Venditti il mio cuore in uno stadio

Il cantautore romano rompe il lungo silenzio e dice tutto del nuovo disco, della tournée e dei suoi miti Il cantautore romano rompe il lungo silenzio e dice tutto del nuovo disco, della tournée e dei suoi miti il mio cuore in uno stadio ROMA. Sarà il primo dei «big» a riaprire la stagione dei dischi, U 12 settembre, con un album di cui tiene il nome più segreto che mai: nel '91 - ancora se lo ricorda - lo imbrogliò un giornalista, telefonando alla sua mamma. «Che titolo ha il disco di Antonello, signora?». «Benvenuti in Paradiso», rispose lei, candida, strappando al figlio la piccola soddisfazione del riserbo mantenuto fino all'ultimo momento. «Ma questa volta non succederà - ridacchia Antonello Venditti - Ho istruito mia madre, anzi l'ho confusa dandole più ipotesi». Quattro anni fuori dalla mischia discografica sono tanti, e sono tanti anche se in realtà l'arrivederci del «Core di Roma» al suo popolo avvenne l'anno successivo, con un bagno di folla al Circo Massimo. Venditti è uno che patisce la lontananza dai fans, e finisce adesso per recuperarne l'affetto in strada: «Mi fermano come un vecchio amico: "Ahò, che fai? Quando tomi?" mi chiedono». L'autore di «Sara» e di «Sotto il segno dei pesci», di «In questo mondo di ladri» e della tenera ballata «Dolce Enrico» dedicata a Berlinguer, il protagonista di tante polemiche che con la scusa della musica hanno spesso pescato piuttosto nelle incongruenze della politica e del sociale, è chiuso nello studio di casa sua, alle porte di Roma, a mixare le nuove canzoni che presto diventeranno di tutti. Ce ne sarà anche per Berlusconi: ma lui non dice nulla di più. E' contento di tornare nella mischia discografica? «Sì, ma io sono già avanti, penso già ai concerti dal vivo. E però qui cominciano i guai, perché a Roma non c'è spazio per la musica spettacolare, se non gratuita. La dignità della musica invece sta anche nel poterla pagare, essere sicuri di avere un posto a sedere, una toilette da usare, un'acustica decente e protetta. Neanche a Cinecittà posso andare, dove cantarono i Pink Floyd, perché ci stanno girando una superproduzione americana». Come si articolerà il tour? «Vorrei fare una o due date importanti all'aperto, la dimensione che preferisco. E poi pochi concerti al chiuso, nelle grandi città, a Milano perché c'è il Forum, a Torino nel nuovo Palastampa». Ci sarà allora il bagno di folla, tipo Vasco a San Siro? «Sto pensando ad una produzione multimediale. Una sorta dì stadio totale... Subito dopo la kermesse del Circo Massimo, ho ricevuto una bellissima lettera di una ragazzina, che diceva: "Peccato che non c'eri, con noi nella folla". Le ho risposto: "Peccato che non cri nei miei occhi, sul palco". Ecco, questo vorrei fare: un concerto a più dimensioni, che contenga insieme il punto di vista della folla e quello dell'artista». Quanta passionalità c'è nel nuovo lavoro ? «Parto certamente dall'amore e dalla politica, che sono i miei cardini. Si riderà, e si piangerà, ma all'interno di un progetto sonoro abbastanza marcato. Il disco chiude il trittico di "In questo mondo di ladri" e di "Benvenuti in paradiso". C'è un nuovo brano, proprio divertente, per il quale ho fatto soffrire Carlo Verdone, che ormai a pieno titolo fa parte della band. Mi aspetto da lui prestazioni da batterista professionista, e quel giorno lì ho voluto che provasse e riprovasse per dodici ore. Mi ha dato anche la voce iniziale, quella del suo personaggio tipico "Cioè io veramente...". Una performance memorabile. Le canzoni che fanno ridere a volte ti fanno riflettere di più. Comunque, sia chiaro: ci tengo a dire che