Bagaglino tradire per spot?

Parla Pingitore, ora su Canale 5, ma corteggiato dalla Rai Parla Pingitore, ora su Canale 5, ma corteggiato dalla Rai Bqgqglino: tradire per spot? «Troppe interruzioni a Champagne» ROMA. Toma l'estate e torna la nostra telenovela stagionale: dove andranno quest'anno quelli del Bagaglio? Abituati a non legarsi con un contratto né alla Rai né alla Fininvest, perché quelli del Bagaglino sono e restano soprattutto un gruppo teatrale che si esibisce a Roma al salone Margherita, Pingitore e compagni finiscono, anche involontariamente, per animare nei mesi più caldi questo tormentone stagionale. Ed è curioso in quanto, fino alla passata stagione, loro sono sempre stati un gruppo targato Rai. Fu solo l'estate scorsa quando, per i ritardi della tv pubblica coinvolta in quel tourbillon politico-amministrativo che dai Professori l'ha portata ai Manager, che il Bagaglino è migrato sulla Fininvest trovandosi benissimo. Salvo per una cosa, detta e ridetta soprattutto da Ninni Pingitore, anima e animatore del gruppo, le interruzioni pubblicitarie. Che sono troppe, spezzano il ritmo, indeboliscono l'Auditel. Non è mi caso se la battaglia «Champagne»- «Papaveri e papere» sia stata vinta dal duo Pippo Baudo-Magalli, con gran sorpresa perfino dei medesimi. Ma, nonostante la pioggia di spot che s'abbatte sul loro varietà dislocato a Canale 5, chissà se sono vere le voci di un tradimento alla Finùwest? Con gran dispiacere di Brando Giordani e perfino di Pippo Baudo entrambi convinti che quelli del Bagaglino sono gli unici in Italia a saper praticare una comicità popolare, godereccia, facile, in grado di tenere incollati davanti al piccolo schermo i soliti sette-otto milioni di italiani. Non sarà una comicità per palati raffinati, non avrà idee originali, non praticherà l'arte suprema dell'allussione o dell'ironia, ma se si vuol far ridere l'indifferenziato e «generalista» pubblico di Raiuno, niente è meglio di quelli del Bagaglino, unici eredi della vecchia farsa che resta il genere nazionale per antonomasia. [s. n.] RIMINI 1ISPUNTA sugli schermi delkla tv la Pivetti grottesca di Oreste Lionello, e Martufello veste barzellette estive. Non su Canale 5, però. Il teatrino di Pier Francesco Pingitore è tornato al gran completo sulla tv di Stato, a Raiuno, dentro il beachshow «Beato fra le donne», dopo il primo inverno passato alla Fininvest in «Champagne». La cacciata del tempo dei Professori è ormai un ricordo sfocato, la corte della Rai è tornata a farsi insistente nei confronti dello storico Bagaglino e della sua mente ufficiale: Pingitore è i'unico vero campione della comicità accomodata, ovvero di quella satira di destra che sull'ultimo numero di «Cuore» Michele Serra annienta così: «Allo stato dei fatti, non esiste, oppure esiste sotto forma di barzellettismo popolare (il gruppo del Bagaglino)». Non è ovviamente d'accordo neanche sul fatto di essere di destra - il regista e autore di «Champagne» e di «Beato fra le donne», un signore compito e mitissimo, che si accende soltanto per difendere il proprio mestiere. Al «Bandiera Gialla» di Rimini, che il giovedì sera ospita la sua carovana capitanata da Bonolis, lavorano anzi con lui, e non per la prima volta, due autori classici di Arbore, Ugo Porcelli e Arnaldo Santoro: l'accordo è cordiale, da gentiluomini. In fin dei conti, Fingitore è l'Arbore dei conservatori. In fin dei conti, entrambi coltivano una certa nostalgia birichina per la gogliardia ma, come obietta lui, «c'è di diverso che Renzo è un alfiere dell'improvvisazione, io sono per il copione scritto