GLI HOTEL LETTERARI. A Lavarone nella «casa paterna della psicanalisi» sulle tracce di vacanze lontane FREUD agguati sul lago

Freud gli hotel letterari. A Lavarone, nella «casa paterna della psicanalisi», sulle tracce di vacanze lontane ml LAVARONE ili ELEFONO alla direttrice ' dell'Hotel du Lac con r una richiesta precisa: jg 1 «Mi faccia entrare nella camera di Freud, mi dica dove scriveva, dove passeggiava, mi mostri il suo armadio, se c'è ancora, mi indichi chi conserva i documenti, la storia». Per un giorno, voglio essere Sigmund Freud, o essere con lui. Poi pago il conto, rimetto in moto, scendo in pianura e rientro nel nome e cognome che leggete in fondo a questo articolo. La signora parla di Freud come di un parente, perché lei è nata lo stesso anno dell'ultima venuta di Freud nel suo albergo, il 1923. Sente la mia richiesta e accetta. Eccomi in viaggio per Lavarone. Io salgo da Sud, e il lago e l'albergo, l'Hotel du Lac, non li vedo se non devio, Freud scendeva da Nord, faceva in treno Vienna-Trento, poi da lì prendeva un taxi dell'epoca, vale a dire una carrozza, e parcheggiava dove adesso io, padovano, metto la mia Fiat. Perché ho detto «padovano» e ho detto «Fiat», sarà chiaro fra poco. Ad attendermi c'è la figlia della padrona, Alessandra. La camera di Freud, secondo i calcoli di Cesare Musatti, che s'è documentato perché anche lui voleva entrarci e dormirci, è la numero 15, al primo piano. Adesso è libera', si può visitarla. Per qualche giorno qui s'apre, ogni anno, il convegno della Spi, la Società psicanalitica italiana, e la camera va, suppongo, al più alto in carica. E' la camera del padre, tocca al primogenito. Ma adesso è mia. Davanti alla camera, sul corridoio, c'è un armadio dell'epoca, a due ante, scuro. Qui Freud appendeva le giacche. Una vecchia mania E' una stanza d'angolo: la facciata dà sul lago, il bagno dà sulla strada che da Lavarone porta ad Asiago. Una stanza-osservatorio, una stanza-vedetta. Da lì vedi tutto, e puoi non farti vedere. Una vecchia mania di Freud. Sa tutto di noi, non sappiamo niente di lui. Non finiremo mai di stupirci della virtù che ostentava: mai un'amante, mai un adulterio, nonché eseguito, nemmeno sognato, quando veniva qui senza la moglie, anche a trent'anni dal matrimonio, le mandava ogni settimana cartoline e telegrammi, e almeno una lettera lunga. Nel viaggio verso l'America, per nave, quando andava a spiegare agli americani cos'è la psicanalisi («Andiamo a portargli la peste, e non lo sanno»), alla mattina riceveva gli amici allievi e s'intratteneva con loro a turno facendosi raccontare i sogni, e li guidava verso la spiegazione. Una volta uno di loro osò domandargli se non sognasse anche lui, e non volesse a sua volta raccontare i propri sogni. Lui troncò subito il discorso, avvertendo che non voleva perdere autorità. Eh, qui c'è qualcosa di ambiguo: il farsi analizzare come perdere autorità, l'autorità come collegata al nascondimento del proprio inconscio. Chi va sulle orme di Freud (dove è passato, dove ha dormito, cos'ha mangiato) va alla ricerca, lo sappia o meno, di tracce, segni, resti di quella vittoria sull'inconscio proprio e altrui, che è la più completa forma di dominio. Chi va in analisi, il primo sogno che fa è di diventare psicanalista: per saltare dall'altra parte, al posto dell'analista, aprirgli l'anima e guardargli dentro: non essere più né paziente né guarito, ma guaritore. E soddisfare il proprio delirio di onnipotenza. E' cambiato poco da allora. Il campo da tennis è lo stesso, ma non risulta che Freud ci abbia mai giocato. La camera ha una