Per l'Italia un'estate da samurai

Per l'Italia un'estate da samurai Per l'Italia un'estate da samurai Dietro il boom salari moderati e tanta svalutazione LA CRESCITA DIFFICILE IROMA L Samurai, in questo tardivo incedere d'estate, s'è preso una vacanza e, a quel che sembra, è arrivato qui da noi in un rutilare di sciabole affilate, in un vento carico di profumi d'Oriente, sul quale si libra l'inedito boom italico alla giapponese: Tokyo, Italy; o, meglio, Torino, Japan, perché proprio il Piemonte, dicono le statistiche, ha il boom più boom di tutti. Verrebbe quasi da crederci - prima di scoprire qualche trucco - a questo singolare ribaltone continentale del «pericolo giallo», leggendo le dichiarazioni alf'Ap Dow Jones di Masahiko Komura, direttore "del-. l'Agenzia di-pianificazione .economica giap^SofièSe," àichiara7ioni che fanno da curioso contrappunto alle parole pronunciate poche ore prima a Basilea dal governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio. «L'economia nipponica - ha detto Masahiko, con uno di quei paragoni delicati nei quali gli orientali sono maestri - si trova nella situazione di quel signore che si riposa un po' mentre sta salendo una rampa di scale». Come dire che, per la prima volta dall'ottobre 1993, la ripresa economica giapponese si è fermata, s'è presa come una pausa per calmare l'affanno. Al contrario, l'economia italiana va su come Coppi sul Monginevro o, se volete stare alla similitudine nipponica, come un signore che fa le scale a piedi avendo sniffato un po' di cocaina. Al punto che il governatore se ne duole e lancia l'allarme: «E' necessario moderare la crescita». Misteri dell'economia, dirà giustamente chi scorre i titoli di prima dei giornali, indiscutibilmente privi delle certezze palmari che danno, invece, quelli sul Tour de France: chi ha vinto la tappa e chi l'ha persa? Ma come, non eravamo il fanalino di coda del mondo industrializzato, persi alla deriva tra il disastro dei conti pubblici, le incertezze politiche, gli oneri del costo del lavoro e chi più ne ha più ne metta? Non era forse il secondo imprenditore italiano, Carlo De Benedetti, a dire, fino a qualche tempo fa, che lui aveva una voglia matta di trasferirsi a Singapore? E adesso che succede? Possibile che, all'improvviso, sia l'Oriente a trasferirsi qui da noi, con la produttività, i bassi salari, la competitività intemazionale che spaventa persino Chirac e Kohl? De Benedetti non la pensa affatto così, crede piuttosto che - a dispetto dei dati della bilancia commerciale, che ci rallegrano tutti - se riparte veramente forte la spirale dell'inflazione saranno guai tremendi, anche perché, inevitabilmente, salterà il patto sociale sottoscritto con i sindacati dai governi Amato e Ciampi e salvato dal governo Dini con una riforma delle pensioni che il direttore generale della Confinduslria Innocenzo Cipolletta definisce quantomeno «fiacca». Insomma, la spiegazione di ciò che sta avvenendo e che suscita le legittime ansie del governatore, non è semplicissima, ma, ascoltando imprenditori e economisti di varie scuole (questi ultimi accusati, peraltro, di prendere sempre più spesso clamorose «toppe»), oltreché qualche analista internazionale, si può tentare di stilare un piccolo prontuario della nostra presunta estate giapponese. E' vero, l'Italia va a tutta birra, mentre gli altri Paesi, a cominciare dagli Stati Uniti e, per l'appunto, dal Giappone, rallentano. Niente di strano: la ripresa, più volte annunciata, è arrivata da noi in forte ritardo, con quello «sfasamento» di cui parlava sempre Carlo Azeglio Ciampi da presidente del Consiglio e, naturalmente, prolunga i suoi effetti. Quand'è arrivata, si è poi giovata di una svalutazione colossale, quasi il 40 per cento, analoga, più o meno, a quella che si registrò tra il 1914 e il 1918, cioè durante la prima guerra mondiale, con evidente vantaggio per le nostre imprese esportatrici. Naturale che il prodotto lordo sia aumentato impetuosamente, come avvenne, peraltro, nel 192325, all'esordio del governo fascista - se vogliamo un paragone storico, che ci fornisce gentilmente il professor Valerio Castronovo - quan¬ do, anche per il deprezzamento della lira, le esportazioni di manufatti crebbero ogni anno a un tasso medio superiore al 15 per cento. Per di più, la moderazione salariale ha limitato l'incremento del costo del lavoro, anche se non nei termini che dicono le interpretazioni giornalistiche dei dati dell'Ocse, che ci vorrebbero ormai beati a Singapore, anzi meglio, con salari tra i più bassi del mondo. D'altra