e organizzato. E' vero però che ci accomunano l'amore per il patrimonio artistico e l'amore per le radici; e anche un modo disincantato di vedere la vita, senza il ricorso all'insulto». Nella prossima stagione, il Bagaglino resterà su Canale 5 o tornerà in Rai? «La Fininvest non mi ha deluso. Abbiamo un buon rapporto. Hanno rispettato completamente la pregiudiziale che avevo posto, di una mia totale autonomia. L'unico problema è semmai l'interruzione degli spot, molto pesante: ne ho chiesta la riduzione e aspetto una risposta. Se ce ne fossero di meno, riuscirei a mantenere un certo ritmo». La sua autonomia sarà pure stata rispettata, ma non è che le sarà scattato anche un bel freno interno, visto che è stato così delicato con Berlusconi? «Prima di tutto, per me è un fatto di stile: la satira non è insulto né invettiva né militanza politica». Sarà lo stile, ma qualcuno dice piuttosto che lei è un qualunquista. «Demonizzando la parola "qualunquismo" hanno tolto di mezzo una visione della realtà. Se s'intende che sono pronto a rivolgermi contro qualunque bersaglio allora sì, sono qualunquista. Guglielmo Giannini, che nel primo dopoguerra fondò il Fronte dell'Uomo Qualunque, fu una persona estrema¬ mente coraggiosa, ma la sua intuizione formidabile fu inceppata dalla tenaglia politica, i democristiani e i socialcomunisti ci videro un'organizzazione dei ceti medi al di là dei partiti e gli fecero guerra. Bisogna invece rivalutare il qualunquismo, che non è né menefreghismo né tantomeno mortificazione della politica: non sarà un caso che oggi, con il fallimento dell'ideologia marxista e dell'organizzazione clericale, siamo in condizione di doverci reinven¬ LONDRA. Dopo Sharon Stone, anche Greta Scacchi non vuole più girare scene di nudo: «Penso di averne fatte abbastanza», ha affermato, convinta e compunta. Attualmente nei cinema di prima visione con «Jefferson in Paris», dove non si spoglia (ed è un'eccezione della sua lunga carriera...), l'attrice anglo-italiana definisce «noioso» il clichè di donna fatale affibbiatole da Hollywood. In dichiarazioni riportate ieri dal quotidiano popolare londinese «Daily Express», la bellissima Greta si proclama stufa delle parti da perversa seduttrice che le propongono spesso e che richiedono di «buttar via tutti i vestiti in men che non si dica». Addio ai soliti ruoli «dissoluti», dunque. L'attrice ambisce ad un futuro di celluloide assai diverso: intende infatti puntare su commedie spigliate, oppure su ruoli intensi e «problematici» come quello (un medico alle prese con la difficile scelta dell'eutanasia) che la Scacchi dovrebbe ricoprire in «Bravo Randy», il film di D'Alatri che segnerà anche il debutto cinematografico del cantante Jovanotti. Trentacinque anni, di padre mi pongo, è quello del gusto. In tv, l'obiettivo primo è che ciò di cui si parla dev'essere conosciuto da tutti; poi ci vuole una personale predisposizione a trattare il prossimo con civiltà: insultare qualcuno non è gratificante, per la satira». E come sta, secondo lei, la satira di sinistra? «Ormai ha scaricato tutte le sue bordate contro Berlusconi: sono arrivati alla radiografia, alla lapidazione, e non so che cos'altro gli resti. Penso che un obiettivo vada un po' coltivato, non distrutto subito, sennò poi, che cosa si fa? E poi, programmi come "Su la testa!" o "Il Laureato" sono in gran parte ignorati dal pubblico, non fanno più di un milione e mezzo di / audience e nel pano¬ rama attuale, senza una platea importante, hai fallito». Ma hanno avuto un coro di consensi critici. «Loro sono in questa situazione, che