Festa del basket a colpi di mitra di Gian Paolo Ormezzano

Festa del basket a colpi di mitra Festa del basket a colpi di mitra / serbi esultano per il titolo europeo LO SPORT IN GUERRA LA finale europea di basket, con il successo della Jugoslavia, cioè della rappresentativa serba, sulla Lituania ha una coda di fuoco. Anche fuoco vero, quello dei razzi e delle bombe sparati dai serbobosniaci che assediano Sarajevo, stavolta per fare festosa pirotecnia di genesi sportiva, quello dei colpi di mitra in aria per «festeggiare» un successo al quale i giornali di Belgrado hanno fatto in fretta a dare un forte significato politico: affermazione cioè, dicono i titoloni, di una gente, di una nazione, che altri vorrebbero non riconoscere, vorrebbero ghettizzare e discriminare. Ed anche di una continuità sportiva: la Jugoslavia aveva vinto nel '91, prima di patire l'embargo dello sport por la diaspora e la guerra. La considerazione spicciola e globale degli eventi patisce e gode (dipende dai punti di vista) di un solo «limite»: tutto quello che è accaduto sarebbe stato superato, sul piano non solo emotivo, da una finale JugoslaviaCroazia. Non ci si è arrivati perché la Lituania ha eliminato in semifinale la Croazia, mentre la Jugoslavia eliminava la Grecia padrona di casa. Cinicamente, esiste persino il rammarico per la sfida che non c'è stata, per le altissime e significative tonalità mancate. Specie se si pensa a tutto quello che, nonostante questa «lacuna», è accaduto ad Atene. Dunque: 1) tifo greco, durante la finale, per i lituani, visto che la Jugoslavia aveva eliminato la Grecia; 2) arbitraggio di un greco ed uno statunitense - decisamente prò Jugoslavia Ila federazione internazionale è capeggiata da Boris Stankovic, uomo di Belgrado, e lui ovviamente è sul «no commenti)), con i lituani vicini al ritiro a 2' dalla fine (e uno di loro, Sabonis, miliardario con la Nba negli Usa, si era offerto di pagare la multa per tuttil; 3) provocazione dei vincitori jugoslavi e dei loro tifosi verso il pubblico e verso i croati, con le tre dita alzate nel segno della croce cristiano ortodosso; 4) abbandono del podio, alla premiazione, da parte dei croati, terzi, quando l'altoparlante ha chiamato al primo gradino la Jugoslavia, una nazione cioè che per la gente di Zagabria non esiste più, non deve avere inno e bandiera; fi) strascichi nel postpartita, con manifestazioni varie di giocatori e di tifoserie nell'albergo comune alle squadre, e forti cori serbi contro la Croazia; 6) sicuri strascichi a livello federale (ma ormai siamo a materia solamente dello sport); 7) forti polemiche fra giocatori - serbi, croati e anche lituani - che magari militano nello stesso campionato, negli Usa o in Italia, su tutti Djordje- vic, campione d'Europa ad Atene e gran divo a Bologna, ma che lì si sono sentiti messaggeri politici dei loro Paesi, una parte difficile, dura. Questo nel basekt. Il contorno decisamente politico sono stati quegli spari a Sarajevo, spari che sanno di odio, né vale pensare che almeno stavolta non sono stati diretti sulle persone. E' stata la manifestazione di giovani serbi davanti all'ambasciata greca a Belgrado, con qualche vetro rotto, è stata la messa in discussione dei rapporti diplomatici privilegiati che Belgrado tiene con Atene. Sono state le parole di Milosevic, presidente jugoslavo, sulla vittoria che «è un passo importante per il riconoscimento e l'affermazione del nostro popolo nel mondo» (sembra di sentire le parole dei gerarchi della Germania Est, quando faceva sventolare le sue bandiere nelle piscine e negli stadi e non ancora all'Onu). Una risposta politica dura alle frasi dei croati Gorgia e Novosel, dirigenti del loro basket ma il secondo anche vi¬ ceministro dello sport, sullo sfruttamento da parte serba delle prove sportive per fare scordare colpe e crimini. Lo sport nel passato patì sulla sua pelle e gestì tutto sommato bene lo scontro di pallanuoto (Melbourne 1956) fra sovietici e magiari dopo l'invasione dell'Ungheria, con l'acqua rosso sangue, la sfida dei pallavolisti irakeni e iraniani ai Giochi asiatici nel pieno della guerra fra i due Paesi, gli incontri calcistici fra irakeni, sauditi e iraniani in Qatar due anni fa, nelle qualificazioni asiatiche per Usa 94, a guerra del Golfo ancor calda. Per non dire della guerra vera (1969) fra Honduras e Salvador originata dalla lotta calcistica per andare a Messico 70. Stavolta la patata è grossa, è più che bollente, ma già si parla di rivincita sul campo, l'anno prossimo ai Giochi di Atlanta: nel segno chissà se di una nobile vitalità, di una povera disperata necessità o di una sublime sfacciataggine. Gian Paolo Ormezzano Tifosi a Belgrado strappano la bandiera croata dopo la vittoria jugoslava agli europei di basket a Atene

Persone citate: Boris Stankovic, Milosevic, Sabonis