Lo slogan di Achille e Massimo «Noi due nemici for ever» di Filippo Ceccarelli

Lo slogan di Achille e Massimo «Noi due, nemici for ever» Lo slogan di Achille e Massimo «Noi due, nemici for ever» LA SFIDA INFINITA UNQUE, Occhetto non va al congresso, e D'Alema si dichiara amareggiato. L'ex segretario formula comunque «auguri di buon lavoro», e la segreteria del pds gli risponde: «Rispettiamo la tua decisione», anche se non la comprendiamo. Sarà per la prossima volta. Psicopatologia di' un partito non più comunista. Dietro un gesto olomoroso pare di cogliere così, sia pure indirettamente, un dato di incompiuta e imperfetta normalità. Forse anche salutare, se si rammentano i sacri riti unitari della liturgia rossa. Un tempo il segretario generale del pei incarnava la razionalità della Storia e per essere sostituito - almeno in Italia - doveva ammalarsi (Longo) o morire (Togliatti e Berlinguer). Ora non solo è deposto, come già accaduto a Natta, dal febbraio 1991 esule a Oneglia, ma si mette anche di traverso. In appena un anno, infatti, con la consueta generosità, Occhetto non è andato al festival dell'Unità, ha scritto libri polemici e di successo, è tornato in televisione, ha riabbracciato il suo successore, l'ha di nuovo punzecchiato, è intervenuto sul passato e sul futuro del pds, ha fatto capire di essere assai disponbile a un'eventuale presidenza, s'è detto dispiaciuto di non averla ricevuta, ha ventilato l'abbandono della politica, magari come «ultimo strappo da parte di quel rompicoglioni - così s'è affettuosamente definito lui stesso - che ci ha già fatto tanto soffrire». Ma poi, come si vede ora, ci ha ripensato. Fedele al suo personaggio, e tuttavia anche in imbarazzo per via di quella presenza un po' ingombrante, D'Alema ha reagito con rassegnata pazienza e, a tratti, pure con una certa magnanimità. «Non figliol prodigo - ha voluto definire Occhetto ma fratello maggiore». Convinto pure lui, d'altra parte, che «bisogna finirla con la storia per cui i leader vanno imbalsamati o esposti dal mausoleo nella Piazza Rossa», l'attuale segretario del pds gli ha proposto un ruolo di stimolo culturale come quello assunto da Moro, nella de, dopo il 1968. E l'invito, il paragone erano senz'altro lusinghieri: anche se al dunque Occhetto ha preferito e preferisce comportarsi come il Fanfani in cerca di rivincita dei primi Anni Sessanta. Perfino i più remoti riferimenti storici, in altre parole, sembrano confermare questo lento, ma inesorabile passaggio verso una normalità nella quale la politica appare legata in modo indissolubile con l'antagonismo personale, ormai, e con la più schietta rivalità. Il pds se la por- ta appresso fin dalla nascita, a dir poco infelice, in quel grigio e freddo capannone della fiera di Rimini che fu teatro del primo psicodramma della storia postcomunista: la bocciatura di Occhetto, la mortificazione del fondatore. E chissà per quanto ancora andrà avanti questa never-ending story, questo eterno e anche un po' stucchevole duello tra due leader che pure allora erano d'accordo quasi su tutto, ma che le spietate leggi del potere, e la natura dei rispettivi caratteri, e forse anche le forze oscure di un misterioso sortilegio, a questo punto, hanno come condannato a un perpetuo e in- concludente dualismo. Tanto più vano, in questa vigilia congressuale, quanto più, in passato, smentito, represso, edulcorato o rimosso da un costume e da una tradizione che non ammettevano conflitti personali. O li confinavano, con un sovrappiù di disprezzo dovuto, nella zona miserabile delle debolezze umane. Altro dalla politica, in buona sostanza. Quando invece, come dimostra proprio la contesa ancora irrisolta tra Occhetto e D'Alema, è proprio la politica a nutrirsi di incompati¬ bilità personali, e a pretenderle a getto continuo, in modo spesso crudele, per la gioia del pubblico e la soddisfazione dei seminatori di zizzania. Che non mancano mai. Sull'antagonismo ai vertici prima del pei e poi della quercia, dai primi segnali nel lontanissimo 1987 alla rottura di ieri, sui sospetti reciproci, sulla sorda guerra a lungo sotterranea, poi sull'inevitabilità della sfida e infine sullo scontro definitivo si sono scritti centinaia e centinaia di articoli. «Vicesegretario sicario», «segretario sotto tutela», «separati in casa», «ombre lunghe», «vendette» e «gelosie televisive» a non finire: uno straniante e pompatissimo repertorio, quasi un vero e proprio genere giornalistico che ha registrato, negli anni, finte meraviglie, assidue e volonterose rassicurazioni di lealtà, così come epiteti di indubbia e clamorosa risonanza. Per cui al culmine dei dissapori, per farla breve, D'Alema ha chiamato Occhetto «Pulcinella» e Occhetto, in altra occasione, l'ha ripagato chiamandolo «Ligaciov». E tuttavia va anche detto che il ricorso episodico alla commedia dell'arte o alla recente storia sovietica non rendono giustizia a uno scontro che, pur nella sua durezza, con quello che passa il convento in Italia, è apparso e continua ad apparire molto più decoroso di tanti altri. Del resto, «molte cose - ha scritto Manzoni del duello - si possono fare senza offendere le regole della buona creanza: fino sbudellarsi». E la buona creanza, questa sì, è pur sempre un'eredità del costume comunista. Il punto è che, comunista o post-comunista che sia, con sbudellamenti metaforici o meno, un duello è pur sempre un duello. Quanto questo abbia avuto a che fare con la politica-politica, infatti, e cioè con le alleanze, con l'atteggiamento da prendere nei confronti dei vari governi, con le mille diatribe quotidiane di Montecitorio o di Botteghe Oscure, resta ancora oggi un mistero, e neanche tanto glorioso. L'impressione, anzi, è che quell'astratta materia, o quelle concrete decisioni abbiano finito per rappresentare - inconsapevolmente, certo - un nobile pretesto per automatismi psicologici spesso coltivati e alimentati dalle tifoserie. Senza l'elemento umano, però, e l'ambizione che necessariamente lo motte a nudo, non si capisce la deriva di un rapporto così lungamente disturbato. La politica, forse, non è più, non riesce più a rimanere estranea ai moti dell'animo. Può essere una conclusione consolatoria, ma trattandosi di ex comunisti la libertà vale più della fedeltà. Filippo Ceccarelli Il loro lungo duello cancella i sacri riti unitari dei partiti comunisti Il lcai sde

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