parte, l'aumento del Pil non è, di per sé. un segnale di salute: «Vi siete dimenticati l'epoca del governo Craxi?» - ci chiede, un po' ironico, un analista internazionale: l'economia cresceva all'insegna dello slogan craxiano «La nave va», ma il disavanzo pubblico galoppava, la nave , in realtà, andava verso la scogliera, con tutti i saloni illuminati e festanti, praticamente una bara galleggiante. Insomma, per farla breve, la nostra ripresa s'è riempita, alfine, com'era inevitabile, d'inflaziono e questo è il mostro che il governatore si affanna adesso a esorcizzare. Prima, con la svalutazione, le esportazioni sono volate, poi con l'«eccesso di svalutazione», secondo la definizione di Paolo Savona, il giocattolo s'è rotto: il dissesto dei conti dello Stato non s'è potuto affrontare radicalmente in così breve tempo, le incertezze politiche si sono moltiplicale, le materie prime sono andate alle stelle e i prezzi interni hanno cominciato a surriscaldarsi, pur in presenza di una domanda poi non superlativa, come dimostrano gli ultimi dati sul mercato dell'auto, che, si sa, è indicativo dei consumi. Altro che Giappone, la verità è che rischiamo di diventare vittime del nostro stesso boom, perché la ripresa - è vero - è fortissima e anche distorta, ma - avverte Cipolletta - se la fermiamo che succederà? Perché proprio questo è il monito del governatore al governo, al Parlamento e anche agli industriali, accusati di giocare, disinvolti,;cpi prezzi; jUcijIi, sk aou 10 fate voi, dovrò farlo io e sarà peggio. Perché ciò che amministra 11 governatore è la quantità di moneta, attraverso lo sconto. Si sa, c'è quello che Guido Carli chiamava «L'io solipsistico del monetarista», c'è la vocina che gli dice: «L'inflazione deve restare inchiodata a zero». Ma Carlo Azeglio Ciampi, realista, pensa che «se, per esempio, un governo fissasse a valore zero il tasso d'inflazione programmata, il sindacato non avrebbe torto a nutrire dubbi sulla sua onestà intellettuale»: come dire, un puro imbroglio. Karl Otto Pohel, ex governatore tedesco, che Ciampi chiamava scherzosamente «Carlotto», non esitava, per la verità, a confessare che proprio quello, lo zero, era il suo sogno; e Ciampi gli faceva da spalla: «Forse è il sogno di qualunque banchiere centrale», lo consolava. Che cosa sogni oggi Fazio non sappiamo, ma sospettiamo che, se domani la Bundesbank non ridurrà ancora i tassi, lui seguirà l'istinto monetaristico e alzerà i nostri: quel che veramente serve a questo Paese per evitare di diventare vittima del proprio boom o uno strangolamento puro e semplice della ripresa che fa le scale due a due, come direbbe l'amico giapponese? Chi può dirlo, tra economisti sempre più confusi sulle ricette? Certo, è evidente che più che raffreddare la congiuntura sarebbe utile rafforzarla, magari inducendo maggiori investimenti. Ma come si fa? Sappiamo che il più elevato tasso di crescita si registra in Piemonte e che segue il Nord Est d'Italia. Ma un grosso avvocato d'affari internazionali che lavora molto in quella zona ci segnala che alcuni industriali suoi clienti sono costretti a spostarsi sempre più a Est, via via, fino ad aprire stabilimenti in Polonia, perché nelle loro regioni non c'è più manodopera, c'è la piena occupazione. Chi può dire che Berlusconi, pur esagerando un po', non avesse previsto l'onda occupazionale, come dicono in sindacalese? Ma è un'onda che monta soltanto al Nord e che lascia, nel resto d'Italia, una risacca devastante. Sarà per questo che non soltanto ira gli industriali, ma anche tra gli economisti, cresce il numero di chi pensa che questa sia materia da non poter affidare soltanto all'io del monetarista e al tasso di sconto: nella stagione dell'italico Samurai forse ci vuole finalmente il ritorno alla politica, ma quella vera, per carità, non quella degli spot. Alberto Staterà Dopo l'euforia per la ripresa l'eterna paura dei prezzi impazziti ITALIA SUPERSTArT / (Previsioni Ue nello crescita del Pil +3,4 3 1995 1 1996 VT CHI CRESCE PI PIU'T / Ecco le variazioni percentuali del Pil delle regioni per il 1994, rispetto al '93; Fonte: Istituto Tagliacarne REGION* VARIUIONE REGIONS VARIUIONE PIEMONTE 3,5 UMBRIA 1,6 VALLE D'AOSTA 1,8 MARCHE 2,3 LOMBARDIA 2,5 LAZIO 1,3 LIGURIA 1,8 ABRUZZO 2,1 TRENTINO MOLISE 1,5 ALTO ADIGE 3,0 CAMPANIA 0,7 VENET0 3,0 PUGLIA 2,1 FRIULI BASILICATA 0,4 VENEZIA GIULIA 2,1 CALABRIA -2,6 EMILIA R0MAGNA 2,4 SICILIA -0,3 T0SCANA 2,0 SARDEGNA 0,7 ,,FRIULI BASILICATA 0,4 VENEZIA GIULIA 2,1 CALABRIA -2,6 EMILIA R0MAGNA 2,4 SICILIA -0,3 T0SCANA 2,0 SARDEGNA 0,7