Una famiglia, un tricolore; felicità, anticamera della depressione

Una famiglia, un tricolore; felicità, anticamera della depressione AL GIORNALE Una famiglia, un tricolore; felicità, anticamera della depressione Addio «Patria» dal nostro vocabolario E' consuetudine, non solo della maggioranza degli italiani, ma ciò che è disgustoso e indegno anche da parte di personaggi politici, adirittura ministri, nel dire: «Il nostro Paese». Per questi personaggi la parola «Patria» non è più sentita e considerata. Perché? Tutto cominciò col grande trauma dell'8 settembre 1943, quando l'intero Paese si dissolve in pochi giorni determinando una perdita di coscienza nazionale e di auto-immagine. Da allora la parola «patria» ò sparita dal nostro vocabolario. Perché dunque non prendere esempio da altre nazioni? Per la morte di re Baldovino le telecamere inquadravano gruppi di persone di Bruxelles mentre sostavano con le bandiere davanti ai cancelli del palazzo reale. A Stoccarda nell'estate 1993, premiazione dei campionati di atletica, la vincitrice Zhihong Huang, quando non vede la bandiera rossa alzarsi sul pennone, ritiene un insulto quel gesto ed esige che si ripeta la cerimonia. Ho letto su la Stampa che il Comune di Torino ha deciso da circa un anno di donare ad ogni coppia di sposi un «tricolore» perché ogni nuova famiglia faccia parte della più grande famiglia «l'Italia». Retorica, fanatismo o tre forme emblematiche di pedagogia civile su cui riflettere? Noi sentiamo ancora di essere una nazione? La verità è che da oltre 40 anni abbiamo abbandonato l'idea di nazione e non ha senso invocare e giustificare l'uso sconsiderato che ne fece l'oratoria fascista, ci siamo sentiti democristiani, comunisti, socialisti e via elencando, abbiamo respinto il senso di appartenenza ad uno Stato, non abbiamo saputo amare la Repubblica, ci siamo arresi alle ideologie. Ma dobbiamo anche dire che la causa principale dell'assenza di valori e ideali nazionali fu ed è l'incapacità dello Stato di offrire alla gente il senso di appartenenza ad uno Stato, o meglio dire, ad una compiuta democrazia, quella democrazia checché se ne dica - ci consentì un benessere mai registrato nella nostra storia. Lo Stato democratico di regola non muore per mano dei suoi nemici, ma più frequentemente per mano degli stessi che lo governano quando non osservano il mandato espresso da parte del popolo. Albino Porro, Asti Se gli animali potessero parlare Con l'arrivo dell'estate, si sa, milioni di italiani vanno in vacanza alla ricerca, giustamente, di maggiore pace e rilassatzza mentale a tal punto che alcuni possessori di animali domestici dimenticano i lori amici animali... Perché non continuare sempre a rispettarli? Perché non usare nella circostanza la nostra presunta superiorità a loro favore e non a loro danno? Giustamente, se gli animali abbandonati potessero parlare «poverini», chissà cosa direbbero degli uomini... Invece, (più degli uomini) sopportano e soccombono senza che ancora oggi ci sia nei loro confronti una chiara e valida difesa. Pertanto, i menefreghisti che trascurano o peggio abbandonano gli animali, andrebbero, senz'altro, perseguiti segnalandoli all'Enpa (Ente nazionale protezione animali) facendo presente appelli e lamentele al Parlamento, nonché al ministro della Sanità affinché proibiscano ai finti amici degli animali di non possederne mai più. Forse, l'animale uomo non si è ancora reso conto di quanto avrebbe da imparare sulle strane e attraenti abitudini degli animali. Evidentemente chi sevizia gli animali soprattutto i cani non sa ancora che il cane è per eccellenza il simbolo della fedeltà. Solo rispettando gli animali si dà la vera prova di un grande impegno civile. Giacomo Giglio Castelvetrano (Tp) L'industria psichiatrica fa un tiro mancino Al giorno d'oggi non c'è rivista o giornale che non parli di un argomento tanto alla moda quanto