Strehler: Basta sparare su Brecht

Strehler: Basta sparare su Brecht POLEMICA. a Parigi il grande regista attacca i detrattori del drammaturgo tedesco Strehler: Basta sparare su Brecht Nulla può la calunnia contro l'arte di un maestro A Parigi, dove il Piccolo Teatro è impegnato al Théàtre de l'Odeon nelle repliche deH'«lsola degli Schiavi» di Marivaux, Strehler, con una intervista a «le Monde», è intervenuto in difesa di Bertolt Brecht contro le calunnie dello storico americano che lo accusa di sfruttare il lavoro delle sue amami. EPARIGI A pubblicazione e la traduzione di Brecht & C. del professore universitario americano John Fuegi non finisce di scatenare polemiche intercontinentali. Lei è stato vicino a Brecht, gli è stato amico. Quali riflessioni le ispira questa polemica? «Ho deciso di dedicare a Brecht la prossima stagione del Piccolo. Siamo finalmente usciti dalla "guerra fredda" nei confronti della sua opera, anche se la guerra estetica non è ancora terminata. Sino ad oggi, se si era di destra bisognava dire male di Brecht; se si era di sinistra si doveva dirne bene. Oggi, si può parlare serenamente non soltanto di Brecht, ma di Beckett o di Pinter senza cercare di mettere gli uni contro gli altri. Sono dei grandi, delle voci immense del teatro contemporaneo. La furia prò o contro Brecht è terminata. Si può tentare di discuterne, fare degli spettacoli molto differenti per provare la reazione degli spettatori di fronte a questo scrittore importante nella storia del teatro e in quella del mondo. «Per quel che riguarda il libro di Fuegi, la mia posizione è molto semplice. Nessuno ha il diritto di scrivere cose simili. Si può discutere di Brecht dal punto di vista letterario, poetico, politico. Ma non si discute della calunnia assoluta, della miseria assoluta... Brecht non sapeva scrivere a macchina. Sono stato io a regalargli una Olivetti nel 1953 e, a partire da quel giorno, ha sempre scritto a macchina. Ho la casa piena di suoi manoscritti con le sue cor¬ rezioni. Sì, scopava le donne... Ne aveva molte e le tradiva tutte. Secondo me preferiva sempre delle donne brutte, ma comunque lui le portava a letto. Ne abbiamo parlato molto, quando ero suo allievo nel '52, '53, con Besson e Palitsch. Andavo e venivo fra il Berliner e il Piccolo, uscito da una generazione dogmatica e un po' scema. Eravamo infastiditi dall'atteggiamento di Brecht nei confronti delle donne, in nome della purezza del comunismo, del socialismo, ecc. Stupidaggini... «Brecht ha avuto amori e avventure. Per esempio Margarete Steffin. E' stata il suo grande amore, morta in Russia, a Vladivostok, e non perché Brecht l'aveva abbandonata in un ospedale... Ha scritto poesie sulla Steffin; il libro di corrispondenza fra lei e lui è di una grande tenerezza. Una poesia dice: "Steffin è morta, il mio maestro è morto, la mia guida è morta", è straziante. Elizabeth Hauptmann, Ruth Berlau, o altre, erano sue collaboratrici, e non delle donnine da farci l'amore. Accanto a lui sono fiorite, sono diventale delle intellettuali. Nessuno può negare che Brecht abbia dato tutto alle sue donne. Quando si fa l'amore ci si dà e si prende. Quando ancora non si parlava di liberazione della donna, lui ha avuto una visione folgorante dell'intelligenza femminile, della necessità di dare loro delle possibilità. «Dire che queste donne hanno scritto i lavori di Brecht è una cosa incredibile. Ho appena ricevuto da Francoforte una edizione integrale delle sue opere. E' in trentacinque volu- mi. Trentacinque! Di una unità stilistica, di una riccheza poetica totali. Se c'è una cosa che non si può contestare è la singolare capacità di destreggiarsi con la lingua. Brecht è uno stilista, il migliore stilista contemporaneo del tedesco. Non escludo che in una scena possa aver chiesto a questa o a quella di scrivere qualche cosa». Bisogna allora considerarla come un partigiano del poeta? «Sono stato allievo di Brecht, rna non sono cieco. Vengo da una scuola nata prima di lui, quella di Jacques Copeau. Brecht era un uomo di un rigore estetico molto forte, ma non era affatto dogmatico, perché era molto cattolico... Ma ha gettato una luce sul teatro che il padre Jouvet, il mio terzo maestro, ha magnificamente sfruttato. Sono arrivato a Brecht dopo esperienze che mi hanno permesso di essere lucido. Lui stesso distruggeva ogni forma di "verità definitiva". Era un anti-dogmatico, un dialettico, un pessimista ironico. Dubitava quasi di tutto. Quando era sicuro di una cosa allora avanzava. Ma le sue prove erano sempre propositive. Aveva la mania della contraddizione tale da infastidire, ma era il suo metodo di lavoro». Qual è il suo ricordo più forte di Bertolt Brecht? «La stagione prossima leggerò insieme ad altri le note di Brecht per Aspettando Godot di Beckett. Aveva incominciato a fare un adattamento della pièce, con alcuni cambiamenti stilistici dovuti alla traduzione. Brecht stimava molto Beckett. Diceva che gli sarebbe piaciuto, dietro il vuoto che circonda Vladimir e Estragon, inventare qualche cosa in costruzione, non sapeva cosa, ricorrendo magari alla proiezione di un film. Ignoravo che avesse scritto delle pagine su Beckett e che conoscesse molto bene il suo teatro. Una sera mi ha detto: "Sai, c'è una cosa che mi piacerebbe sapere. Vorrei chiedere a Beckett dove erano Vladimir e Estragon durante la seconda guerra mondiale". Cinque anni dopo ho incontrato Beckett a Parigi. Parlando con lui mi sono accorto che anche lui conosceva bene l'opera di Brecht. "Prima di morire Brecht mi ha confessato che voleva farle una domanda - gli ho detto -. Voleva sapere dove erano Vladimir e Estragon durante la seconda guerra mondiale". "Nella Resistenza", ha risposto Beckett. Ecco tutto. E ha fatto la Resistenza lui, l'uomo del pessimismo assoluto. Nel momento in cui bisognava impegnarsi, non era "dall'altra parte". «"Hai notato" mi diceva Brecht, "che nel mondo vuoto di questo pessimista nessuno si uccide". Se si osserva da vicino l'opera di Beckett, non c'è in effetti neppure un colpo di revolver, nessuno si suicida. Tutti i personaggi dicono che la vita è orribile, piena di aborti senza gambe e senza braccia, ma ci sono, Beckett è lì, testimone della vita. In questo senso Brecht era colpito dall'opera di Beckett. Mi ha addirittura detto:"Un poeta è sempre ottimista, anche se descrive la fine del mondo, anche se afferma che non si può più vivere insieme. Nel momento in cui lo scrive è perché ha fiducia nel mondo"». Olivier Schmitt Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» «Affrontiamolo con Beckett e Pinter superando le ideologie di destra e sinistra» «Non è vero che sfruttava le donne In realtà aveva una visione folgorante dell'intelligenza femminile» // suo stile, il suo rigore estetico il segreto della macchina da scrivere A destra, Giorgio Strehler; sotto, Samuel Beckett, che Brecht ammirava e conosceva bene Qui accanto, Bertolt Brecht nel 1928 fotografato nel suo studio ai tempi della andata in scena dell'<Opera da tre soldi»

Luoghi citati: Francoforte, Italia, Parigi, Russia