Istanbul la vacanza sotto scorta

I reparti speciali della polizia a guardia delle flotte di turisti che tornano nel Paese I reparti speciali della polizia a guardia delle flotte di turisti che tornano nel Paese Istanbul, la vacanza salto scorta La paura sbarca sul Bosforo ISTANBUL DAL NOSTRO INVIATO Sono tornato a frugare le rive e i bordi del Mediterraneo malato. Dalla Grecia ho risalito l'Egeo assaltato dai turisti e da lì, su un battello turco sono entrato nell'ultima propaggine di questo stagno. Il mar di Mannara fino a Istanbul, chiave di queste acque e serbatoio di ogni memoria. Da qui mi volto e guardo, con qualche timore nuovo. So che il grande mare ò malato, di rancori, di odi e vendette che si versano dentro: corruttori delle acque che hanno visto nascere tutte le civiltà del nostro mondo, le stesse civiltà che hanno costruito la tecnica e la filosofìa con cui viviamo. Ho cominciato il mio viaggio lungo i bordi del terribile stagno - la pozza dove gracidano tutte le rane, come diceva Platone - partendo dalla Turchia. Da Istanbul di fronte al mar di Mannara, un'ansa recondita, per così dire, del Mediterraneo, perché qui ha germinato gran parte dei conflitti e degli odi, di qui si sono sparsi gli inganni portati subdolamente dall'Occidente e poi riverberati dall'ira dell'Oriente. Istanbul è sempre stata ed è tuttora la chiave di volta del Mediterraneo. E la trovo presidiata dalle milizie. Ma meravigliosa come sempre, benché pervasa da un'angoscia che ha a che fare anche con la crisi economica, comune a tutti i paesi rivieraschi del Medio Oriente. Che angoscia è, nell'estate '95, su questa sponda? Il venditore di bandiere turche con la mezzaluna non fa molti affari al mercato di Yenì Camii Meydani, ma non si lamenta. I forestieri dalla pelle bianca e sudata stanno arrivando carichi di dollari, marchi, yen e lire. E anche con la loro insopportabile improntitudine: quelle sguaiate ragazze in calzoncini strappati che costringono i barbieri dalle dita di nicotina e i loro clienti a far capannello turbati sul marciapiede. Arrivano carichi di vaucher prepagati per scarpinare nei mercati e sulle scale dei minareti, imbarcarsi sui battelli del Bosforo, bearsi alla luce del tramonto sul ponte di Galata. 0 nei mercati come quello in cui mi trovo, immerso nella odorosa penombra delle gallerie. La giornata sul Bosforo è lucida e infiltrata da un velo di caligine. La macchina da guerra del turismo sbarca le sue troppe e nessuno sembra aver paura dei fondamentalisti, né dei guerriglieri curdi che minacciano di terrorizzare i turisti per danneggiare la sorgente della valuta pregiata. E con i curdi il governo della bionda e determinata Tansu Ciller ha un conto aperto: da marzo, con la prima ondata di invasione lungo 229 chilometri di frontiera con l'Iraq, il governo di Ankara ha iniziato un'operazione radicale. Bombe, razzi, elicotteri, rastrellamenti. Centinaia di vittime civili. Smentite imbarazzate. Poi, lento ritiro. E giovedì è stata lanciata la seconda ondata. Da molte ore la televisione manda in onda le notizie sui combattimenti alla frontiera con l'Iraq. Ma nessun filmalo: il telegiornale mostra soltanto l'immagine fìssa di una carla geografica scolastica e una voce fuori campo spiega le buone ragioni del governo. Come sempre - il copione è identico da oltre un secolo - la comunità internazionale si sente imbarazzata anche se ha altro a cui pensare: la Bosnia, questa incancrenita propaggine della questione turca, è molto più imbarazzante. Vorrebbe semmai che le truppe turche facessero alla svelta questo sporco lavoro, visto e considerato che la Turchia è ormai in lista d'attesa per entrare nella Comunità Europea: non è ammissibile sedere fra i grandi di Bruxelles con un retroterra di cinquemila morti l'anno, sia pure nel deserto montagnoso oltre la frontiera irachena, dove il Pkk curdo ha le sue santabarbare. Comunque, il cannone tuona troppo lontano per essere udito qui, dove si odono soltanto grida festose e un frastuono di traffico comunque piuttosto ordinato. Sul pullman dell'escursione è acceso un piccolo televisore e nessuno dei pellegrini europei, americani o giapponesi, nota la signora Ciller dalla pelle vellutata e le forme pienotte che spiega e giustifica le operazioni militari con un profluvio di parole fra le quali si riconosce