finestra ampia, affacciandosi si scorge il lago nella sua interezza, nel fondo di una conca a cui si scende per una lunga scalinata riservata. Freud si compiaceva, al termine di questi sforzi, di ascoltarsi il cuore, e sentirlo robusto. Dalla stanza che adesso ha il numero 15 Freud usciva nei boschi senza attraversare l'atrio, perché sul retro c'era, c'è ancora, una passerella sopraelevata che immette dal primo piano direttamente nel parco. Un parco fitto, umido, scuro. Muschioso. Da funghi. Ci si può sedere su tronchi, assi, alberi caduti. Non c'erano e non ci sono panche. Selvatico. Un nascondiglio. Probabilmente Freud veniva proprio per nascondersi: qui scriveva lettere, e una ci è rimasta, indirizzata al fratello, e datata proprio «Dal parco dell'Hotel du Lac». Ma, come si sa, chi cerca di nascondersi suscita l'attenzione di coloro a cui vuole sfuggire: se si nasconde, ha qualcosa da nascondere, vediamo cos'è. Uno di quelli che spiavano Freud credo di averlo individuato. Un padovano. Proprietario di un'auto. Una delle prime auto della storia. Una Fiat decapottabile. Se Freud usciva a passeggiare per le strade con qualche figlio, il padovano metteva in moto la sua Fiat e lo invitava a bordo. La strada più deliziosa, panoramicamente, è quella che passa alta sul lago e scende verso Vicenza. Più di una volta Freud montò sulla Fiat scapottata, per accontentare il figlio Martin: per il quale la gita in auto era un test entusiasmante e angosciante. Conosciamo la sua angoscia, un brandello del suo inconscio di bambino spaventato, ennesima prova che i figli degli psicanalisti non sono meglio dei figli di padri comuni: aveva una paura mortale della velocità. Il padre non l'aveva abituato alle novità della tecnica, perché non le amava: né telefono, né radio, né macchina da scrivere, né bicicletta. E tanto meno automobile. Dove il corpo si disintegra Oggi, probabilmente, Freud senior odierebbe l'aereo. Non userebbe il computer. Né il fax. Me lo spiega, sorridendo, Enzo Stefàn, direttore della biblioteca comunale, intitolata naturalmente a Sigmund Freud. Stefàn ha in mano un libretto pubblicato a Trento dalle Edizioni Uct per ricordare le vacanze di Freud, autore Francesco Marchioro, titolo Passi di sogno. Nel libretto, le testimonianze più interessanti sono quelle del figlio di Freud, Martin Racconta Martin che la Fiat scapottata del padovano tocca¬ va i 40 chilometri all'ora, ma a lui, bambino, avevano spiegato che 40 chilometri all'ora è la velocità massima sopportabile dal corpo esposto: oltre quel limite, il corpo si disintegra. 11 padovano dunque guidava, impugnando il volante, grande come oggi quello di un camion, curvava, accelerava, e l'occhio di Martin, dal sedile posteriore, stava fisso sulla lancetta del tachimetro: tranquillo sui 20 all'ora, allarmato sui 30, terrorizzato sui 40. Ho un irreale flashback, passo per queste strade con la mia Fiat targata Pd, e rallento a 40 all'ora per spaventare il figlio di Freud, ma quello che è con me è «mio» figlio, si scuote e mi fa: «Perché freni?». M'illudo che sia una vittoria di me-padre sul padre dei padri, ma poi mi viene in mente che è soltanto una vittoria della tecnica, che oggi ti fa andare a 120 più tranquillo di allora a 40. Correndo in auto da Asiago a Lavarone traversi pianori spelati e scoperti, e trovi continuamente lapidi di sconfitte: qui è stata massacrata una compagnia, là un battaglione, avanzavano e si trovarono sotto una pioggia di bombe d'artiglieria, «e la Patria a ricordo immortale pose», guardi in giro e ti domandi come si può condurre un reparto così allo