L'ungherese in fuga che ammaliò Parigi

L'ungherese in fuga che ammaliò Parigi Riscoperto Vertès, illustratore dimenticato L'ungherese in fuga che ammaliò Parigi MSPOLETO A in fondo la vera novità di Spoleto quest'anno non è tanto To ma - al massimo può provocare qualche mutamento di giudizio o rettifica di valore - ma il disegnatore naturalizzato francese Marcel Vertès: un'autentica scoperta. Anzi, fout court Vertès, col solo cognome, come andava di moda negli Anni Quaranta di Arletty, Radiguet e Fernandel. Anche chi, per motivi bibliofili, conosceva le sue disinvolte illustrazioni di volumi oggi preziosissimi, come Parallelement di Verlaine e Chéti di Colette, non poteva immaginare che quest'ungherese fuggito a Parigi per motivi politici (dopo il 1918, ma passa anche per Vienna, città non meno formativa, artisticamente) avesse avuto un'attività così estesa e varia. Splendide litografie d'ambiente [Dancing per esempio, dove certo è presente la lezione di Stenlein e di Toulouse-Lautrec: ritrae pure lui la mitica diseuse Yvette Guilbert), ma poi anche affl.ches per Harper's Bazar e manichini per altre riviste di moda (notoriamente per l'eccentrica Madame Schiaparelli), manifesti resistenziali e di propaganda per la Francia libera (dovrà emigrare di nuovo, questa volta verso l'America, che così bene fisserà nelle sue caricature «psicoanalitiche» a punta di penna e prefazione di Anita Loos); ma poi anche scenografie teatrali (per Mikado e La Belle Hélène e Barbablù di Offenbach, con il coreografo Dolin, pannelli decorativi per le case di Helena Rubinstein e il Waldorf Astoria di New York, collaborazioni cinematografiche con Clouzot, o per un film dal destino infelice come Les aventures de Roi Pausale da Pierre Louys di cui ci rimane un elegantissimo story-board). Del resto la frizzante visione della Belle Epoque quale ci viene offerta attraverso un film epocale come Moulin Rouge di Huston, ci viene filtrata proprio attraverso il gusto di Vertès: le mani miracolate di Toulouse-Lautrec che nel film ci raccontano quella Un disegno di M stenografia rcel Vertès Parigi debosciata e tragica, sono quelle stesse di Vertès, disegnatore fulmineo. «Ignoro la dolcezza del riposo» amava dire di sé. «Lo stesso si può dire delle mie mani: si annoiano quando restano inattive. La mano destra cerca sempre di trovare quello che è alla sua portata, una penna od un pennello. Disegno senza sforzo, come si fischietta l'aria di una canzone. La mia penna si lancia sulla carta liscia come un pattinatore sul ghiaccio, per tracciare linee e curve, senza che il mio spirito si concentri. Questi disegni li guardo come se fossi un altro, che stia osservando al di sopra delle mie spalle tutte le sorprese che stillano dalla punta della penna». Ma non si tratta di una automatica e spensierata, il doodling degli inglesi, lo «scarabocchiare al telefono». «Questi disegni sono in realtà delle istantanee dei miei pensieri: possiedo una disciplina che passa direttamente dal cervello alla punta di questa penna». Non stupisce che di questo ex ragazzo che vagava per Budapest sognando di realizzare aeroplani, si accorgano presto gli scrittori più sensibili, da Carco a Mac Orlan, a Colette, grata a tanto psicologo «che come dimostra questo ritratto, mi conosce meglio di me stessa». E, naturalmente, Cocteau, che si esalta per quel «vertice estremo in cui frizza l'elettricità del cuore». «Joli, gracieux, charmant, adorable, léger, tendre, tutti termini inflazionati che vorremmo restituire a nuovo per applicarli a Vertès come un abito bianco». Non possiamo che essere grati alla grande e segreta Lila de Nobili (che pure, nella sua elegantissima scrittura teatrale, ha molto ereditato di questo latte impareggiabile) di averci fatto scoprire, all'ex museo Civico di Spoleto, un autentico artista. Questo erede dei vasai greci, che ha inventato una sua narratività vaporosa e leggiadra, «stendhaliana», ma non meno indagatrice e feroce. Un autentico lettore della vita. [m. vali.] Un disegno di Marcel Vertès