Sangue italiano sul Tour de France

Il corridore, 25 anni, ha battuto la testa contro un blocco di cemento Il corridore, 25 anni, ha battuto la testa contro un blocco di cemento Sangue italiano sul Tour de Fraine Casartelli cade in discesa e si schianta ai 90 l'ora TARBES DAL NOSTRO INVIATO Sulla strada che conduce all'Aspiri una delle vette storiche del Tour, la folla delira per la fuga solitaria di un corridore francese. Sono le ore 14,40 di un giorno caldo, pieno di sole. Le radio delle auto ammiraglie interrompono il racconto della corsa, annunciano - sono notizie spezzate, confuse, corrette e ricorrette che il corridore italiano Fabio Casartelli è morto all'ospedale di Tarbes. Tarbes, una piccola città a pochi chilometri da Lourdes, accovacciata sotto il verde dei Pirenei. Fabio Casartelli cade scendendo dal Col d'Aspet, la prima montagna della grande tappa pirenaica. La corsa è appena al trentaquattresimo chilometro. Una curva non stretta ma lunga l'inghiotte. Casartelli non riesce a «chiuderla», ci si è versato dentro a novanta chilometri all'ora, la bicicletta disegna, indomabile, un semicerchio, si trasforma in una fionda che ti spara via. Non c'è un parapetto continuo. Il bordo destro della carreggiata è punteggiato di basse piramidi tronche di cemento, unica barriera oltre alla quale si precipita nel bosco. Contro uno di quei cippi si abbatte Casartelli. Non porta il casco, ma gli sarebbe servito? Sì, no, sì, no, si può andare avanti fino a domani. La fronte gli si sfonda nel terribile impatto. Un fiotto di sangue dalla bocca. E' una ricostruzione fatta nell'angoscia, sorretta con i brandelli di immagini che qualche compagno di Fabio, fotografi e cameramen ci restituiscono atterriti. Da una chiazza rossa che si spande sull'asfalto si dirama lento il sangue seguendo l'inclinazione della strada. Altri quattro corridori, il belga Museeuw, il tedesco Baldinger, il francese Rezze e il nostro Perini sbandano, s'impennano, davanti all'ostacolo del corpo di Casartelli. Rezze s'incunea tra due salvagente, rotola nella scarpata, lo tirantfsu con le funi. Baldinger ha un osso che sporge dal bacino, è appiattito nel sangue di Casartelli. Un'ambulanza, raccoglie lui e Rezze; Perini, ferito (lo porteranno in ospedale dopo il traguardo) e Museeuw si rialzano, proseguono. La coda del Tour sfila senza sapere, annebbiata dalla fatica, rasenta l'attonito drappello di «suiveurs» che s'è formato attorno a Casartelli, una figura immobile, acciambellata come nel sonno, fasciata nella maglia colorata della Motorola, il braccio destro disteso, la parte sinistra del viso rigata di ferite. L'ammiraglia della Polti, la squadra di Baldinger, con il direttore sportivo Stanga, è una delle prime a bloccarsi. I soccorsi sono rapidi. Parte l'ordine all'elicottero del pronto intervento: presto, presto, presto, un corridore è gravissimo. In volo verso l'ospedale di Tarbes, il cuore di Casartelli si ferma tre volte e per tre volte, con il massaggio cardiaco, il dottor Nicolet, medico del Tour, riannoda un esiguo filo di speranza. All'ospedale di Tarbes, nella sala di rianimazione, due nuovi, disperati, inutili tentativi di salvarlo. Fabio è spirato. Il 16 luglio era stata la sua festa: 25 anni. Aveva detto ai compagni di squadra: «Vedete quant'è generoso il destino, brindo lo stesso giorno in cui brinda Indurain che compie 31 anni». Il Tour non si ferma, nessuna grande corsa s'è mai fermata, e figuriamoci la massima competizione ciclistica del mondo con tutti i miliardi che gli girano tra le ruote. Chi lo ferma il Tour, la morte di un gregario? Chi sostiene che l'aver consentito lo svolgimento «normale» della tappa sia stato un atto di freddo cinismo, un'offesa al cuore della gara, venga qui a batterci sopra il pugno a questo cuore, sentirà marmo contro le nocche. Il cuore 'della corsa s'annida nella sua esigenza di spettacolo, non nel petto della maglia gialla e dei suoi antagonisti. Essi hanno soltanto uri ruo¬ 10 di attori, la regia e la produzione 11 pretende abili a sopportare il dolore e non esclusivamente quello che gli offrono le pedalate. Ma il Tour poteva almeno risparmiarsi le sue scenette finali, lutto per la tragedia e giubilo per il francese che trionfa, facce di pianto e facce da siparietto comico, tutto cucito con l'ago grosso del varietà. La notizia che uno di loro, uno della vecchia avventura, è morto per aver affrontato una discesa chissà con quale tremore, chissà con quale speranza, arriva soltanto a pochi corridori. C'è il Peyresourde, ci sono L'Aspen e il Tourmalet, dissodanti fatiche li attendono, dirglielo, non dirglielo? Quintarelli, il direttore sportivo di Chiappucci, non regge: Claudio, è morto Casartelli. Scalando il Tourmalet Chiappucci è sconvolto, lo piantano due compagni, se li era tenuti stretti nella fuga, ma lui non sa più che cosa fare. Poi la picchiata, gli ultimi chilometri, Claudio si carica di rabbia, si lancia, sarà secondo alla fine. «Io - dirà Stanga - guidavo, affrontavo le curve tra i singhiozzi». Fabio Casartelli aveva vinto una medaglia d'oro alle olimpiadi di Barcellona, glorioso dilettante aveva bussato alla porta del professionismo nell'agosto '93. Lo aveva accolto l'Ariostea comandata da Giancarlo Ferretti. Non era andato bene. E allora un'altra squadra, la Mg. Un ragazzone gentile, di ridotte parole, un bravo ciclista senza fortuna, i sogni s'erano dileguati in fretta, se lo contendevano i malanni: bronchiti e un'operazione al ginocchio. Era rimasto senza contratto, ma non voleva lasciare il ciclismo: «non sarò un campione, però verrà un pomeriggio sul podio». Gli americani della Motorola che vivono a Como gli erano affezionati: coraggio Fabio, ti prendiamo con noi, sei contento? Era contento, lo aspettava il Tour. Gianni Ranieri

Luoghi citati: Barcellona, Como