Cade il velo di Berlino capitale del Quarto Reich

Grandi progetti edilizi per cancellare le ferite del passato Grandi progetti edilizi per cancellare le ferite del passato Cade il velo di Berlino capitale del Quarto Reich IL PESO DELLA STORIA OBERLINO UANDO, domattina all'alba, cento operai sospesi a funi azzurre cominceranno a «svelare il Reichstag», a tagliare le cortine di telone grigio-argento che per due settimane o poco più - hanno trasformato il simbolo dell'unità tedesca ritrovata in un sacrario di inquietudini e memorie, nel cuore di Berlino si chiuderà una cerimonia propiziata dalla fantasia di un artista geniale e un po' bizzarro. Per la città che - più d'ogni altra, forse - riassume il dramma di un Paese e un continente, la tragedia della guerra e la ricomposizione dell'Europa, il «Monumento nascosto» è stato l'occasione di meditare sul proprio paradosso, il suo destino di città-laboratorio sospesa su un futuro che si comincia appena a intravedere: «Per un mirabile momento, il Reichstag diventerà un'opera d'arte indimenticabile», aveva annunciato Christo, l'uomo che considera la velatura del reale «il segno di verità da riscoprire». Per «un mirabile momento», è stato come se la città tedesca più rovente di memoria si fermasse a contemplare - nella magia allusiva e ambigua del Reichstag impacchettato - se stessa e il cammino che l'attende, la propria immagine di città-cantiere. Un esperimento senza eguali, una sfida che nessun'altra capitale ha conosciuto, ancora; ma anche un balzo sulle voragini lasciate aperte dalla storia: sui varchi che in questa fase di trasformazioni sociali e urbane decisive - consentono alla metropoli tedesca di abitare il passato ma di affacciarsi già al futuro; la costringono a conti economici di gigantesca vastità ma l'autorizzano ad affidarsi, ancora, al sogno. Berlino ritornata unita deve «chiudere il cerchio della storia», auspica il borgomastro Eberhard Diepgen. Deve colmare un vuoto, deve ricomporre la sua immagine ferita, e non basteranno per questo le migliaia di cantieri e i 270 grandi progetti avviati a\l'0vest ma soprattutto all'Est: 900 soltanto a Mitte, il centro della città orientale fra l'Alexanderplatz e la porta di Brandeburgo, fra la Charité e il Dom. Perché «si compia la grande promessa dell'89», annunciata da Kohl il giorno dell'unificazione, Berlino dovrà imporsi soprattutto come sutura politica e sociale - come «cerniera d'immagine», anche - nel cuore dell'Europa. E' qui che si affacciano domande decisive senza ancora una risposta; è qui che il dibattito sulla ricostruzione diventa contesa filosofico-urbanistica sul quale politica e cultura s'intrecciano e bisticciano. E' qui che un tema, soprattutto, affiora: quale fisionomia la Germania unita intende affermare di se stessa, ora che si ritorna al Reichstag e all'arco della Sprea, ora che Bonn smette il rassicurante ruolo di garante prowiso- rio della seconda democrazia tedesca. Ha ragione l'architetto americano Daniel Libeskind ad accusare il Senato di Berlino («vuol creare una nuova Teutonia»)? Hanno ragione i critici del piano di recupero adottato per il centro, a temere «un'architettura nazionalista e pesantemente post fascista», a lamentare regole «autoritarie» e «norme acritiche»? 0 hanno ragione «gli zar della burocrazia» - come li definisce acido Libeskind - a rivendicare «la necessità di far risorgere Berlino sulla base dei suoi fondamenti stori¬ ci», a difendere la «ricostruzione critica», a denunciare «le attitudini inumane degli architetti-star che vorrebbero soltanto sculture urbane»? Non sono polemiche vanesie ma dispute probabilmente decisive: anche dalla loro soluzione dipenderà, infatti, se la capitale della Germania unita sarà il baricentro della nuova Europa atlantica aperta all'Est, o l'avanguardia di un continente sbilanciato verso Oriente. Se sarà una città senza fratture ma in grado di cancellare le divisioni del passato, o non sfuggirà al desti- no di città-confine divisa fra un centro diurno e periferie dormitorio, fra un'anima borghese-mercantile e borgate «socialiste». Il dibattito rovente non frena cantieri e investimenti, arrivati alla vetta provvisoria