scoperto, visibile da tutte le montagne, schiacciatile come una colonia di formiche sul fondo di una scodella: dov'erano le corti marziali? Le auto sono rare, l'aria è intatta, tirando su col naso puoi sentire l'odore del muschio e dei funghi. Lo faceva anche Freud, girando a piedi da queste parti, suppongo anche per il sentiero chiamato Millegrobbe, che d'inverno è una pista di fondo affollata perché porta a un gradevole ristorante sul passo Vèzzena: Vèzzena è il passo che separa il Veneto dal Trentino, e dà il nome a un formaggio piccante, che qui mettono nel menù con funghi e cervo. E' il ristorante dove si danno appuntamento professori, giornalisti, storici che passano le vacanze ad Asiago (Isnenghi, Brunetta, Lanaro, Franzina, Riccamboni, la Pristinger...) e quelli di Lavarone (l'anglista Perosa, studioso di Henry James, lo psicanalista Luigi Pavan, che dirige un cen tro per la prevenzione del suicidio...), per incontri alla spiccio lata, prima dell'adunata generale degli intellettuali dell'Altopiano che ha luogo ogni anno, la prima domenica di igosto, nel giardino della casa di Sergio Pe rosa a Lavarone (allora vengono anche Rigoni Stern, Luigi Meneghello, Virgilio Scapin, e que st'anno dovrebbe venire anche Ermanno Olmi). Quando Freud veniva da que ste parti a caccia di funghi con la famigliola, si metteva un cappello in testa e infilava^un fischietto nel taschino. Voi domanderete a cosa serve un fischietto, quando si va per funghi. Serve se la pattuglia che va a funghi si disperde, e occorre radunarla. E' quel che capitava a Freud. Nella caccia la famigliola si separava, e quando Freud trovava un porcino gli si fermava accanto, si levava il cappello, lo calava per coprire il bottino, quindi fischiava più volte. La famiglia accorreva. Il capo-famiglia si chinava e scopriva la preda, come si scopre un busto in una cerimonia com memorativa. E' Martin che ce 10 racconta. Oggi, quando attraverso questi stessi boschi ascolto a destra e a sinistra gridolini di figli e genitori che scoprono funghi, tutti insieme, così paritari, così democratici, e risento per un attimo il fischietto gerarchico di Freud Nessun padre di famiglia oggi permetterebbe che i figli giras sero da soli, vista la quantità di vipere che s'appiattano tra Ter ba. Le farmacie mettono in bel la mostra sul banco una vipera in vasetto (perché i turisti ne imparino bene la testa a rombo e i disegni sulla schiena), una confezione di siero, e le macchi nette succhia-veleno, per il pronto intervento. I funghi Freud li portava al l'albergo, e se li faceva prepara re. Risotto ai funghi è stato più volte il suo pranzo o la sua ce na. Una volta l'anno, quando vengono qui, gli psicanalisti freudiani si fan preparare lo stesso menù: se la psicanalisi fosse una religione, questo menù sarebbe la comunione Mangiando quel che mangiava 11 maestro, diventi come lui. Pellegrinaggio di allievi Qui il maestro pensò e scrisse il saggio sulla Gradiva. Scendeva in riva al lago, e si metteva su una panchina. Su quella riva suoi allievi oggi han posto una targa che raffigura il bassorilievo della Gradiva, e un frammento di una lettera di Freud a Jung. Così il parco dietro l'albergo, la camera n. 15, l'armadio sul corridoio, la strada per Vicenza, i boschi dei funghi, la panchina sul lago, stan diventando le tappe di un annuale pellegrinaggio: c'è chi va alla Mecca, chi va al Santo Sepolcro, e chi viene qui, ma sono sempre modi per «salvarsi» e per «salvare», mettendosi vicino al «salvatore». Gli altri, i fuori-religione, non possono capire. Como queste donnette venete che s'avvicinano