scottante: la depressione e le sue nuove cure. Finora i risultati di queste «cure» sono stati decisamente esigui per non parlare delle tragedie che non di rado coinvolgono i diretti interessati e le loro famiglie di cui la cronaca si è occupata di recente. Il credo attuale dei «terapeuti» della de pressione è che occorre curarsi quando si è troppo felici. Ce lo dice il dottor Luca Pani del dipartimento di neuroscienze dell'Univeresità di Cagliari su uno speciale dedicato alla depressione su una nota rivista. L'euforia, il parlare molto, l'essere ricchi di forze, lo spendere più di quanto ci si possa permettere, il lavorare molto e l'aver poco tempo libero sono, secondo il dottor Pani, i segni premonitori della depressione. Ecco l'ennesimo tiro mancino di questi «specialisti della mente» che, così dicendo, si assicurano che buona parte della popolazione si ritenga malata e ricorra quindi alle loro «cure». Lo psichiatra Thomas Szasz, fondatore del Comitato dei Cittadini per i Dirtti dell'Uomo di cui faccio parte, scrive che in più di vent'anni di attività non ha mai visto un collega esaminare un individuo e considerarlo una persona mentalmente sana, poiché per lo psichiatra zelante tutti gli esseri umani sono pazzi. A mio avviso la psichiatria sta creando nuovi malati o meglio nuove malattie con cui riempire i propri gabinetti medici e sta classificando come anormale ciò che dovrebbe essere lo standard di vita di una persona. La mia idea di normalità, che penso possa essere condivisa dai più, è essere felici, attivi, risolvere i propri problemi, comunicare con gli altri, aiutarli e comprendere le debolezze e gli errori. Non credo che la normalità siano gli zombie e tutte quelle persone apatiche o psicotiche frutto dell'industria psichiatrica. Dott. Antonio Ferro, Torino Comitato dei Cittadini per i Diritti dell'Uomo La gratitudine del signor ministro La vicenda dei militari indagati per truffe compiute mediante false attestazioni di spesa (alcune migliaia di casi negli ultimi due anni), mi rammenta una grottesca vicenda di cui fui protagonista qualche anno fa. Durante una missione pernottai a casa mia anziché in albergo e, al momento di compilare il documento ai viaggio, apposi una no¬ ta esplicativa per giustificare la mancata esposizione di spese, concludendo con questa frase: «Il signor ministro del Bilancio me ne è certamente grato». Ironizzavo sul vezzo, già allora diffusissimo e ben noto ai Comandi, di far la cresta sulla spesa. Il Comandante mi punì, scrivendo nella motivazione che «non mi ero attenuto ad osservazioni strettamente "correlate" (sic) al servizio». Maresciallo Guido Guasconi Bresso (Milano) Esercito italiano Torna il teatro in tv, ma di notte Ho appreso dalla stampa che da metà ottobre sarà revocato l'ostracismo televisivo del teatro, ma, in cauda venenum, la nuova trasmissione si colloca in seconda serata dopo la fine - magari con ampio sfondamento dei tempi - del varietà popolare, espressione che, al pari del vecchio «plebeo», sottintende una naturale incapacità del popolo alla fruizione di buoni prodotti. Capisco che in un'epoca di economicismo esasperato anche la Rai debba privilegiare l'utente più sensibile al messaggio pubblicitario, ma trattandosi pur sempre di un'azienda pubblica che ancora riceve un canone imposto dallo Stato, un minimo di sensibilità, anzi di onestà, imporrebbe un equo riconoscimento del diritto delle minoranze. In un recente intervento sull'Espresso Umberto Eco ha posto il quesito: Chopin contro Vianello? Che valga la pena di chiedere di nuovo l'impossibile? Forse sì, anche nella speranza che un casuale incontro sullo schermo con uno spettacolo diverso possa risvegliare il senso critico dei valori e la conseguente capacità di distinguere lo spettacolo dalla bagarre. Anna Righetti, Pesaro

Luoghi citati: Bruxelles, Comune Di Torino, Italia, Milano, Stoccarda, Torino