Le adolescenze infernali
Oliver Sacks: i segreti del mio lavoro Usa, nuovo fenomeno letterario Le adolescenze infernali NNEWYORK EGLI Stati Uniti è appena uscito un libro che ha mandato in visibilio tutti li critici, eccitati per la scoperta di un nuovo genio letterario americano. Il libro si chiama T7i<? Liar's Club (editore Viking), ed è il «memoir», o racconto autobiografico, dell'infanzia della poetessa Mary Karr nell'East Texas. Karr è nata quarant'anni fa a Leechfield (letteralmente «campo delle sanguisughe), luogo di produzione della diossina usata nel Vietnam e terra di raffinerie e paludi, abitata in maggioranza da bianchi poveri e poco istruiti (la «white trash», spazzatura bianca). Cresciuta in povertà con i genitori alcolizzati, lui rozzo menefreghista e lei folle incendiaria che legge Camus e sogna New York, Mary viene violentata due volte prima di compiere undici anni, e nella sua infanzia non ha avuto momenti di felicità. A 17 anni scappa di casa e solo dieci anni dopo, nel confronto con la madre bisognosa di aiuto e con il proprio passato, riuscirà a iniziare la catarsi conclusasi con The Liar's Club. Oggi Mary Karr è una poetessa apprezzata, e vive nello Stato di New York scrivendo e insegnando letteratura alla Syracuse University. Il successo di The Liar's Club è certamente dovuto alla qualità della scrittura («Trovare un tale genio a Leechfield», scrive Molly Ivins su The Nation, «è come trovare Beethoven nel New Jersey»), ma è anche una legittimazione del «memoir» come genere letterario emergente negli Stati Uniti: il critico Jonathan Yardley scrive sul Washington Post che «il memoir potrebbe diventare il genere letterario americano più importante entro la fine del millennio», soppiantando la sempre più scarsa narrativa di qualità. Il «memoir» americano non è un memoriale, e neanche un'au tobiografia. E' il racconto di una parte della propria vita, solita mente l'infanzia o l'adolescenza e quasi sempre con esperienze tragiche e traumatiche, famiglie disgregate, malattie o autodistruzione, e le inevitabili conseguenze psicologiche per l'autore/vittima. Una psicoanalisi collettiva via libro, ma spesso senza l'ironia di Woody Alien. Da Stop Time di Frank Conroy 1967) a This boy's life di Tobias Wolff (1989) il «memoir» si è affermato come genere a sé, per poi essere adottato dai giovani scrittori degli Anni 90, soprattutto donne. Valgono per tutti due esempi: Autobiography of a face di Lucy Grceley, il racconto della sua vita con la faccia sfigurata da un cancro; e Prozac Na tion di Elizabeth Wurtzel, storia di una gioventù «bella e dannata» tra depressione e psicofarmaci, un bestseller americano che nella Svezia patria dei suicidi si vende più della vodka di contrabbando. Quasi una gara a chi ha vissuto l'infanzia pivi traumatica, ma senza il filtro della narrativa cui una volta queste esperienze sarebbero state destinate. The Liar's Club però va oltre allo stereotipo del «memoir». La vita della piccola Mary dai 7 ai 10 anni è una lunga serie di episodi di violenza, miseria e follia, ma è l'apparente normalità di tutto ciò nel mondo in cui è cresciuta a impressionare di più il lettore. La sua voce narrativa quasi bilingue, in perfetto bilico tra una delicata sensibilità poetica e lo slang texano, è la qualità migliore del libro, e raramente trasmette un senso di disperazione. La piccola Mary esprime spesso paura e rabbia, ma non si lamenta. Mary Karr racconta con la freddezza di chi ne ha passate tante e l'immediatezza di chi non può dimenticare, con un atteggiamento pratico molto yankee che, insieme a una buona dose di ironia, la salva dalla cultura del piagnisteo ancora regnante. A chi le dice che ha avuto un'infanzia sfortunata, Karr contrappone la sfortuna dei bambini del Ruanda, e si rifiuta di considerarsi una vittima. Stefano Eco
Luoghi citati: East Texas, Leechfield, New Jersey, New York, Ruanda, Stati Uniti, Svezia, Vietnam
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