GENOCIDIO ANNUNCIATO di Enzo Bettiza

Fidel alla Nunziatura DALLA PRIMA PAGINA GENOCIDIO ANNUNCIATO etnica» contro le popolazioni musulmane della Bosnia: un genocidio annunciato, fin dal 1985, che di volta in volta venne definito dagli occidentali «guerra civile», «guerra fra pessimi e cattivi», «guerra di tutti contro tutti», «guerra tribale di cui non si capisce nulla». Invece, fin dall'inizio, chi voleva poteva capire tutto: bastava leggere i giornali belgradesi durante gli Anni Ottanta, ascoltare i primi plateali comizi nazistoidi di Milosevic, seguire i primi passi con cui i politici serbi avviarono la disintegrazione della Jugoslavia titoista e avvistare le prime devastanti tracce dei carri armati serbi nel Kosovo. Torto ciò che è avvenuto dopo, Srebrenica compresa, era stato lucidamente preannunciato, spiegato, perorato e programmato dai politici come Milosevic, dagli scrittori come Cosic, dai poeti come Karadzic, dai militari come Mladic: la sanguinosa ricostruzione utopica della grande Serbia millenaristica. C'erano già, in quegli scritti, in quei poemi epici, in quei discorsi, le «città martiri»: Vukovar, Sarajevo, Bihac, Gorazde e infine Srebrenica. Ma il triste elenco continuerà. Dopo Srebrenica, dopo Sarajevo, verranno ancora Zepa, Tuzla, forse tornerà Dubrovnik, forse apparirà sulla lista perfino Pristina nel cuore della contrada kosovara. Caratteristica peculiare di queste speciali «città martiri» a ripetizione è di essere, benché «protette» dal nichilismo dell'Onu e in parte della Nato, un misto di città militarmente assediate dal nemico e di ghetti insidiati dalla fame, dalle malattie, dal crimine e dalla prostituzione. La vita vi è resa precaria, anzi impossibile, non solo dalle granate e dai cecchini serbi, ma anche dalla mancanza di cibo, di medicinali, di rifugi, di ospedali, di scuole: di tutto ciò che costituisce la normalità quotidiana, malgrado la mafia, a Palermo o, malgrado il terrorismo, perfino a Belfast. In Sicilia si può morire di vile lupara e nell'Irlanda del Nord di bombe proditorie. Ma a Srebrenica, città altrettanto europea, in questa fine di secolo sono morte di fame già alcune decine di persone. Ghetti, dunque; ghetti atrocemente sovrapposti, continuamente alimentati da nuove ondate di profughi incalzati dai serbi; ghetti che scoppiano di bombe, di miseria e di sovrappopolamento intensivo. Srebrenica, prima dell'attacco serbo di tre anni fa, era stata una ridente e tranquilla cittadina jugoslava di 35 mila abitanti, per tre quarti musulmani. La Srebrenica espugnata dall'ultimo attacco serbo era diventata una mostruosa bidonville di 55 mila musulmani ghettizzati e disperati. Ma il loro calvario è tutt'altro chefinito. 40 mila di questi paria d'Europa hanno cercato invano rifugio nella vicina base olandese dell'Unprofor, Potocari, a Nord della città occupata dai miliziani di Karadzic. Sennonché il generale Mladic in persona, il grande purificatore serbo-bosniaco, colpito da un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra, è piombato come un falco su Potocari con quaranta autocarri. Si è ripetuto così sotto gli occhi dell'Europa uno spettacolo ben noto, consegnato ai libri di storia con l'implicito impegno morale che cose del genere non dovranno più ripetersi, dopo il nazismo, sul nostro continente. I miliziani di Mladic hanno separato gli uomini dalle donne, le donne dai bambini. avviando poi interrogatori, ispezioni corporali, conteggi, controlli sanitari che ricordano da vicino le pratiche che precedevano l'invio degli ebrei destinati alla gasificazione finale. Ora l'Occidente guarda esterrefatto e discute. Si è finalmente capito che la determinazione serba non può essere vanificata da qualche raffinato e selettivo bombardamento dal cielo: come ha detto bene un funzionario del governo russo, l'ultimo attacco degli aerei Nato si è risolto in «due vecchi carri armati distrutti e un'intera città perduta». L'Onu ha votato una risoluzione, inserita nel famoso capitolo 7 della sua Carta, che servì da copertura legale all'attacco americano contro l'Iraq, in cui s'invita il segretariato generale dell'organizzazione a usare «tutti i mezzi» per riportare a Srebrenica lo statuto di «città protetta». Il che, ove la risoluzione non rimanesse come al solito carta straccia, significa che Srebrenica dovrebbe essere riconquistata con le armi. Quali? La Francia, a parole, si dice pronta a mettere a disposizione dell'Onu le proprie. Vedremo. La situazione, anzi la tragedia, è giunta comunque al momento delle scelte decisive: o ritirare gli uomini dell'Onu senza scontrarsi coi serbi, oppure scontrarsi rafforzando lo scudo militare e legale dell'Onu sul territorio. Ultima soluzione: la levata dell'embargo sulle armi, dando ai musulmani bosniaci la possibilità di difendersi da soli dall'aggressione. La quarta scelta, la più vagheggiata, quella del negoziato, non c'è più. Non rimangono più altre opzioni al di fuori o della fuga, o delia guerra diretta, o infine della guerra trasversale col riarmo internazionalmente garantito dell'esercito di Izetbegovic. Il resto è cloroformio e sogno. Enzo Bettiza

Persone citate: Cosic, Ghetti, Izetbegovic, Karadzic, Milosevic, Mladic