Verdi, guerrieri in letargo risvegliati dalla Bomba di Filippo Ceccarelli
Verdi, guerrieri in letargo risvegliati dalla Bomba Verdi, guerrieri in letargo risvegliati dalla Bomba ÉÉiiMnHÉlÉH IL«WHO,SWHO» DELL'ECOLOGISTA CI voleva la bomba atomica, insomma, per rianimare i verdi. Ci volevano i sogni nucleari di monsieur Chirac per ridare un po' di forza e visibilità a un partito - o partitino, movimento, federazione, area, arcipelago biodegradabile o quant'altro - che in Italia aveva anche subito la perdita improvvisa e dolorosa del suo dirigente più lucido, Alex Langer. I verdi, quindi, che si risvegliano dopo qualche annetto di litigiosissimo letargo, e quasi scoprono di esistere ancora. Ma quanto mutati! Quanto lontani dalle enormi speranze che avevano suscitato nella seconda metà degli Anni Ottanta; quando sembravano incarnare quei bisogni - egualitarismo, liberazione, abbattimento di gerarchie, tutta una visione meno ideologica e assoluta, ma attenta a utopie concrete e imperfette, empiriche e pluraliste - che proprio Langer aveva teorizzato in un saggio. Movimento ecologista e istituzioni politiche, che ancora oggi resta l'unico vero sforzo per comprendere le potenzialità del mondo verde. Speranze e bisogni eccessivi, col senno di poi. Con il che sembra ancora più remoto, perfino onirico, il ricordo di quella strana e sorridente pattuglia di deputati e senatori che una mattina del giugno 1987, inizio di legislatura, arrivò a Montecitorio pedalando su biciclette prese a nolo. E c'erano anche allora, ma più giovani e fiduciosi, i due «gemelli» dell'antinucleare, Gianni Mattioli (senza papillon) e Massimo Scalia, cresciuti negli ambienti del dissenso cattolico e maturati nelle lotte contro la centrale di Montaldo di Castro. C'erano due dei cinque fratelli Marco e Michele Boato: non solo a Venezia li conoscevano tutti, «La famegja rompibale», simpaticamente. «Ragazzi, mai aver paura di remare contro»: proprio così gli diceva il papà, e loro, da ragazzi, erano diventati tutti di Lotta continua. Ora verdi. E c'erano, ancora, l'eco-pacifista Sergio Andreis, obiettore graziato da Pertini; una brunetta piccolina, Anna Donati, che s'era inventata le «università verdi»; un lungagnone serio serio, Gianni Lanzinger, di cui a un certo punto, per scherzo, sui temi dell'ingegneria genetica si disse che faceva rima con il cardinale Ratzinger. E pedalava verso Montecitorio anche la radicale, o ex radicale, Rosa Filippini, che alla fine s'era schierata con il pentapartito. Gloria Grosso, invece, era arrivata a piedi, ma con la carrozzina: per porre la questione di un asilo nido da destinarsi alle deputate. Pure lei, però, al termine della legislatura, dopo un terribile litigio, aveva abbandonato il gruppo ed era finita con Cariglia. Si presentava davvero come una pattuglia graziosamente composita, quella dei verdi, ad alto tasso di andirivieni. Insieme a reduci della sinistra extraparlamentare, convivevano, attraverso la Lega Ambiente (Ermete Realacci, Chicco Testa, Giovanna Melandri, Renata Ingrao e il gruppo di Nuova Ecologia) sensibilità vicine al pei. Accanto a «puristi» come Fulco Pratesi c'erano cattolici antindustrialisti intransigenti che contro «l'ingordigia dell'Occidente» teorizzavano la fuga dalle città e sperimentavano - è il caso del fiorentino Giannozzo Pucci «villaggi agricoli globali». Mario Capanna, in continua metamorfosi politico-esistenziale, poteva così trovarsi a fianco del pretore anti-inquinamento Gianfranco Amendola, e quest'ultimo, già socialista anticraxiano, condividere intensi pomeriggi a discutere con pannelliani in via di affrancamento come Franco Corleone o con attiviste del movimento animalista come Annamaria Procacci. Ma soprattutto, dietro di loro, s'intuiva un universo moderno e più che variopinto fatto di cani sciolti della sinistra e signore impegnate, nudisti e birdwatchers, idrobiologi alternativi e fotografi naturalisti, esoterici, transessuali e pazzerelloni. Nel 1988, dopo una ricerca durata due anni, i due coordinatori Alfonso Pecoraro Scanio e Maurizio Pieroni potevano annunciare, con soddisfazione, di avere un quadro completo «di quanti siamo e dove siamo». La natu¬ ra, il verde, l'ambientalismo erano anche di moda. Ora sarebbe difficile stabilire il momento preciso, ma di lì a poco fu evidente che il progetto stava andando in pezzi. Al successo elettorale corrispose, veramente, il più mesto tran tran parlamentare. Le grandi attese di novità e diversità - l'ecologia della politica finirono per tradursi in un'im- plosione di zuffe, scissioni, compromessi, poltrone, stipendi, riciclaggi, etichette, rotazioni mancate, garanti inascoltati, appartenenze incrociate, difese di privilegi. Invece di dividersi, come in Europa, tra fondamentalisti e realisti, i verdi italiani s'adagiarono in una specie di nevrotica anarchia autolesionista. E presto, quando si trattò di decidere la confluenza dei verdi «arcobaleno» - guidati dall'ex radicale Francesco Rutelli e l'ex demoproletario Edo Ronchi - le prime e in fondo gentili accuse di «eco-scemi» ed «ecofurbi» si tramutarono in «ecosadici» ed «eco-masochisti». In un raduno a Trani, nel 1990, fu minacciato l'intervento dei carabinieri per verificare l'accredito di certi delegati napoletani. L'attuale portavoce Carlo Ripa di Meana, allora - e per altri -due anni ancora - stava con Craxi, cioè con il nemico. Anche lì non fu chiarissimo attraverso quali ingarbugliatissime alleanze nel 1993 riuscì a diventare numero uno. Ma ci riuscì. Sua moglie Marina, al solito, commutò subito la propria indubbia capacità di audience sul verde. Fu contestata, naturalmente, e naturalmente finì per imporsi come personaggio centrale nella vicenda del partito-bonsai. Con Stefano Apuzzo, l'ex deputato che s'incatena, si incolla, si cosparge di benzina, e con Athos De Luca, che scrive sonetti e inghiotte manifesti, è a pieno titolo rappresentante dell'ala più dimostrativa e spettacolare del movimento. La Lega Ambiente, intanto, s'è fatta sponsorizzare dal Mulino Bianco. Il che non vuol dire, necessariamente, che la battaglia contro l'atomica e il risveglio dei verdi siano da archiviare come cose spregevoli. Filippo Ceccarelli La pattuglia che arrivò a Palazzo in bicicletta subito divisa da rivalità, stipendi e risse A sinistra Giovanna Melandri Qui a fianco Renata Ingrao A destra Francesco Rutelli
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