, e «il tenente» Gian Maria Volontà, carico di coscienza di classe, moriva inneggiando alla ribellione. Ma questa terribile fucilazione non avvenne mai. I cinque imputati (nell'Anno sull'altipiano, erano solo tre): il capitano Mario Mariani, i caporali maggiori Luigi Speranza e Francesco Cardi, il tenente Flavio Salis e il capitano Pasquale Fior (nella memoria di Lussu si chiamava Fiorelli), accusati di aver provocato la morte del maggiore Marchese (nel libro Melchiorri), furono «assolti» dal Tribunale Speciale di guerra del 22° corpo d'armata, a Vicenza, il 4 giugno 1918. Nel collegio sedeva anche il tenente colonnello Rodolfo Graziani. Si stabilì che il superiore era stato ucciso per «respingere da sé o da altri una violenza attuale e ingiusta». Una sentenza sorprendentemente «giusta» per la violenza dei tempi che restituiva valore alla «coscienza» individuale nel macello della guerra di trincea. Francesco Rosi, intervistato dalla giornalista di Avvenire, colpito dalla rivelazione storica, ha detto: «Mi sono attenuto al racconto eh Lussu e sono certo che lo scrittore non conoscesse l'esito vero della vicenda». E se avesse conosciuto il verdetto equo, avrebbe modificato il finale del suo film? «Non avrei cambiato nulla. Era un film sullo spirito del libro di Lussu, voleva mettere in evidenza le cose che mi avevano impressionato: le differenze di classe tra ufficiali superiori e inferiori,'tra ufficiali e soldati, la discussione sul codice militare». [b. v.]
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