La Città del Sole di Maggie
La Città del Sole idi Maggie La Città del Sole idi Maggie Un gruppo di imprenditori farà nascere nella giungla la capitale della deregulation L'UTOPIA LIBERISTA LONDRA OBERT Owen, padre fondatore della città utopica socialista d'inizio Ottocento, si strapperebbe i capelli. Nel bel mozzo della giungla del Sud America un pugno di imprenditori sta cercando di rovesciare il suo esperimento di comunità modello: Laissez Faire City, dove l'ingordigia sia senza freni, la deregulation totale, e in cui non esista ombra di tasse, burocrazia e dogane. Tanto varrebbe chiamarla Margaret Thatcher City: un recinto di terra in cui il libero mercato imperi senza restrizione alcuna. L'annuncio pubblicitario com- parso sul settimanale inglese «The Economist» a prima vista sembrava uno scherzo. L'incorniciato azzurro recava questa didascalia: «Ayn Rand si era chiesta che cosa sarebbe accaduto se un Paese ospite sottosviluppato affittasse un'area di 100 miglia quadrate a un migliaio di individui che credono nel libero mercato e concedesse loro 50 anni di libero regno per amministrare la zona senza nes¬ sun intervento del'governo». Ayn Rand, scrittrice e ideologa, aveva appunto sognato in «Atlas Shrugged», un suo libro uscito nel 1957, uno Stato sudamericano arrembato da un gruppo di imprenditori occidentali. «E' un'avventura stupefacente, che ambisce liberare il potenziale degli imprenditori di tutto il mondo dal vizio del collettivismo», esclama Sonny Vleisides, consulente di computer e tra i fondatori di Laissez Faire City. La fa facile, lui: «Se hai voglia di scavare un pozzo sulla tua proprietà, scavi un pozzo. Non c'è nessuno che viene a farti storie perché è troppo profondo, troppo largo o se interferisce con la superficie freatica». In realtà i 60 fondatori, che fanno base in Costa Rica, cominciano già, zitti zitti, a pianificare un sistema di tassazione. Dove altrimenti potrebbero racimolare il denaro da versare al Paese ospite, per convincerlo a lasciarli fare? Per ora nessun governo ha ancora detto di sì, ma i ranghi degli entusiasti (e facoltosi) imprenditori si rimpolpano di giorno in giorno, ed è verosimile che qualcuno si lasci allettare dall'idea di far posto sul proprio territorio a una Hong Kong latinoamericana. Un potenziale investitore ingle- se, che vuole mantenere l'anonimato, ha detto: «E creiamola questa città del futuro. Io sarò tra i primi e ci metterò molti soldi». Accanto a quelli come lui si sono fatti avanti persino pensionati e studenti, un chirurgo e un avvocato. Tutto partirebbe da un piccolo hotel, e bisognerebbe scegliere il proprio appezzamento di terra dall'elicottero, perché non ci sarebbero strade. La manodopera proverrebbe dal Paese ospite. La città verrebbe restituita al governo locale, chiavi in mano, dopo 50 anni di attività indisturbata. Ma molti economisti, ultrathatcheriani compresi, sono scettici. Alcuni di loro dicono chiaro e tondo che l'idea è completamente svitata. Sir Alfred Sherman, già consigliere di Maggie, arriccia il naso: «Il mio lavoro è quello di trovare il modo di far funzionare le nostre società imperfette, non per crearne di nuove». E il professor Charles Bean, della London School of Economics, obietta: «Si possono creare aree molto produttive attraverso una serie di incentivi al commercio, ma l'idea che è possibile creare un nirvana capitalista autosufficiente contraddice i fondamenti dell'economia». Insomma, il principio che in una data porzione del pianeta sia possibile badare soltanto ai propri affari senza curarsi di nessun altro e senza dover rispondere a un governo, potrebbe rivelarsi fallimentare. Ma l'impressione 6 che non importi niente a nessuno: pur di non tornare alla New Lanark di Owen, con il suo prospero sistema sanitario pubblico e le sue condizioni di lavoro eccellenti, gli ultraliberisti di Laissez Faire City sono disposti a rischiare del proprio. Cinquemila dollari e la patente di fondatore è vostra. Maria Chiara Bonazzi Sopra il premier John Major A sinistra lo sfidante John Redwood con la moglie Gail ■Mi
Luoghi citati: Costa Rica, Hong Kong, Londra, Sud America
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