« Attrazione fatale assolta »

Lui: mi perseguitava. Lei: era amore Tre anni e due processi: così finisce la storia di un'ossessione « Attrazione fatale: assolta » Lui: mi perseguitava. Lei: era amore RIMIMI DAL NOSTRO INVIATO Alla fine, pure un brindisi. Spumante «Attrazione fatale», dal soprannome che le hanno consegnato le cronache, spruzzate sui fotografi e sugli amici, come si fa quando si vince un Gran Premio. Alle spalle, però, c'è il Palazzo di Giustizia, due carabinieri che guardano, giudici e avvocati che se ne vanno. Lei è Marina Rebonato, da Verona, frangetta bionda e pantaloni stretti. Lui è Filippo Saponaro, di Riccione, allo e secco, e completo grigio scuro. E questa, se volete, era una storia d'amore e di passione. Adesso, invece, è solo una storia giudiziaria. Quando si son lasciati lei l'ha perseguitato, con torte, telefonale, scherzi. Lui l'ha denunciata e querelata. Lei pure. E chissà quando finiranno. Il secondo processo della serie s'è appena chiuso: Marina Rebonato è stata assolta dall'accusa di aver calunniato l'ex fidanzato. Aveva detto che per colpa sua avrebbe perso un bambino, «Il fatto non costituisce reato», hanno deciso i giudici. All'altro processo, però, era stata condannata: un anno senza condizionale, per ingiurie e molestie. Tre anni di persecuzioni, aveva raccontato lui. I vigili del fuoco spediti a casa sua nel cuore della notte, gli assedi sotto casa, le uova marce. Per questo, i cronisti la chiamarono «Attrazione fatale». Lei, che fa la stilista, con quel soprannome ha lanciato un modello di biancheria intima. Un amico ora ci prova con il vino, une spumante dei colli veronesi. E intanto la guerra continua. Marina se ne esce dall'aula che mezzogiorno è passato da poco, si stringe all'avvocato Vernerei Acci eman e piange: «Qualcuno che mi vedeva già in carcere non potrà brindare stasera». Brinda lei, poco dopo. Lui è già scappato via: «Sarebbe meglio non dichiarare nulla». Si erano conosciuti e amati quattro 0 cinque anni fa. Poi lui l'aveva lasciata. Da allora, parlano le carte processuali, le cronache di una incredibile guerra lunga tre anni, il racconto di un'ossessione. Parlano 1 testimoni. Come quii vicino di casa di Filippo Saponaro che ricorda una notte d'estati: d:.l '92: «Qualcuno continuava a passare sotto le finestre sg( mmando e con lo stereo a tutto volume. La canzone era sempre la stessa, Ricordati di me, di Venditti. Dopo 2-3 ore sono fuori dai gangheri e scendo sotto per insultare quel teppista. Ma non era un ragazzotto. Era una signora bionda, bella ed elegante. L'avevo già vista una settimana prima che insultava Saponara in mezzo alla Strada». Come Marco Conti, litolare del Centro estetica Body Center di Riccione. Febbraio '92: «Era un sabato pomeriggio e Saponara faceva la sauna. Arriva una ragazza e chiede di lui. Entra, fa un casino incredibile nella sauna e dopo un po' esce di corsa con la sacca azzurra del dottor Saponara». Va fuori e con il dopobarba decora la macchina dell'ex fidanzato. Un amico di lui: «Quella sera eravamo a casa mia a guardare il Gran Premio quando sentiamo una scampanellata. Andiamo ad aprire e ci troviamo di fronte a tre autopompe di Vigili del fuoco, carabinieri e Vigili Urbani. La mia casa, dicevano, slava andando a fuoco. Ma quale fuo co, l'incendio l'aveva scatenato lei». Una vigilessa: «Ci hanno chiamalo per schiamazzi a casa Saponaro e quando siamo arrivati abbiamo visto una macchina in mezzo alla strada e una ragazza attaccata ai cancelli della villa che gridava come un'ossessa». E' un elenco che non finisce più. E poi ce n'è un altro, di elenco. Tutto quel che gli capita al povero Filippo. Ambulanze che arrivano a casa sua, uova marce a volontà, torte alla panna, prenotazioni di locali a suo nome, biglietti da visita distribuiti in viale Ceccarini a Riccione per pubblicizzare l'attività di esorcista «del signor Saponaro». Lui, in aula, ricordò così: «All'inizio, quando cominciarono le persecuzioni, mi sentivo in colpa. In fondo, ero stato io a lasciarla. Dopo mesi di torture ho compreso che dovevo difendermi Le ripetevo Marina calmati, ragioniamo. Ma andavo ai cinema, mi giravo, e lei era lì. Viaggiavo in macchina e qualcuno mi tamponava: ero a Parigi, e anche quella volta c'era lei, dietro di me». Tre anni di stillicidio, ha raccontato ai giudici. Lei, Marina, s'è dilesa cosi: «Se ho esageialo l'ho fatto per troppo amore. Ma so di aver ragione e posso dimostrarlo». Al primo processo, quiMo per gli scherzi e le persecuzioni, non c'è riuscita. Un anno e sette milioni di provvisionale, anticipo sui danni morali e materiali causati all'ex fidanzato. Poco importa che per un amore perso, lei ne abbia trovati a decine. Lettere di pi isione, come se piovesse. Uno, isino: «Sono rimasto incantalo d.i tuoi occhi». Un altro: «So che sto osando troppo, ma mi piacerebbe tanto prenderti per mano e coccolarti. Forse un giorno potremmo almeno prendere un caffè insieme...». Virgilio, poeta: «Lunghe notti insonni, bianche o colorate di ombre scure e incubi angoscianti...». Un altro: «I tuoi occhi, quando li guardo vedo che mi sorridono. Il mio cuore si riempie di gioia, ed e allora che non smetterei mai di guardarli». Spasimanti e innamorati sono lontani, però. Ieri, nei corridoi del Tribunale, Marina e Filippo stavano distanti, aspettando la sentenza. La guerra dei Roses, come la storia di un film. Ma chi l'ha detto che l'amore fa sempre bene? [p. sap.) Una scena dal film «Attrazione fatale», con Michael Douglas e Glenn Close

Luoghi citati: Parigi, Riccione, Verona