soltanto «terrorismi). Il popolo in calzoncini e inverecondi sandali entra nella grande moschea di Santa Sofia, ma pochi, forse nessuno, è più in grado di riascoltare con l'orecchio della memoria l'eco eterna dei cavalli di Maometto II, conquistatore di Costantinopoli, che caracollavano nella cattedrale scivolando sul pavimento viscido di sangue: i greci cristiani che si orano rifugiati sotto la croce furono tutti scrupolosamente decapitati e Mehemot non riusciva più a reggere la lama, estenuato dalla fatica di falciare per sempre tutti i pallori tremanti e imploranti del mondo che aveva per sempre sconfitto. La memoria, annegata negli odori, è dispersa di fronte alla storia di queste vendette antichissime, delle rappresaglie, dei massacri, persino degli arrembaggi delle galee veneziane e gli squartamenti sul ponte. Da una parte e dall'altra. E con un senso di disperazione frustrata la moderna Turchia deve sempre fare i conti con gli esaminatori occidentali che ora lo concedono, ora le negano, la definitiva patente di civiltà e dignità occidentale. Di questa storia irrisolta le masse turistiche giapponesi, americane, francesi e italiane non sanno quasi nulla mentre vagano in bermuda. Eppure proprio i turisti sono oggi una delle pedine del gioco delle minacce e dei ricatti: l'anno scorso gli attentati provocarono un fuggi fuggi di forestieri in vacanza. Adesso sono tornati in gran numer e certo non si accorgono neppure che i reparti speciali della polizia, cor.. mandos governativi addestratissimi e un esercito di informatori, li affiancano, li proteggono, li guardano a vista come cani pastori di un gregge minacciato dai lupi: curdi o fondamentalisti che siano. Davanti alla moschea si svolge come sempre la vita sociale, i viandanti musulmani si lavano i piedi nella fontana dalle cento bocche, gli uomini (si vedono soltanto uomini qui intorno) parlano e ragionano. All'interno non si prega soltanto ma si prepara e si beve il tè. Sono ormai parecchie le donne che vestono come prescrive la tradizione religiosa. Non moltissime, pur sempre una minoranza, ma molto più visibili di un tempo. Ed ecco che tra la folla appaiono e subito scompaiono a passo di carica pattuglie di uomini neri che a prima vista sembrerebbero sommozzatori in tuta, e che invece sono agenti dei corpi speciali antiterrorismo: marcantoni in tuta di plastica color grafite che fruscia con sibili di cicale, la grossa pistola automatica appesa a un gancio, la mitragliela in pugno, lo sguardo freddo, la scritta «polis» (polizia) sulle spalle. Sono loro i moderni giannizzeri incaricati di tener d'occhio i fondamentalisti e far passar loro la voglia di colpire il turismo. Al mercato di Misir Carisi i gesti, le mercanzie e le facce dei bottegai sono eterni come gli sguardi trasognati dei viaggiatori, avidi soltanto di portare a casa la pelle dell'immagine: come pelliccia del loro safari. Per questo forse non hanno tempo di dedicarsi alle straordinarie medicine «Aphrodisiaques des sultans» della bottega di Mesir Macunu dove due donnette di mezza età con il capo coperto contrattano polveri e radici, pillole di carne e pepe nere (kofte Bahari), cristalli di acido citrico miracolosi per la prostata e pinoli che restituiscono il gusto della languidezza perduta. E' questo il Paese in cui, appena cinque mesi fa, il ministro della Pubblica Istruzione Ncvzat Ayez ha disposto visite ginecologiche ricorrenti e a sorpresa per le ragazze fra gli Ilei 17 anni: le non vergini saranno espulse, immerse nella vergogna e non troveranno più marito. Il ministro Ayez è rimasto male per la sorpresa del mondo moderno, inspiegabilmente ostile al suo decreto che impone alle fanciulle che pretendono di studiare, di spiegarsi periodicamente gambe all'aria per il controllo di Stato sullo stato dell'imene. E ha sbuffalo irritatissimo di fronte al cancan che ne è seguito. Quindi, con santa pazienza, ha ricapitolato l'ovvio: e cioè che la società turca, come qualsiasi società del mondo, è basata sulla famiglia. E che la famiglia si fonda sul matrimonio. E il matrimonio non ha forse il suo pilastro nella verginità della donna, unica garanzia della paternità corta? Non è così anche da voi e da che mondo è mondo? L'idea che le ragazze europee, le turiste che girano seminude con le loro carni sode e bianche ben in