contandosela. Sto osservando la targa alla Gradiva, c intanto quelle arrivano e si fermano a guardare la fanciulla raffiguraa nel bassorilievo, vestita con a tunica, velo in testa, sandali piedi, che marcia spedita e gioiosa (Gradiva significa: colei che risplende nel camminare), e cercano di capire cos'è. In real'i' non è facile, il framménto di lettera ò un messaggio per gli addetti. Non è che gli psicanalisti, che tornando qui a convegno ogni anno stan facendo di Lavarone la «cittadella della psicanalisi», pensino di aprire questo posto alla gente, al contrario, lo voglion chiudere por sé. Le donnette capiscono che un uomo sta ringraziando una donna, e una spiega all'altra: «Se vede ch'el gà rissevù na gràssia». Siamo nel lembo estremo del Trentino, dieci metri dopo il passo Vèzzena cominciano le croci lungo le strade, tutto si riduce al sacro, peccato o grazia, oggi come allora: qui nel Trentino, che allora era Tirolo, Freud pensò Totem c tabù, e la sua paura - lo dice in più di una lettera - era che, una volta pubblicato il saggio, lo avrebbero bandito da questi paes4. Voleva libera/e. il mondo, e aveva paura di Lavarone. Come un figlio che scrive il primo romando; e ha paura" che la mamma lo legga. Musatti l'erede Ci voleva Musatti per sentire i conflitti, le grandezze e i problemi che Freud portava fin qui, scendendo da Vienna. D'accordo con Facchinelli (che era nato nel paese più vicino, Luserna), Musatti fissò quel ricordo in una lapide, che pagò di tasca sua, e la fece inchiodare sulla parete dell'albergo, sotto la finestra della stanza numero 15. Quando dormiva lì, si sentiva l'erede che occupa la stanza del padre. Gli altri fratelli protestarono e gli imposero di sostituire la lapide, firmandola col nome collettivo della Società, non col proprio. Musatti e Facchinelli non la sostituirono, ma semplicemente la rovesciarono, scrivendo il nuovo testo sul retro dell'antico. Affinché i nomi di Musatti e Facchinelli, come primi pellegrini alla casa paterna della psicanalisi, l'Hotel du Lac, fossero calati per cosi dire nell'inconscio della Società psicanalitica, e restasse lì per sempre: a significare che la scritta che vediamo è falsa, quella vera salterà fuori quando la lapide cadrà, per qualche catastrofe, e si potrà leggerla sul retro. E' Musatti che ce lo dice, e non si rende conto di augurare una catastrofe ai fratelli contestatori. Quelli che prenotano qui all'Hotel du Lac lo fanno anche perché sanno di Freud e della cittadella della psicanalisi: mettendosi nelle stanze, nei sentieri, nella sala da pranzo, nei boschi che furono di Freud e che sono dei suoi continuatori, pensano forse di immettersi nella pace interiore, nel superamento dei conflitti, nella quiete dell'inconscio illuminato: entrano invece in un albergo-famiglia, segnato dalle lotte tra figli e padri, e dalle gelosie tra fratelli e fratelli, esattamente come tutte le famiglie. Ferdinando Camon In auto con il figlio e un ammiratore padovano, alla «folle» velocità dei 40 all'ora Nei boschi con un fischietto: per dare l'annuncio quando trovava funghi Veniva all'albergo per nascondersi e spiare il paesaggio. Nella sua stanza-osservatorio scrisse «Gradiva», pensò «Totem e tabù» Qui a fianco Cari Gustav Jung e a destra un'immagine giovanile di Cesare Musatti Più in alto il figlio di Freud, Martin, quando era bambino Nell'immagine grande Sigmund Freud, a lato l'«Hotel du Lac» com'era ai '.empi in cui lo frequentava il padre della psicanalisi . Freud agguati sul lag Una volta l'anno i freudiani si ritrovano qui e si fanno preparare i suoi piatti preferiti