RITA a me Shakespeare di Simonetta Robiony

RITA a me h La Pavone rinasce a 50 anni e interpreta in teatro «La dodicesima notte» RITA a me Shakespeare LUGANO. Rita Pavone: cinquant'anni tra un mese e un nuovo ennesimo debutto. Un debutto di lusso. Shakespeare, «La dodicesima notte» di Franco Branciaroli, con Renzo Montagnani e Pino Micol, dal 15 al teatro romano di Verona, poi a quello di Fiesole, con lei nel ruolo di Maria, tutto recitato, senza nemmeno una canzone, perchè il regista non l'ha voluta far cantare per non sminuire le sue capacità interpretative. Un regalo della vita. Un altro. Per questa donna che definisce ancora la sua esistenza: «La mia favola infinita». Dopo quarant'anni di canzoni grandi e piccole, dopo ventisette anni di matrimonio con Teddy Reno e due figli ormai adulti e già al lavoro, dopo una casa a Lugano e tanti viaggi in Germania e in Francia su e giù per l'Italia per tenere insieme carriera, affetti, soldi, successo, gratificazioni, dopo molti dischi venduti e molti non, ma anche dopo molte porte chiuse in faccia e nessun grazie da nessuno. Com'è successo che Franco Branciaroli abbia pensato a lei? «Non lo so. Ho avuto una telefonata. Pensavo fosse per una cosa musicale. Mi hanno detto che no, era Shakespeare com'è Shakespeare. Mi sono spaventata. Poi ho incontrato Branciaroli. Ha insistito. Mi ha dato fiducia. Mi sono buttala». Gli ha chiesto perchè ha pensato a lei? «Naturalmente. Si ricordava del mio "Gianburrasca" e voleva una "Dodicesima notte" altrettanto vivace. Ho sentito che era il destino a regalarmela». Perché? «Tanti anni fa, era il '63, Remigio Paone mi aveva proposto la stessa cosa in una versione musicale realizzata a Londra. Non se ne fece niente in quanto mancava, tra i tanti motivi, quello giusto per farne un disco. Ma se allora m'era sfuggita, stavolta l'occasione non me la sono lasciata scappare. E' un tuffo nella civiltà. Un testo meraviglioso tradotto da Agostino Lombradi, compagni colti e intelligenti, un teatro di una bellezza che toglie il fiato, una recitazione che sembra musica. Sono terrorizzata ed euforica». Non arriva troppo tardi? «Per le cose belle è sempre il tempo giusto». Potrebbe essere l'avvio di una nuova carriera? «Mai. Cantare è la mia vita. Canto anche in casa, da sola. Canto da quando era bambina. Non ricordo un momento in cui non abbia cantato. Anche fare la corista mi bastava e ho avuto molto di più. Canto per trovare emozioni. E regalarle a chi mi ascolta. In fondo è la stessa cosa che recitare». Film ne ha fatti anche lei, ma erano cose piccole, stavolta sarà diverso. «Non credo. Ho lavorato con la Wertmùller, con Steno, con Vivarelli, a fianco di Romolo Valli, Giu¬ lietta Masina, Giannini. So cos'è la qualità e l'ho sempre preservata». Perché allora l'è capitato tante volte di essere scartata? «Perché non ho mai voluto legarmi a nessun gruppo. E nella canzone italiana si va avanti per gruppi e gruppetti d'appartenenza». Non crede che all'epoca abbia fatto scandalo il suo matrimonio? Lei che rappresentava l'eterna ragazzina aveva scelto un uomo tanto più vecchio, per di più già sposato, per di più suo manager? «Certamente il pubblico non l'ha capito. Ma io avevo già ventitré anni. Ero una donna, non un monello. Se avessi aspettato ancora mi sarei sentita una zitella. Inoltre non vedevo l'ora di togliermi di dosso quel personaggio nè maschio nè femmina che m'aveva regalato il successo. Non ero un cartone animato e volevo farlo sapere». Non se n'è mai pentita? «Mai». Anche quando a Sanremo non l'hanno invitata più? «Sanremo non è tutto. Comunque non ho sofferto. Ho sempre avuto produttori diversi in Francia e in Germania per i quali incidevo canzoni adatte al loro mercato. Il mio disco "Se fossi un ragazzo" in Germania ha venduto un milione di copie ed ora l'ha inciso di nuovo Nina Hagen. Che l'Italia mi volesse poco non è stato un dramma. Non sono un prodotto usa e getta. I Duran Duran sono passati. I Take That passerano. Io vado avanti. E ho conquistato stima e rispetto». Perché vive in Svizzera? «Ho una villetta nel verde e ci sto bene e poi Teddy Reno è di origine austriaca. Suo padre fu costretto sotto il fascismo a cambiare il cognome Merk in Ricordi che ne è la traduzione: noi lo abbiamo ripreso». Quando s'è accorta per la prima volta della sua popolarità? «Ero con mia madre in un bar a Roma. Allora la tv si vedeva nei bar. Faceva freddo. Ero coperta con una sciarpa. Un uomo vedendo la mia immagine a Studio uno commentò: "Io sto qua solo per la piccoletta: degli altri non me ne frega niente". In quel momento capii che ero diventata un fenomeno». Chi le aveva aperto la strada? «Antonello Fai qui. Il mio mago è stato lui. Bruno Canfora gli aveva parlato di me che ero con Morandi nella scuderia della RCA in un appartamentino al Clodio, in attesa di incidere qualche disco e Falqui mi prese per Studio Uno, al posto di Mina che aspettava suo figlio». Cosa l'aveva convinto? «Il suo intuito. Poi la mia voce. Infine il fatto che ballucchiavo, recitavo, facevo le imitazioni. Mi bastava mettermi adosso una stola di visone e io che sono bassissima, mi sentivo una donna bella e fatale. La mia Marilyn, la mia Carmen Miranda, la mia Marlene sono nate in questo modo». Il suo modello? «Judy Garland e gli americani. In fondo ho sempre voluto fare tutto». Simonetta Robiony «Franco Branciaroli mi ha scelta perché si è ricordato di "Gianburrasca" Ho avuto paura ma ora so che è un regalo del destino» Rita Pavone ai tempi di •Gianburrasca» Qui a destra in una foto recente con il marito Teddy Reno. Sotto: Franco Branciaroli