Berlusconi Prodi non è ancora un leader

Al congresso non parla di tv, difende Mancuso, attacca i giudici. Applausi di cortesia e qualche fischio Al congresso non parla di tv, difende Mancuso, attacca i giudici. Applausi di cortesia e qualche fischio Berlusconi: Prodi non è ancora un leader E il professore dell'Ulivo: un atto di grande debolezza ROMA. «La stretta di mano la facciamo fare sul palco così la riprendono tutti». Sono le tre in punto del pomeriggio: nella torrida sala che ospita il congresso del pds, e che più tardi accoglierà il Cavaliere, l'addetto stampa di D'Alema, Claudio Ligas, e l'assistente per l'immagine di Berlusconi, Miti Simonetto, come due governanti intente a controllare che sulla tavola le posate siano messe al posto giusto, stanno dando gli ultimi tocchi alla scenografia del palafiera. Intanto gli uomini del servizio d'ordine, opportunamente addestrati in un'apposita riunione, vigilano sulle transenne anticronisti: nessun giornalista si dovrà avvicinare al cavaliere. Sono le cinque meno un quarto, il dibattito è ricominciato quando D'Alema scompare: va a ricevere Berlusconi. Stretta di mano «privata», seconda stretta di mano per i fotografi, poi il Cavaliere dà qualche copia del suo intervento al segretario pidiessino ed entra in sala. In platea silenzio e curiosità. Berlusconi si siede in prima fila, batte nervoso il piede, si asciuga il sudore con il fazzoletto. Ecco che lo chiamano in tribuna. Applausi di cortesia, qualche fischio sommesso. D'Alema, sul palco, lo accoglie con un sorriso «prestampato». Ennesima stretta di mano e poi si «aprono le danze». Berlusconi dice «benvenuto il dialogo», ma concede poco alla Quercia («sarebbe stato più facile lisciare il pelo al congresso, però non era mia intenzione farlo», spiegherà più tardi). E ancor meno concede a Prodi: «La leadership - sottolinea mentre parte qualche fischio isolato - si conquista sul campo e ad essa deve corrispondere un'autonoma forza elettorale e politica. Non escludo che nel futuro Prodi possa trovarsi in questa felice situazione di leadership. Per ora mi sembra di no». Duretto il Cavaliere. E Prodi, che non è lì a sentirlo, quando lo viene a sapere se la prende a male. Si sfoga con i collaboratori, e, non essendoci tv in giro, mette da parte il «buonismo»: «Ha detto così? E chi se ne frega - sbotta - per me non ò un problema, lo è por lui che sarà costretto a "rimangiarsi la faccia": io sono stato accolto come leader già in due congressi, quello del ppi e quello del pds. Eh sì, Berlusconi si è cacciato in un imbuto e va sempre più giù. Il suo è un atto di grande debolezza, che avrebbe scenso solo se in questo modo lui riuscisse a bruciare la mia leadership, ma non è così. Comunque il suo resta un gesto scortese politicamente». Dei furori prodiani, il Cavaliere non sa nulla. E' tutto intento a parlare al Palafiera. L'esordio è freddino. Berlusconi spie¬ ga che negli altri Paesi occidentali il «dialogo» avviene «all'interno delle istituzioni e quasi mai tra i vertici dei partiti», o ai congressi. Ma dopo questa premessa plaude al «confronto». Per fare le cose sul serio, comunque, bisogna anche esplicitare ciò che divide i due poli. Innanzitutto, la loro reciproca storia («comunista», quella del pds), che certo non pregiudica il futuro. Ma la «differenza più allarmante», «resa ancora più evidente» dal «silenzio di D'Alema su questo argomento, nella sua relazione», ò un'altra: riguarda la Giustizia. Una Giustizia esercitata in modo «sommario e inumano», attraverso un «ampliamento smisurato dei poteri della pubblica accusa», con magistrati che «usano un potere di esternazione selvaggia». «D'Alema - sottolinea il Cavaliere - ha detto che occorre restituire alla politica con la P maiuscola il suo primato. Sono d'accordo, ma prima occorre ristabilire la certezza del diritto con la D maiuscola». Parla, Berlusconi, e la platea lo ascolta silente, rumoreggia solo quando difende il ministro Mancuso, ma i dirigenti della Quercia, in tribuna, fanno cenno di tacere. Sul palco D'Alema ogni tanto sorride ironico. Il Cavaliere, nel frattempo, ò giunto al termine. Definisce una «importante novità» la «svolta» del segretario pidiessino nei suoi confronti. Poi conclude: «D'Alema ha spesso ricordato che non è possibile oggi ridare un governo politico al Paese senza un nuovo passaggio elettorale. Su questo esiste una convergenza significativa. E' intomo a questo comune sentire, indice di comune responsabilità, che si può consolidare il clima nuovo che si respira nel Paese». Insomma, sulle elezioni, sì che c'è accordo. Il Cavaliere ha terminato: non una parola sul conflitto d'interessi. D'Alema si alza e gli stringe la mano, la platea, disciplinata, applaude brevemente. Quindi è il turno di Veltroni. Il Cavaliere lo ascolta, batte perfino le mani, e appena il vice di Prodi finisce, si alza e gli va incontro, mentre quello fa lo stesso, scendendo dal palco. Stretta di mano. E ancora strette di mano, che Berlusconi elargisce generosamente, prima di andar via, ai dirigenti della Quercia - da D'Alema in giù - schierati in prima fila sulla tribuna. Tutti questi sorrisi, e queste mani che si cercano e si stringono ad uso e consumo di tv e fotografi, servono alla «rappresentazione» del dialogo. Ma forse non sono solo una «finzione scenica». Maria Teresa Meli Silvio Berlusconi e Massimo d'AIcma In basso a sinistra Romano Prodi

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