IL MITO ROSA SULL'OLIMPO

IL MITO ROSA SULL'OLIMPO IL MITO ROSA SULL'OLIMPO senza bardature erudite (per questo si può evitare con vantaggio la «spiega» del prologo, che dovrebbe orientarci tra i nebbiosi ricordi del liceo). La cosa più singolare è che la vicenda viene immaginata non ai tempi della guerra di Troia, dove appare naturale il commercio tra uomini e dèi, ma in un preciso quadro storico. Nella Grecia si sgrana l'mterminabile guerra del Peloponneso, Atene e Sparta si contendono città e isole come inconsapevoli agenti dei celesti che si azzuffano per oracoli e templi («Molti storici discuteranno sull'avversa fortuna di Platea. Alcuni addurranno come causa la funesta alleanza con Atene. Altri citeranno sinistri auguri. Sciocchezze: la triste fine della città fu il prezzo che Zeus dovette pagare per placare l'ira di Hera»). E' un comportamento che conosciamo dai poemi epici, quasi l'estensione da parte dell'autore di una idea di destino, l'affermazione di uno scetticismo storico. Ma qui incontriamo, in carne e ossa, Socrate e Tucidide, si citano con conoscenza diretta Eschilo ed Esiodo. E sappiamo che esiste una difformità tra quello che credono gli spiriti più avvertiti del tempo (il mito trivellato da filosofi e sofisti) e quello che accade con franca spudoratezza. E' abbastanza facile intuire da dove sia partito Ventavoli, che ha alle sue spalle studi di filosofia e di letteratura ungherese. Non ha potuto fare a meno di imbattersi in Karl Kerényi, «Gli dèi e gli eroi del¬ la Grecia». Di là vengono informazione e fascinazione per il mito mediterraneo e magari gli accenti pensosi del libro, dove manca tuttavia l'adesione spirituale, la risposta di Kerényi a un richiamo archetipico. Non c'è neanche la pretesa di «sventrare» il mito (come si illuse di fare Pavese entrando nelle sue viscere), e tanto meno la profanazione di un illuminismo volgare. Ventavoli si difende appena con un giocoso distacco. Penso ai discorsi, un poco andanti, sull'ambrosia d'annata, l'apprezzamento delle domestiche libiche (cioè extracomunitarie), la riserva dei Centauri in via d'estinzione, il futuro radioso intravisto oltre le colonne d'Ercole. E rilevo ancora, con più impegnato contegno, l'intreccio stridente tra mito e storia, il passaggio degli dèi accanto a uomini che non ci credono più. Come se Ventavoli avesse rintracciato una storia destinata a chi ha ancora famigliarità con certe credenze, ma è respinto ai margini della scala sociale, anche per il presagio di nuove divinità avanzanti. Un romanzo popolare alla maniera di certi alessandrini, il romanzo-rosa del mito. Scritto con avvertenza, con incerta malizia. SI legge come un thriller l'ultimo romanzo di Luce d'Eramo «Si prega di non disturbare». Tuttavia, anche se la narrazione ruota attorno a un delitto, ucciso e uccisore sono in evidenza sin dalle prime battute e l'indagine non cerca la verità dei fatti ma quella ben più sfuggente e inquietante delle ragioni e dei vissuti. Un testo dostoevskiano con il quale l'autrice ci mette a contatto con una realtà attuale, i movimenti giovanili neonazisti, e nello stesso tempo riprende un incubo che le è presente da sempre e che ha attraversato la sua vita. Gli eventi si concentrano attorno a un cerchio, o meglio a un punto, e, per rispettare la suspense, li affido al lettore. Tre personaggi protagonisti: oltre alla coppia Enrico uccisore e Gustav ucciso, una donna Ursula, moglie di Gustav e che diviene amante di Enrico e poi sua accusatrice. Questo nodo erotico, forte come quello aggressivo, illumina un'oscillazione di istinti ma è poi come un suggello fisico, che lega i gesti di morte a quelli di amore, e che ne accosta, bruciando ogni distanza, l'ineffabile mistero. Lo sguardo di «serena criminalità» di Enrico e «qualcosa d'infido negli occhi» di Ursula si mescolano e poi si distinguo¬ no nel cercare un senso, o meglio un non senso, perché gli attori nel loro delirio scavano nell'opaco con lo stesso bisturi dell'autrice. Una discesa agli inferi Un crimine che ha il solo movente di aprire una discesa agli inferi. Enrico vaga per Parigi dopo il delitto, come ha vagato con Karl e con Ursula nel campo di Auschwitz: «un crescendo di malessere». L'ossessiona l'alibi ipermeditato, ma lavora a celare i segni più a sé che agli altri. Come lo sterminio, il delitto si rivela «un tragico incidente di percorso». Il delitto marca ogni emozione, ogni percezione e memoria. L'autrice scrive e ha nella mente l'esistenzialismo della sua formazione, ma sa andare oltre, aggiunge una scaltrita analisi del profondo e s'avventura tra contraddizioni lancinanti, pregiudizi e attrazioni, scende in circuiti, come quello dell'eroina, che nel tentativo di riscattarsi dalla paura vi naufragano, con Enrico e Gustav inventaria il bagaglio di un'ideologia, ma nel farlo non inclina a spiegazioni, si misura costantemente con l'opacità dell'orrore, ne trascrive la morsa fisica. Se le idee hanno conosciuto fallimenti storici, corrosioni e Lorenzo Mondo Bruno Ventavoli Assassinio sull'Olimpo Rusconi pp. 264. L 25.000

Persone citate: Bruno Ventavoli, Karl Kerényi, Lorenzo Mondo, Luce D'eramo, Pavese, Socrate, Ventavoli

Luoghi citati: Atene, Grecia, Parigi, Sparta