vista siano a tutta evidenza delle vogliose puttanelle, è diffusa né più e né meno di quanto poteva esserlo nel nostro Sud post islamico fino a qualche decennio fa. Mentre Nevzaf Ayez emanava il suo decreto scolastico i fondamentalisti algerini ne emanavano uno più brusco, entrando nel liceo femminile «Mohamed Lazar» di lied Yer, nell'entroterra della capitale, prendendo una ragazzina di quindici anni, trascinandola per i capelli nel cortili! e lì sgozzandola a colpi di trincetto Più o meno negli stessi giorni il Parlamento europeo prima negava alla Turchia l'associazione all'unità doganale e poi, il 6 marzo, la conce deva. Motivo dei tentennamenti? Sempre lo stesso: diritti umani vio lati, uso della tortura nelle carceri e altre illiberalità. Il t'aito è che la storia si ripete OSsessivamento senza chi; nessuno ne colga l'essenza e la lezione salvo far uso degli elementi di pronto impiego propagandistico: la lista dei crimini (massacri, torture, stupri di massa con sveni lamento della stuprata) perpetrali dai popoli cristiani e visti dalla parte islamica, non è né breve, né onorevole, né remota: quel che accade in Bosnia è la norma, non l'eccezione. Non per caso Radovan Karadzic quando parla dei bosniaci, li chiama costantemente «turchi». Quando Abdulhamil, l'ultimo grande sultano turco effettivamente regnante, si sentì rimprovero dall'ambasciatore francese una cruenta repressione turca in Bulgaria, rispose secco: «Lei pensi alla notte di San Bartolomeo e a lutti i genocidi della sua cristianissima gente». Ci penso anch'io, mentre vado via da Istanbul e guardo il suo ritratto che lo mostra arcigno e disperalo, perché dovette assistere al disfacimento dell'antico impero. Aveva occhi pieni d'angoscia, anche se si preoccupò, chiudendo la sua bizzarra vita, più dei canarini portati in esilio a Salonicco che del suo paese. La sua era angoscia mediterranea, come certe forme di malaria e l'anemia. Ed è diffìcile, anzi impossibile evitarla. Anzi, non sarebbe neanche saggio. I turisti, i vacanzieri, navigano e ciabattano, e si arrostiscono e corrono alle loro scadenze e cadenze aerobiche. La maggior parte di loro ignora che cosa sia quell'angoscia e anzi, quando ne leggono le tracce sui volti dogli uomini e dei ragazzi la scambiano por una nota etnica, una cifra non lontana da quella del folclori!. Non è così. L'angoscia mediterranea è una malattia sottile e intrigante, perché contiene elementi morbosi, fra tanto scintillio di luci, di riverberi, di vapori c lame di luce insopportabili. E di fuochi ardenti che spargono un fiato di vecchie guerre. Fuochi e vampe in mezzo alla grande massa del turismo privo di memoria. Lungo le tracce di quei bagliori e di quelle fiamme proseguirò costa dopo costa la ricerca del Mediterraneo. Paolo Guzzanti I! continua) \ ifuochi |!s / laMfnlltiinWifS una voce fuori campo spiega le buone ragioni del governo. Come sempre - il copione è identico da oltre un secolo - la comunità internazionale si sente imbarazzata anche se ha altro a cui pensare: la Bosnia, questa incancrenita propaggine della questione turca, è molto più imbarazzante. Vorrebbe semmai che le truppe turche facessero alla svelta questo sporco lavoro, visto e considerato no, ora le negano, la definitiva patente di civiltà e dignità occidentale. Di questa storia irrisolta le masse turistiche giapponesi, americane, francesi e italiane non sanno quasi nulla mentre vagano in bermuda. Eppure proprio i turisti sono oggi una delle pedine del gioco delle minacce e dei ricatti: l'anno scorso gli attentati provocarono un fuggi dei viaggiatori, avidi soltanto di portare a casa la pelle dell'immagine: come pelliccia del loro safari. Per questo del 1994, del 24,5% per gli arrivi e del 45,2% per le presenze. Questi risultati relativi al periodo considerato sono i migliori degli ultimi dieci anni e confermano l'andamento più che positivo del turismo straniero in Italia, favorito ancora dal vantaggioso cambio della lira. A sinistra un gruppo di guerriglieri curdi. In basso turisti davanti all'ingresso del Topkapi Qui a fianco l'interno della moschea di Santa Sofia L'anno scorso gli attentati dei guerriglieri curdi provocarono la fuga dei visitatori

Persone citate: Bahari, Carisi, Ciller, Galata, Mohamed Lazar, Paolo Guzzanti, Platone, Radovan Karadzic, Tansu Ciller