A Tuzla a caccia dei 3 mila scomparsi di Giuseppe Zaccaria

Nelle zone conquistate all'opera i boia del famigerato Arkan, specialista in pulizia etnica Nelle zone conquistate all'opera i boia del famigerato Arkan, specialista in pulizia etnica A Tuzla, q caccia dei 3 mila scomparsi Dubbio atroce: nei lager serbi o eliminati dai miliziani KLADANJ DAL NOSTRO INVIATO Non ce la fanno. Le Nazioni Unite, il loro castello di organizzazioni, tutto il poderoso apparato di aerei bianchi, camion bianchi e facce sbiancate dalla paura, non riescono a fronteggiare l'emergenza profughi. Non ce la fanno a dar da mangiare agli affamati, a dare corso alle regole più elementari della solidarietà, a far giungere gli aiuti che occorrerebbero, a trovare un ricovero per migliaia di persone ridotte a vivere come insetti. Non si può credere ai comunicati che, in questa devastazione, miracolosamente piovono via fax da Ginevra con decine di solerti funzionari a distribuirli in fotocopia. Non vi si può credere perché poi basta imboccare la via del ritorno per rendersi conto che la realtà è diversa. I rapporti dicono che la situazione «è migliorata», che il battaglione olandese è riuscito a organizzare cessi da campo per millecinquecento persone, che nelle ultime ore tutti hanno avuto qualcosa da mangiare. Avreste dovuto vedere quel «qualcosa», nelle gamelle impugnate da povere traballanti figure, nei secchielli di plastica dove si tuffavano le mani dei bambini. A proposito, i bambini: «Sono almeno il sessanta per cento dei profughi, il che significa che nei prossimi giorni, nei prossimi mesi avremo a che fare col gigantesco problema di sedici, diciottomila piccoli da alloggiare, curare». L'ufficio di Hasan Hagic, responsabile a Tuzla del centro di emergenza cantonale, è in un container arroventato dal sole che accoglie ben quattro impiegati. Tutto qua. L'insipienza dell'Onu ha di fatto scaricato su quel che resta della Bosnia il problema di migliaia di profughi che aspettano solo di poter scaricare il proprio odio. E' una bomba a tempo. Adesso l'Alto commissariato per i rifugiati fa sapere di aver pianificato una campagna di assistenza medica, e soprattutto di vaccinazione: si teme l'insorgere di epidemie, il colera, la difterite. Sarebbe bastato predisporre presidi medici nel cantone di Tuzla, ma pare non ci avesse pensato nessuno. Nelle ultime ventiquattr'ore intorno alla pista sbrecciata di quello che fu un piccolo aeroporto è sorta una distesa di seicento tende bianche recuperate dal materiale medico del battaglione olandese, e sotto le quali si calcola abbiano trovato rifugio quattromila persone. Pare che dai magazzini sia uscito un altro migliaio di teli più piccoli che attende solo l'arrivo di altri cittadini «protetti», quelli che arriveranno da Tuzla. Ma intanto i profughi di Srebrcnica sono molti di più, un primo censimento di «Medecins sans frontières» dice diciannovemila e ottocento, anche se nessuno sa come si sia potuti essere così precisi. In ogni caso, chiunque sia stato da queste parti ha visto nei campi e sulle colline un'eruzione di capanne, di ricoveri primitivi messi assieme con legno e frasche, dove gente del Duemila continua a infilarsi per trovare riparo dal sole, e a boccheggiare. Da Pale, l'euforico conquistatore serbo rincara in qualche modo la dose: con eufemismo sublime fa sapere di avere accordato «facoltà di passaggio» a trentamila civili. «E questo può significare solo due cose - aggiunge Hassan Hagic -. 0 il mondo si è perso due, tremila persone (posto che fra Kladanj e i villaggi circostanti ci risultano al massimo sette-ottomila profughi) oppure i serbi hanno due o tremila persone da nascondere». E' un discorso di una semplicità agghiacciante. Pensate a quant'è facile: alle soglie del Duemila scateni le tue orde contro una città, la prendi, prendi le sue donne, ammazzi parte dei suoi uomini e gli altri li lasci inghiottire da un incrocio di cifre che nasce tutto dall'impreparazione del tuo avversario. Dopo essersi lasciato sovrastare da qualsiasi opzione militare, l'Onu ha perso anche il grande appuntamento con la sua funzione più specifica, quella che nella ex Jugoslavia veniva sbandierata da tre anni. Tutti aspettavano i profughi da Srebrenica tranne le Nazioni Unite. I bosniaci hanno colto benissimo questo punto, e continuano a comportarsi come se dicessero al mondo: «Questi sono profughi vostri, figli della vostra insipienza, vittime della vostra irresponsabilità». Sostengono addirittura che l'altra mattina, a Potocani, dalle colonne dei profughi i serbi abbiano fatto uscire venti uomini e li abbiano uccisi sotto gli occhi di un reparto dell'Orni, che non avrebbe alzato un dito. Uno però scrive «uomini» mentre fra i deportati c'erano centinaia di adolescenti, di quelli che da noi al massimo possono guerreggiare per il motorino. In questo momento probabilmente sono vivi, ma costretti a guerreggiare coi guardiani di uno stadio, quello di Bratunac, trasformato in campo di concentnimento. E c'è già qualcuno che li sta ponendo di fronte all'alternativa: resti qui dentro o diventi «volontario» del nostro grande esercito? «Mio figlio Kenan ha quattordici anni, cercatelo, voglio sapere dov'è...». Avete visto in queste ore, su una qualsiasi tv europea, le immagini di due donne col velo bianco che prima urlano contro un funzionario dell'Onu, poi si abbracciano e si lasciano rotolare a terra, una sull'altra, annientate? Mi trovavo lì in quel momento, accanto a una troupe televisiva della Reuter (in certe situazioni tutti obbediscono all'istinto di muoverai in gruppo). Le due donne erano sorelle; cercavano tracce del figlio e nipote e urlavano come ossesse che fino all'altro ieri quello era un ragazzo che leggeva i l'umetti e quando di notte esplodevano le granate correva a infilarsi nel letto della madre. Il funzionario aveva appena risposto: «Chiedete notizie ad Arkan». Già, Arkan: ecco da cosa dipendeva il fatto che ai primi fuggitivi i serbi avessero offerto sigarette e stecche di cioccolato, mentre a chi se n'è andato dopo sono toccate botte, insulti e violenze di ogni tipo. Dopo le truppe più 0 meno regolari sono arrivati gli «arkanovi», gli uomini di Zeljko Raznjatovic, l'ex teppista da stadio che da tre anni organizza e arma «patrioti» incaricati di distillare violenza, seminare terrore. Continuano a terrorizzare città, a lanciare verso l'Europa falangi di persone che oltre il terrore conosceranno solo l'odio. Anche verso di noi. Giuseppe Zaccaria Due immagini del tragico esodo dei musulmani (FOTO RFUTER]

Persone citate: Hasan Hagic, Hassan Hagic, Zeljko Raznjatovic

Luoghi citati: Europa, Ginevra, Jugoslavia, Tuzla