Tennis un lutto e un giallo

Mentre a Wimbledon il torneo femminile è approdato alle semifinali Mentre a Wimbledon il torneo femminile è approdato alle semifinali Tennis, un lutto e un Addio a Gonzales, l'artista LONDRA DAL NOSTRO INVIATO Un lutto e un mistero. Sui prati di Wimbledon ieri non si è parlato di tennis giocato, benché fossero in programma i quarti di finale delle ragazze. In un ospedale di Las Vegas, vinto da un cancro allo stomaco, è morto Pancho Gonzales. Aveva 67 anni, era stato uno dei grandi della racchetta, un artista della volée. La notizia ha suscitato molta commozione. Fino a pochi anni fa era normale vedere Pancho all'opera sui campi del Caesar's Palace di Las Vegas, dove palleggiava per diletto altrui con signori ricchi di pancetta c di dollari. Nella patria della roulette, fra l'altro, aveva sposato Rita, la sorella maggiore di Agassi, dalla quale si era poi separato. Uno dei primi a presentarsi all'ospedale, dopo la notizia della morte, è stato Philip, il fratello di Andre. Il mistero, invece, è assai meno serio. E' un mistero buffo. Anche perché ad essere coinvolti nel giallo, che sta assumendo colori più tenui, sono i membri della famiglia Jensen, assai conosciuti nel circuito per la loro, diciamo così, eccentricità. Murphy, il fratello minore, è sparito l'altra sera prima di un incontro di doppio misto e da allora, almeno pare, nessuno l'ha più visto. La madre Patricia, un donnone che segue sempre i suoi bizzarri figlioli, e il fratello Luke, uno dei teorici del tennis spettacolo, non nel senso del gioco brillante ma del contorno colorito, hanno rilasciato dichiarazioni e comunicati a dir poco assurdi. Stando alle loro parole, Murphy sta bene e ha deciso di prendersi un paio di giorni di relax in campagna. La cosa, per essere un po' maliziosi, ci ricorda molto da vicino certe improvvise sparizioni di Maradona quando vestiva la maglia del Napoli. Secondo Luke e Patricia, Murphy avrebbe telefonato alla sorella Rachel, che vive ad Atlanta, per dirle che tutto è a posto. Fatto strano, avrebbe potuto usare un gettone per chiamare madre e fratello che sono alloggiati a Wimbledon. «Ha cercato di farlo ma ha sempre trovato la linea occupata per via delle chiamate dei giornalisti», ha detto la Jensen Family. Fatto ancora più strano, perché presuppone il ritorno all'ovile del giovanotto dopo la fuga ma non spiega dove sia stato e cosa abbia fatto in queste ore assai sospette. Luke in ogni caso ha smentito la voce, subito diffusasi nei cancelli del tempio, che quel burlone di fratello abbia disertato il doppio in coppia con Brenda Schultz, beccandosi una multa di mille dollari, per evitare il controllo antidoping, introdot- to da quest'anno nel torneo londinese. Comunque stiano le cose, fra i prati di Wimbledon, per la verità, nessuno è parso troppo preoccupato per quello che possiamo definire l'ultimo Jensen Show: del resto i due fratelli, che giocano in coppia nel doppio, sono considerati a ragione i clown del circo. Del tutto diversa, naturalmente, la reazione dei fedeli del tennis alla morte di Gonzales, una delle leggende del mondo della racchetta. Nel 1969, quando aveva 41 anni ed era già nonno, il grande Pancho aveva giocato qui a Wimbledon la partita con il maggior numero di game della storia dei Championships, ben 112. Il match-maratona contro Charlie Pasarell, americano, si concluse con il punteggio di 22-24, 1-6, 16-14, 6-3, 11-9. Durò 5 ore e 12 minuti e fu giocato in due giorni dopo un'interruzione per oscurità. Alla fine Pancho aiutò l'avversario, piegato dalla fatica, a stendersi sul lettino del massaggiatore. Gonzales fece i complimenti a Pasarell, il quale è stato uno dei primi, con Philip Agassi, a fare visita alla salma dell'antico amico e rivale. Ricardo Gonzales detto Pancho era di famiglia povera. Aveva cinque fratelli ed era nato nel quartiere messicano di Los Angeles il 9 maggio del 1928. Quando aveva dodici anni sua madre gli regalò una racchetta, però nessuno gli insegnò ad usarla, imparò da solo seguendo la traccia avuta in dono dalla natura. Pancho era alto 188 centimetri, una statura rara in quei tempi, e sapeva servire e voleare con grande efficacia. Era forte e resistente, capace di trasformare gli incontri in lunghe maratone. Il suo rovescio era nello stesso tempo elegante e potente, molto ammirato dagli amanti del bel tennis e molto temuto dagli avversari. Pancho aveva vinto molti tornei, era uno dei migliori. Usava la racchetta come un fiore. Il suo anno di maggior gloria era stato il 1949, quando oltre alla Coppa Davis conquistata con gli Stati Uniti aveva trionfato in singolare a Forrest Hills (come nel '48) e nel doppio al Roland Garros e a Wimbledon. Nello stesso anno era diventato professionista con Jack Kramer. Poi, quasi quattro lustri più tardi, nel 1968 quando iniziò l'era open, il vecchio Pancho si ributtò nella mischia. I suoi avversari adesso erano Laver e Hoad, Rosewall, i grandi australiani. Fece in tempo a vincere ancora sei tornei, l'ultimo dei quali nel 1972. Aveva 44 anni ma le sue gambe non si fermavano mai. Carlo Coscia L'americano Jensen finalmente si fa vivo: «Sono in campagna» Uno scherzo o cosa?

Luoghi citati: Atlanta, Las Vegas, Londra, Los Angeles, Stati Uniti