Scalfaro: pieno accordo con Dini di Renato Rizzo

Scalfaro: pieno accordo con Pini IL CASO LA GUERRA E IL QUIRINALE Scalfaro: pieno accordo con Pini «Non ho mai detto che è necessario sparare» BUENOS AIRES DAL NOSTRO INVIATO C'è una notevole differenza tra il non rimanere impassibili di fronte ad una tragedia e il portare immediatamente la mano alla pistola. Oscar Luigi Scalfaro, nell'ultima giornata della sua visita in Argentina, si scrolla di dosso, con un fastidio non dissimulato, l'etichetta di interventista: «Il mio invito a non stare soltanto a guardare quel che accade in Bosnia non voleva dire: è necessario sparare». Una marcia indietro? Un adeguamento alla prudenza di un governo che ha dimostrato di credere più alla diplomazia che alle spedizioni militari? No, risponde con forza il Presidente: l'accordo con Dini è sempre stato totale, l'armonia tra Quirinale ed esecutivo non ha mai avuto una stonatura. «Le polemiche sono chiuse». L'Italia, in altre parole, non si è mai trovata di fronte al bivio. Ma certo, oggi, la decisione di non decidere assunta dall'esecutivo assume i contorni, se non di uno scacco al Presidente, almeno di una forte divaricazione. Il fantasma della Bosnia riempie la sala delle conferenze e dell'Hotel Alvear dove Scalfaro incontra i giornalisti: stringe in un angolo anche la rabbia e le speranze degli italiani d'Argentina che chiedono voto e pensioni, confina in una sola battuta pure un altro spettro scomodo che ha il volto segnato e lo sguardo ardente di Erich Priebke, l'ufficiale nazista delle Fosse Ardeatine agli arresti domiciliari in questo Paese. Presidente, il Consiglio dei ministri ha ancora rinviato ogni scelta sulla tragedia che si consuma oltre Adriatico. Lei è d'accordo? «Condivido totalmente, come sempre, l'impostazione data dall'esecutivo. Anche da qui, ogni giorno e più volte al giorno, ho parlato al telefono con Dini. E si è dichiarato d'accordo con me, con quanto ho detto io. Le avete letto il suo comunicato?». Bene, registriamo. Vorrà dire che la gran parte delle forze politiche e dei mass media avevano capito il contrario. Ma, allora, lei crede che tutto sia nato da cattiva volontà o che dipenda, invece, dai rischi di quella «supplenza al governo» che le contestano? «Ci vuole un po' di pazienza». Scusi? «Sì, pazienza da parte vostra. Guardate, la dichiarazione del premier non consente interrogativi. Quando uno dice che "Non si può stare a guardare", mi pare strano che subito si pensi solo alle armi e si escluda ogni altra strada». Se l'intervento militare non era nei suoi pensieri, che cosa intendeva? Quali sono, per lei, le altre possibili opzioni? «Queste sono decisioni che verranno prese al momento opportuno con gli alleati. E ciò chiude il discorso». Ma in Italia c'è chi, in queste ore, sostiene che il rinvio delle scelte derivi dalle pressioni dei vertici militari; giudicherebbero le nostre forze di terra impreparate all'intervento. «Non mi risulta nulla di questo. Non posso, però, escluderlo. Da qui sono in grado solo di rispondere: non ne so niente». In Venezia Giulia qualcuno afferma che sarebbe ingiusto ((spargere sangue italiano per salvare chi ci strappò l'Istria e fece pulizia etnica con le foibe». «Non si può presentare la storia in questo modo. Dobbiamo ricordarci, con umiltà, che la guerra l'abbiamo incominciala noi, da aggressori, al fianco dei tedeschi. Non possiamo ora spacciarci per aggrediti». Cambiamo tema: in questa visita argentina, lei e il presidente Menem avete parlato di Priebke? «No, nessuno, qui, ha toccato il caso. So, comunque, che in Italia se ne stanno occupando da tempo». E la questione dei desaparecidos? Neppure di quello avete parlato? Lei pensa che l'Argentina voglia far chiarezza sul suo passato? «Sì, di questo ho parlato con il Presidente, ho affermato dei principi, ma con la delicatezza che ci vuole ?!J nel trattare con un Stato amico». E i desapa- recidos italiani? «Di ciò si sta occupando la magistratura del nostro Paese che è autonoma ed indipendente. I politici, al massimo, possono far presente l'urgenza della questione». Non parla di politica interna, per una volta, il Capo dello Stato. L'unica battuta la regala di fronte a un gruppo di industriali. Esordisce criticando l'atteggiamento di certe scelte economiche nell'Italia del dopoguerra dove si visse «un innamoramento per gli interventi dello Stato con l'ubriacatura di alcuni operatori economici, anche di origine cattolica, presi dall'andazzo dei tempi». Renato Rizzo Scalfaro con il presidente argentino Menem. Sopra, il ministro degli Esteri Susanna Agnelli

Luoghi citati: Argentina, Buenos Aires, Istria, Italia, Venezia Giulia