Ma Eusebio non c'era alla stazione con Gobetti di Bruno Quaranta
Ma Eusebio non c'era alla stazione con Gobetti Ma Eusebio non c'era alla stazione con Gobetti Studi a lui intitolato, in via Fabro 6 (qui abitava con la moglie Ada e il figlio Paolo-Poussin). E allora? Da noi interpellato, Giovanni Spadolini puntualizzò: «Evidentemente Eugenio Montale ha fantasticato oppure ha confuso una precedente sosta a Genova con quella del viaggio verso la Francia. L'intervista da me raccolta è certamente esatta come tale. Ma uno sbaglio nella sua memoria è possibile». Marco Forti, nel secondo Meridiano dedicato a Montale (Prose e racconti), corregge il tiro: «Montale è, probabilmente, l'ultima persona che (Gobetti, ndr) ha incontrato in Italia, alla stazione di Torino». La verità è restaurata circa il luogo di partenza. Mentre è lasciata in sospeso su chi avrebbe dato l'estremo saluto al giovane intellettuale antifascista. Sembra di poter affermare con sicurezza che nessuno, a Porta Nuova, lo strinse a sé. L'accelerato si mosse alle 6,18. Un'ora antelucana. Non a prova di amicizia, ma di logica sì. Perché Montale, in quel tempo residente a Genova, si sarebbe dovuto trovare alla stazione? Perché non recarsi, eventualmente, a salutare Piero il giorno preceden¬ te, a casa? E comunque il ricordo montaliano ha i contorni di Genova-Principe. Ammesso che Gobetti sia partito all'alba. A sentire Vincenzo Nitti, sì. Sul numero comme morativo del Barelli scrisse: «Era giunto il gior no 3. Venne da noi verso le sei del pomeriggio Un poco stanco del viaggio, un poco stordito dal ritmo di Parigi ma, come sempre, con una gran de chiarità negli occhi ed un fresco sorriso» Non così categorico Prezzolini: «Il povero Piero arrivò il 3, mi pare, e subito il 4 fu dai Nitti e da me». E se, invece, fosse approdato nella «gare» transalpina addirittura il 4? Ada, la moglie, nei diari evoca «la solitudine della lunga notte di viaggio». Rompicapi che affascinano i gobettiani. Ma non vacui. Esemplificano l'inquietudine ben tornita da Montale: «Piero, l'uomo che noi ci ostiniamo a cercare nella parte più profonda di noi stessi». Da quell'avvio di 1926 - com'è scoi pilo in un verso degli Ossi - per una certa Italia «non muore più il Febbraio». IL 3 febbraio 1926 Piero Gobetti, sulla «botte di vetro traballante nella neve», raggiunse a Porta Nuova il treno dell'esilio, diretto a Parigi: vi morirà il 15, intorno a mezzanotte. Porta Nuova, stazione di Torino. Perché sottolinearlo? Perché, a distanza di quasi settant'anni, intorno all'ultimo viaggio del direttore di La Rivoluzione liberale si continua a fare confusione. Nel Meridiano che accoglie tutte le poesie del Nobel, uscito nel 1984, Giorgio Zampa non esita: «Montale si accomiata alla stazione Genova-Principe dall'amico in viaggio per Parigi: è il loro ultimo incontro». Una versione fondata (anche) sulla testimonianza di Montale-Eusebio (correva il 1925 quando Gobetti gli pubblicò Ossi di seppia) raccolta da Spadolini nel '76: «Mi ricordo di essere andato apposta a salutarlo (Gobetti, ndr) alla stazione dì Genova. Viaggiava in terza classe; ci siamo anche abbracciati; sono stato l'ultimo amico che ha visto». In realtà Gobetti nella capitale francese arrivò via Modane-Lione, come documentano i timbri sul passaporto, conservato nel Centro Bruno Quaranta
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