Dalla bellezza al razzismo i ragazzi imparano all'edicola di Vittorio Emiliani
Povertà e buone parole AL GIORNALE Dalla bellezza al razzismo, i ragazzi imparano all'edicola I giornali dei nostri figli Cosa leggono i ragazzi nel loro tempo libero? Uno dei settimanali più diffusi tra gli adolescenti (ne cito uno a caso) credo sia Cioè. Si tratta, se si analizza bene il suo messaggio alle masse, di una sottile, crudele e forse inconsapevole apologia al razzismo e al consumismo. I giovani di cui scrive Cioè e ai quali si rivolge sicuro di sé il giornalino, sono innanzi tutto fisicamente belli e sani. Essi passano, a quanto pare, da un flirt all'altro, con leggerezza, ma la regola di base è sempre la stessa: discriminare, escludere chi non è bello e sano come loro. Questi ragazzi e queste ragazze sono letteralmente bombardati da un unico slogan- viva la bellezza (il che non sarebbe malvagio di per sé, se non implicasse una tacita e implacabile discriminazione verso le minoranze dei bruttarelli o dei malati). Bellezza e benessere, dunque bei visi, bei corpi, vestiti allegri e seducenti, orologi di marca, belle moto, belle fidanzatine ecc. Ora, mi chiedo (un po' ingenuamente, lo so): l'apologia al razzismo, intenzionale o meno, non è un reato penale? dr. Pier Luigi Rossi S. Salvatore M. (Al) Diritto di veto o dovere di unanimità? II sig. Maffiotti è nel vero quando scrive (La Stampa del 4 luglio u.s.) che il diritto di veto non esiste giuridicamente. E' una definizione di comodo, politica del diritto concesso ad un membro permane te del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di esprimere un voto negativo su di una questione di fondo esaminata dal Consiglio stesso. Si tratta, in realtà, del dovere di unanimità al quale sono legati i cinque membri permanenti, così come tutti gli Stati hanno l'obbligo del dovere di pace, sin dal momento dell'adesione. L'unanimità era anche la regola del Consiglio della Società delle Nazioni la cui attività conobbe un'ostruzionismo quasi permanente. La maggioranza qualificata del nuovo organismo doveva evitare il riprodursi di situazioni analoghe. Le preoccupazioni dei membri dell'Assemblea che il 25 giugno 1945 diedero vita alle Nazioni Unite sull'uso del privilegio speciale concesso ai cinque promotori si tradussero in ben 547 emendamenti. Si deve, tuttavia, aggiungere ad onor del vero che sin dal 1946 la rigidità del par. 3 dell'art. 27 della Carta - ossia il voto affermativo dei cinque - si è attenuata con il riconoscimento che l'astensione non deve essere considerata negazione di un voto o mancanza di quorum, ma un larvato consenso (consent in disguise) assimilato all'espressione di riserve più che ad un disaccordo sulle questioni di fondo. G. Boglietti, Rivalba (To) Funari continua a dire «Sarajevo» Mi è capitato di telefonare al servizio opinioni di Rate Quattro Tv, per far osservare che Funari sbaglia quando pronuncia Serajevo. Sarebbe come se, parlando di Torino, dicesse Augusta Taurinorum. Il giorno seguente non soltanto non si è corretto, ma si è fatto appoggiare anche da Andreotti. Luigi Bonsaver, Torino Delinquenza a Bari e «sorprese» a Roma Mi piace mettere subito le carte in tavola: sono barese e me ne vanto. Anche a distanza perché da tredici anni, per lavoro, vivo nella capitale. E lontano dalla mia città il vanto va di pari passo col dolore. Quello provocato dall'eco delle scellerate e a volte tragiche bravate della marmaglia che si ostina a voler distruggere l'immagine, la tranquillità e lo sviluppo del capoluogo pugliese. Che pena dover consigliare amici e conoscenti che ci van¬ no per avventurarsi nei vicoli della città vecchia. «Sì, lo so, è veramente bella, ma scordatevi di andarci con