di 45 mila miliardi di lire soltanto a Mitte, un impegno finanziario a carico di governo e di privati, dalle banche agli editori, dai colossi dell'industria ai discount. A Berlino non c'è quasi strada senza gru, non c'è marciapiede senza depositi d'attrezzi, e abitanti e delegazioni di riguardo sono costretti a giochi d'equilibrio. «Ci aspettano quindici anni di lacrime», confessa il responsabile per i lavori edili nel governo cittadino, Wol¬ fgang Nagel, e ha ragione: da soli, i detriti estratti dagli scavi della Potsdamerplatz - 62 mila metri quadrati di deserto sui quali l'architetto Renzo Piano immagina negozi e grandi magazzini, uffici, ristoranti e un teatro musicale, accanto alla sede di Sony e Daimler-Benz - formeranno una collina grande quanto dieci stadi e alta come la torre tv che fu il vanto di Honecker e del suo regime, 400 metri. Ma non a caso la Berlino del Duemila comincia nel cratere gigantesco aperto dove correva il Muro, accanto al Reichstag: l'ultima immagine della distruzione e dolili guerra - la più drammatica, per via della sua vastità inerte - è a cavallo di due storie parallele, dov'era la divisione della Germania e dell'Europa, dove «cominciava l'Occidente». Nei progetti del Senato, questa connéssura fisica e ideale fra l'Est e l'Ovest dovrà annunciare la line delle utopie contrapposti! che, per quarant'anni, hanno fatto di Burlino una città divisa anche nei miti urbani: il sogno americano all'Ovest, aggredito fin dal primo dopoguerra dalla gigantomania e dal consumismo esasperato; e la penuria socialista all'Est, la patina di povertà edilizia imposta dal regime come garanzia illusoria di eguaglianza. La domanda alla quale nessuno può rispondere, ancora, è se la sfida davvero riuscirà: dietro questi «lavori d'Ercole», come li chiama il senatore Nagel, si intravedono forse le «meraviglie del millennio», ma anche ambizioni che potrebbero cadere. Berlino vuole «recuperare una visione», sostiene Edzard Reuter, figlio del primo borgomastro che chiese al mondo appena uscito dalla guerra: «Abbiate cura tutti voi, di questa città». Ma, ha obiettato Klaus Hartung sulla Zeit, nella capitale ancora dimezzata il futuro rischia di sottomettere il presente: la cartografia della città è diventata fluida, e potrebbe dissolversi un patrimonio sociale e urbano, potrebbe estinguersi quell'insieme di «periferie interne che erano lo spazio della fantasia». I/ultima occasione di precoci malumori, si lamenta, sembra il socialismo in vendita sui marciapiedi della Pariser Platz, i suoi stemmi e i suoi stendardi affidati a profughi dell'Est trasformati in mercanti d'occasione. A guardarli affiora il dubbio: ha ragione lo storico Karl Schloegel a consigliare «più che matite da disegno, a Berlino serve una lunga convalescenza»? Ha ragione chi si ricorda di Max Bloch: «Berlino sarà sempre e non è mai»? O ha ragione Christo a confondere «il compimento di una vita», il Reichstag velato, con «il destino di un città», Berlino? Emanuele Novazio Oggi cento operai tolgono i teloni che per 2 settimane hanno coperto il Reichstag santemente post fascista», a lamentare regole «autoritarie» e «norme acritiche»? 0 hanno ragione «gli zar della burocrazia» - come li definisce acido Libeskind - a rivendicare «la necessità di far risorgere Berlino sulla base dei suoi fondamenti stori¬ Germania unita sarà il baricentro della nuova Europa atlantica aperta all'Est, o l'avanguardia di un continente sbilanciato verso Oriente. Se sarà una città senza fratture ma in grado di cancellare le divisioni del passato, o non sfuggirà al desti- strada senza gru, non cè marciapiede senza depositi d'attrezzi, e abitanti e delegazioni di riguardo sono costretti a giochi d'equilibrio. «Ci aspettano quindici anni di lacrime», confessa il responsabile per i lavori edili nel governo cittadino, Wol¬ meranno una collina grande quanto dieci stadi e alta come la torre tv che fu il vanto di Honecker e del suo regime, 400 metri. Ma non a caso la Berlino del Duemila comincia nel cratere gigantesco aperto dove correva il Muro, accanto al Reichstag: l'ultima immagine della Panorama di Berlino, la caduta del Muro e la Porta di Brandeburgo