non riescono a fare programmi popolari di satira con un grande pubblico. Li esaltano soltanto i giornali, perché il conformismo di sinistra ci metterà generazioni ad estinguersi: per 50 anni la polemica nella cultura, letteratura, politica è stata sempre fra la sinistra e la sinistra. Oggi, per fortuna, c'è più dialettica». Però che tipo di spettacolo facevate al Bagaglino subito dopo averlo fondato, nel '65? «Non c'era nessun tipo di impegno politico. Io nella mia vita non ho mai accettato imposizioni né suggerimenti da nessuno. Allora andava il cabaret, ci aveva provato invano Costanzo l'anno prima e non erano male quelli dell'Armadio, una sezione del pei nella quale si faceva uno spettacolino però con troppe connotazioni di parte, poco popolari. Noi prendemmo di mira i padroni del vapore dell'epoca: i Saragat, i Fanfani, insomma il centrosinistra primigenito. Facevamo per esempio il dialogo fra un comunista e un cattolico: partivano con discorsi sui massimi sistemi, finivano chiedendo: "Quanti posti ci date?". Non abbiamo mai dimenticalo la nostra natura di giornalisti, abbiamo sempre preso dalla cronaca e dal costume. Poi arrivò Gabriella Ferri, o approdando al Salone Margherita lo spettacolo si arricchì, fra cabaret e canzoni e varietà all'italiana, tanto che nel '73 ci chiamò Raiuno e nacque "Dove sta Zazà" con la regìa di Antonello Falqui: rinverdimmo Montesano, Caruso, D'Angelo, la gente scopri il cabaret in tv attraverso la faccia e la voce lancinante di Gabriella». Risulta dalle cronache che nel '67 attraversaste i dolori di una scissione. «Restammo Castellacci ed io, ci fu una separazione violenta dall'altro amico, Luciano Cirri, che ci accusava di esser passati dall'anarchismo di destra all'anarchismo puro. Se ne andò a fare il cabaret di destra al "Giardino dei Supplizi", cui collaborò anche Gianna Preda. La sinistra ci combatteva come destra, la destra ci bollava perché traditori; ma noi andavamo per la nostra strada. Eravamo anticonformisti, non volevamo portare acqua al mulino di nessuno». E quali sono i suoi rapporti con la destra attuale? «Inesistenti. Due volte è venuto al Bagaglino Fini, conosco Berlusconi ma penso che debbo essere distaccato ed evito le commistioni. Non dò adesione a nulla, perché io faccio la satira». Ma intanto lei è stato almeno scopritore di una bella serie di sex symbols, da Pamela Prati a Valeria Marini. «Già. Ma non mi faccia fare giudizi comparati». E la Marini? «Valeria, la misi prima in teatro al Bagaglino: mi accorsi subito che la gente non restava indifferente, e ci puntai. Sul palcoscenico c'è qualcosa che non dipende solo dalla bravura, e sono il fascino e la suggestione. Il viso, poi, è la chiave del successo di una persona: se una ha un corpo anche statuario ma non ha il viso giusto, non succederà mai nulla. La Marini, quel viso ce l'ha». Sembra una battuta. E pensare che la Marini l'inseguono per quel supercorpo. Marinella Venegoni «Ebbene sì sono un qualunquista ma la mia satira ha stile non è mai insulto» «Ho messo la Marini in un teatro la gente restava ipnotizzata Valeria deve al viso il suo successo» A OLI Greta Scacchi Adesso l'attrice angloitaliana rifiuta il cliché di donna fatale «E' noioso» tare una rappresentatività dei ceti medi». La satira, allora, deve starsene in grigiofumo, equidistante da tutti? «La militanza politica ti impedisce di vedere gli errori di quelli che stanno dalla tua parte. Se un freno Sotto: Pierfrancesco Pingitore con a fianco Oreste Lionello e Pippo Franco di «Champagne»

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