borse, orologi e collanine». Consigli che hanno fatto quasi il giro del mondo insieme con i piaceri dell'occhio e del palato, lì sempre di prima classe. Ben vengano dunque le scorte ai turisti, un utile palliativo per un problema che meriterebbe analisi e soluzioni depurate di colpi ad effetto e cadute di stile. La saccente retorica di stampo terzomondista finisce per essere complice di ladri e assassini, di qualunque città siano. Si può tranquillizzare Cesare Martinetti. Il suo attacco del pezzo di ieri in prima pagina, «Bari come Sarajevo», non offende nessuno a meno che non sia un macabro auspicio. Com'era bella la capitale della Bosnia. Poi sono arrivati i serbi e i profeti stranieri dell'indifferenza. Ma non voglio disturbare più di tanto. Ah, dimenticavo. Due mesi fa sono stato nella mia città. Mio padre mi ha pregato di mettere sempre in garage la mia utilitaria targata Roma vi • sto che c'era anche la sfida allo stadio San Nicola tra galletti e giallorossi. Fatto. La mattina dopo mi hanno spaccato il tettuccio della macchina e si sono portati via radio, registratore ed ombrello. L'interno sembrava bombardato da migliaia di proiettili di vetro. Dimenticavo ancora. Mi ero risvegliato a Roma. Vito Cioce, Roma Anche io protesto per Mururoa Desidero aggiungere la mia personale protesta a quella di tanti altri esseri umani di tutto il mondo contro la decisione francese di riprendere gli esperimenti atomici a Mururoa. Voglio sperare che una così ampia opposizione convinca chi governa quel Paese di antica civiltà a recedere da una sì sciagurata intenzione. Giuseppe Sini Consigliere provinciale di Viterbo Ma le baionette si inastano Mi dà l'opportunità di rimarcare uno dei modi di dire grammaticalmente scorretto quella lettera che l'attrice Annie Girardot ha inviato a «Le Monde» (riportata da La Stampa dell'8 luglio), dove si parla di «baionette innestate». Ma, come tutti sanno, s'innestano le piante, non le baionette che, invece, si inastano, cioè si fissano, a mo' di asta, sulla canna del fucile. Così, l'innesto è meglio lasciarlo al regno vegetale. Ettore Glori, Palermo Chi risponde alle interpellanze Interrogazioni e interpellanze dovrebbero rappresentare in un Parlamento democratico strumenti importanti di informazione, di controllo e anche di denuncia. Ma per non rimanere, appunto, sterili denunzie, devono ottenere risposta dal governo. Cosa divenuta sempre più difficile, vuoi per la durata breve o brevissima degli esecutivi, vuoi per il loro carattere transitorio. Nel febbraio scorso denunciai al presidente della Camera che col governo Berlusconi si era toccato un minimo storico con appena il 18,5 per cento di risposte (ulteriori verifiche lo farebbero scendere al 16,5). L'on. Pivetti intervenne subito presso il presidente Dini e il bilancio del quadrimestre da marzo a giugno è migliore: le domande dei parlamentari che hanno avuto conclusione sono salite al 38,3 per cento complessivamente. Sempre poco rispetto al 75 per cento delle prime legislature repubblicane. E tuttavia un primo sintomo incoraggiante. Sennonché sono aumentate di molto (del 50 per cento) le risposte scritte, sono salite di poco quelle in commissione (meno di 5 punti in più), mentre sono stazionarie le risposte alle interrogazioni in aula e addirittura calano quelle alle interpellanze. E' vero: le domande dei deputati sono notevolmente aumentate e talora risultano stravaganti o troppo localistiche, e però le risposte continuano a tardare mesi e mesi o a non arrivare per nulla. Il che, oltre al dover stare in aula e in commissione a convertire decreti-leggi reiterati da anni, produce non poca frustrazione. Vittorio Emiliani, Roma
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