Un Giamburrasca per Shakespeare di Masolino D'amico

A Verona l'esordio di Rita Pavone con «La dodicesima notte» A Verona l'esordio di Rita Pavone con «La dodicesima notte» Un Giamburrasca per Shakespeare VERONA. Delle commedie di Shakespeare, «La dodicesima notte» dev'essere la più difficile da proporre oggi, con la sua trama seria basata su un gioco di travestimenti ed equivoci amorosi meno ambiguo ora che donne e non giovinetti recitano le parti femminili, per di più in chiave di malinconia e non di giocosità come in «Come vi piace»; e con la parte comica, lardellata di lazzi non più attuali, imperniata su una beffa che lascia la bocca amara quanto la punizione di Shylock nel «Mercante di Venezia». Soprattutto dev'essere difficile per un regista stabilire un ambiente contemporaneamente fiabesco e concreto: l'Illiria dove all'inizio fanno naufragio e si dividono i gemelli maschio e femmina che si ricongiungeranno solo alla fine, ma anche la casa di campagna gentilizia, solidamente britannica, dove dipendenti e parassiti spettegolano, baruffano e ordiscono scherzi. Vi faccio grazia dei numerosi tentativi di soluzione a me noti, compreso quello di pochi anni fa proprio qui a Verona a opera di Jerome Savary, che tentò fallimentarmente la sovrabbondanza e il circo, con frotte di personaggi mitologici, clowns eccetera. La regia di Franco Branciaroli ha imboccato la strada opposta, quella della massima austerità perlomeno visiva: scena rigorosamente nuda, e come sfondo una stuoietta grigia che le luci possono rendere trasparente mostrando, dietro, un'orchestrina jazz e i pini del Teatro Romano. Costumi (di Aldo Buti, che firma anche la scenografia), invece, coloriti, ma elisabettiani, ossia assai lontani da noi - calzamaglie, brache corte a sbuffi, quei cappelletti ridicoli a secchio rovesciato; meno aliene le donne, con le loro gonne tizianesche. In modo non troppo dissimile, vale a dire con scena neutra e in abiti elisabettiani, lo spettacolo avveniva anche al tempo di Shakespeare. Senonché gli abiti elisabettiani erano, allora, contemporanei e non esotici; l'indefinitezza dell'ambientazione era compensata da un gran dinamismo nel ritmo (le commedie duravano, pare, due ore, mentre questa ne dura tre e mezzo, compresi 15' di pausa); e la gente capiva gli scherzi. Dopo avere assemblato un cast molto brillante, Branciaroli si contenta di una lettura lenta e integrale del testo o meglio della sua traduzione ad opera di Agostino Lombardo, eccellente esempio di versione da leggere con l'originale a fronte, ma appunto per questo troppo spesso carente nei momenti comici, dovendo ricorrere a battute fiacche o oscure. Bisognava tagliare o rielaborare, non certo lavarsi le mani con una limpida puntigliosità che non poteva non risultare, alla lunga, in un tedio sottolineato in gradinata addirittura con qualche fischio. Lo stesso Branciaroli, riservandosi la parte del mesto buffone Feste e indossando pertanto una tenuta variopinta, incede rigido e solenne come un sacerdote nell'«Aida»; in compenso due o tre volte impugna il microfono e canta canzoni su musiche sconcertantemente moderne, da night, e in inglese. Detto dunque che, dipanandosi senza accenti, la storia non prende e anzi risulta addirittura difficile da seguire, non rimane che dare i voti agli interpreti. Dieci a Marco Sciaccaluga, regista in vacanza che, più motivato dei professionisti, ce la mette tutta, e spreme ottimi risultati dal suo vanaglorioso Sir Andrew. Nove a Rita Pavone che è Maria, la dama che ordisce la celia, un piccolo vulcano di energia - peccato solo che la parte sia relativamente esigua. Otto a Pino Micol, Malvolio ideale con la sua dizione pignolesca e la sua compostezza pomposa, ma che proprio per questi suoi vantaggi potrebbe provare a sorprenderci di più. Sette a Renzo Montagnani e a Fabrizio Contri (casi opposti a quello di Sciaccaluga), sette di stima a Sergio Romano, che è l'innamorato Orsino (una tinca); sette anche a Anna Stante, piena di buona volontà ma troppo carina e femminile perché il suo travestimento da uomo risulti credibile; sei a Marta Richeldi che è la contessa concupita, e sei anche a Roberto Alinghieri, che come il pirata Antonio è danneggiato dal costume quanto la Richeldi è valorizzata dal suo. A Branciaroli quattro per le sue scelte, otto per come le ha sapute realizzare; la media gli darebbe la sufficienza, ma sfollando all'una e dieci di notte il pubblico sembrava provato. Si replica fino al 23. Masolino d'Amico Rita Pavone, un «debutto» a Verona

Luoghi citati: Venezia, Verona