non ho scritto la Divina Commedia». Ci saranno le canzoni d'amore, come sempre? «Dopo "Amici mai" mi è arrivata una canzone che per me è la più bella. Sono stato bravo ma anche fortunato: i giorni fecondi nella vita di un artista sono pochi in un anno, e quella volta lì, 3 gennaio '94, ero dal benzinaio e ho avuto l'ispirazione. Ho detto: "Presto presto, in studio", e in studio ho trovato tutti pronti... Una canzone è un po' come l'infarto: qualche volta avverte, ma bisogna essere veloci». Dal suo ultimo disco, del '91, il mondo è proprio cambiato. «Come direbbe Veltroni, è stato un cambiamento epocale. Sull'aborto le posizioni sembravano scontate, invece s'è rimesso tutto in discussione. E oggi il Papa ci dice che la donna non è più il frutto del peccato. Si parte in quarta su un principio, e non si sa mai dove si finisce. Bisognerebbe forse pensarci prima: mi va benissimo per esempio l'antinuclearismo di questi giorni, ma bisognerebbe che ci schierassimo anche contro le centrali nucleari che abbiamo in Francia a pochi chilometri dal Piemonte. Con le canzoni, comunque, uno cerca anche di far bene, a fa- vore dell'affermazione di un principio». Siamo alle solite: la musica può risolvere problemi? «Certo che no. E poi, ogni volta che uno tenta di tirar fuori un problema, si parla di strumentalizzazione. Guardi cos'è successo a Vasco con Sarajevo». Nell'83 lei ha scritto «L'ottimista» contro il socialismo craxiano. C'è qualcosa che possa somigliargli, nel nuovo disco? «Ci sono due brani diretti diretti; ma mi creda, anche nelle canzoni d'amore si sente il rumore della società. Ho sempre detto che l'uo¬ mo e la politica nascono insieme, da laureato in legge, vedo l'attuale lotta fra poteri dello Stato come preistorica. La giustìzia italiana fa talmente acqua che non c'è biasimo totale contro Craxi adesso come contro Toni Negri allora, e questo Paese non ha credibilità neanche nei confronti di se stesso: gli ideali si affermano con l'esempio, e se nessuno lo dà... Il potere oggi lo si gioca tutto sull'informazione, e non è questo solo un pallino di Veltroni». Lei cita spesso Veltroni. «Già, perché non lo sento da un sacco di tempo. Lo frequento comunque idealmente, perché vedo che la strada che ha imboccato è la mia. Mi hanno crocefisso quando sono andato al Meetmg di Rimini nell'83, e adesso lui dialoga coi; i cattolici. Questo mancava alla sinistra: di non aver paura delle idee degli altri; e ora ci sono arrivati. Nel disco si capirà che Berlusconi ò frutto di questi tempi. Fini poi, lo trovo meno di destra dei suoi: che c'entra lui, con gli altri del suo Polo?». Pensa di andare a cantare anche fuori Italia, come molti suoi colleghi già fanno? «Sì e spero di portar fuori con me in tour Gato Barbieri. Poverino, gli è morta la moglie e ha un po' di bypass: però, s'è visto con Pino Daniele che ha fatto un gran disco, i bypass portano bene». Ci sono modelli musicali, nel mondo delle sue ispirazioni? «Da ragazzo impazzivo per Fabrizio De André e per Battisti, e mi fa male che oggi Battisti non si riesca più a cantarlo. L'ho spiato un giorno che comprava corde di chitarra in un negozio: l'ho guardato, ero curioso, l'ho anche seguito di nascosto, mi pare che se ne sia andato poi in autobus». Marinella Vcnegoni Ha partecipato alle registrazioni un batterista molto speciale l'attore-regista Carlo Verdone il mio cuore in uno stadio Antonello Venditti e. in alto a destra, il regista Verdone: «Ormai, Carlo è diventato un titolare nella mia band» A sinistra, Pino Daniele: «A lui il by-pass non ha impedito di fare un gran disco» A destra, Gato Barbieri: «Spero che torneremo presto a suonare