«L'unica via della pace è continuare a trattare» di Aldo Rizzo

«L'unica via della pace è continuare a trattare» «L'unica via della pace è continuare a trattare» IL MINISTRO AGNELLI L'ITALIA dovrebbe inviare truppe in Bosnia, come sembrano chiedere ora diversi partiti? L'Italia non può stare a guardare, come ha affermato il Presidente della Repubblica? Sto per raggiungere Scalfaro in Argentina, dov'è in visita ufficiale. Se il Presidente pensa all'opportunità di un intervento italiano, e sempre che questo ci sia chiesto dall'Onu e dalla Nato, il governo deciderà nella sua collegialità. E naturalmente sarà necessario il giudizio del Parlamento». In partenza appunto per Buenos Aires, il ministro degli Esteri Susanna Agnelli risponde a tutto campo sulla crisi bosniaca e sui suoi dintorni politico-diplomatici, in una congiuntura internazionale tra le più drammatiche degli ultimi decenni. Signora Agnelli, c'è un senso di orrore nel mondo, e specialmente in Europa, di fronte allo spettacolo macabro delle deportazioni, delle violenze di massa, ai danni dei musulmani di Bosnia. Qualcosa che si credeva appartenesse al passato, all'età di Hitler e di Stalin... «La mia reazione personale è la stessa, evidentemente. Provo un senso di orrore come ogni altro. Anzi un doppio orrore. Perché, nella seconda guerra mondiale, si poteva dire che non si sapeva dei lager e dei campi di concentramento, mentre ora nessuno può dire questo. Da almeno due anni si tenta di fermare una guerra di cui si conosce la barbarie. Dunque l'orrore è doppio». Ma, proprio perché c'è questa consapevolezza, appare più assurda l'impotenza di chi vorrebbe fermare l'orrore. Siamo alla resa dell'Occidente? Siamo a una nuova Monaco? «Il paragone con Monaco, nel 1938, mi pare del tutto improprio. Sono situazioni completamente diverse. Allora si tentò un negoziato che avrebbe dovuto portare alla pace in Europa e invece portò inevitabilfnente alla guerra. Qui non c'è un cedimento a un Hitler, c'è un fatto straordinario, al quale nessuno è in grado di resistere, data la situazione sul terreno. C'è un Paese come la ex Jugoslavia, come la Bosnia, costellato di enclaves, di zone circondate e assediate, presidiate da esigui gruppi di soldati dell'Onu, che non hanno nemmeno il mandato di sparare, se non per difendersi, e anche quello... Di fronte a un esercito forte e determinato. Reagire, ma come?». Questo, appunto, pone il problema dell'efficacia dell'Onu, dei limiti clamorosi della sua presenza, della sua funzione. «Ha perfettamente ragione. L'efficacia dell'Onu, un grande problema. Ma come risolverlo? Il primo ministro Major ha convocato per venerdì una riunione dei ministri degli Esteri e della Difesa del Gruppo di contatto (Francia, Germania, Gran Bretagna, Usa e Russia), più Italia e Spagna, presenti per la prima volta a quel livello. Vedremo come affrontare il problema da un punto di vista nuovo, diverso. Sperando che da qui a venerdì la situazione non sia ancora peggiorata». Ecco, ma proprio per questo, non aveva ragione il presidente francese Chirac a dire: decidiamo subi¬ to, in 48 ore? «Il cosiddetto ultimatum di Chirac. Ma ultimatum a chi? Non si è capito. Ai partner della Francia? E che cosa bisognerebbe fare in concreto?». Tuttavia Chirac è l'unico leader europeo che abbia proposto di fare, sia pure genericamente, qualcosa subito. «Sì, ma questo dipende dal fatto che la Francia ha il maggior numero di Caschi blu e in conseguenza corre i maggiori pericoli». Lei ha incontrato di recente il presidente Milosevic, considerato il regista dell'operazione Grande Serbia, anche se ha preso le distanze dai confratelli bosniaci di Pale. Lei ha poi confermato che bisogna negoziare con Belgrado, e proprio mentre s'incrudeliva l'attacco serbo alle «enclaves». E' stata criticata per questo. «Ma, vede, io insisto. Sono convinta che l'unico tentativo di trovare una via d'uscita sia nel parlare con tutti. Non vedo la soluzione militare, bisogna sperare che prima o poi la forza della trattativa prevalga». Ma è realistico, a questo punto? «Poche ore fa, ho parlato col ministro russo Kozyrev. Premerà su Milosevic, il quale dovrà convincere Karadzic. L'unica strada è la soluzione politica». Non è una questione da poco sapere se Koz/rev riuscirà a influire su Milosevic e questi su Karadzic. Anche al G-7 di Halifax si è molto puntato sulla mediazione di Eltsin, ma... «Imporre la pace a chi vuole la guerra è molto difficile, anzi è praticamente impossibile. A meno che non si sia fortissimi, non si disponga di mezzi di pressione insostenibili. Ma chi è in questa condizione?». D'accordo, ma l'alternativa è agghiacciante. «Sì, è vero, ma pensiamoci, imporre la pace a gente che vuole la guerra significa intervenire e distruggerli, un altro massacro. Col ministro tedesco Kinkel, in visita in Italia, ci siamo trovati perfettamente d'accordo, su tutti questi punti». Dalla Germania alla Francia. Torniamo alla Francia. Lei si è dissociata dalla decisione di Chirac di riprendere i test nucleari e non è andata al ricevimento in ambasciata per la festa nazionale francese. Perché? «Dissociata? Non ci eravamo mai associati. Il governo italiano non ha mai condiviso né i modi né la sostanza della decisione francese. Quanto al ricevimento in ambasciata... Non ero tenuta, visto che anche il mio collega francese non aveva partecipato al nostro analogo ricevimento a Parigi». Italia e Francia sono gran¬ di amici e alleati, e tuttavia c'è un po' di freddo? «Per carità. E' che io detesto le feste». Qualcuno, comunque, ha argomentato, in Italia e altrove, che la decisione di riprendere i test e l'appello a un'iniziativa comune contro gli aggressori serbi in Bosnia rappresentino una spinta nella direzione di una difesa europea, di una capacità (se non oggi, domani) dell'Europa di essere un'entità autonoma anche sul piano militare. «Onestamente, credo che l'Italia non sia da meno della Francia e di chiunque altro nella volontà di una difesa comune europea. E non da oggi. Ma questo è un grosso problema, che va affrontato con calma, con diplomazia, fra tutti e quindici i membri dell'Unione europea. Chirac ha un atteggiamento abbastanza arrogante, che non può affrettare, a mio avviso, una decisione congiunta dei partner. Questa è necessaria, ma va elaborata in una discussione, in una trattativa complessa». Per concludere. C'è la tragedia bosniaca, c'è anche un quadro mondiale tortuoso, incerto. Una crisi di leadership in America, col conflitto tra Presidenza e Congresso, sulle responsabilità mondiali della superpotenza, e una situazione enigmatica in Russia, anche per la salute di Eltsin. Non sarebbe un motivo in più per l'Unione europea per serrare le file, per darsi un'identità, per non contribuire a un mondo fuori controllo? «Certamente. Ma non direi che siano fondamentali i rapporti tra Clinton e il Congresso o i bollettini ospedalieri sulla salute di Eltsin. E' essenzialmente un problema della stessa Europa, darsi un'identità, non subire altre umiliazioni. Un problema che va affrontato con coraggio, ma anche col necessario realismo». Aldo Rizzo «Se l'Onu chiederà il nostro intervento sarà il Parlamento a decidere» «Imporre la ragione a chi vuole la guerra significa commettere un altro massacro»