Africa Unite in ventimila per il reggae

Unite Unite In ventimila per il reggae TORINO. Il futuro del rock, no. Se ultimamente s'è manifestato da qualche parte, eravamo assenti, o distratti. In compenso, abbiamo visto il futuro del reggae. E' già qualcosa, vero? L'abbiamo visto in ventimila, è stata un'epifania molto democratica. Ventimila in un parco, in una notte d'estate, a ballare e sballare incalzati dal «levare» ipnotico degli Africa Unito. E badate: mica ventimila freak. Alla Pellerina l'altra sera sono arrivate pure le famiglie, i vecchietti, comitive di domestiche filippine, bambini, professori e professionisti, tramvieri. Un'intera città ondeggiava a perdita d'occhio intorno al palco. E sul palco Mada, Bunna, Cheb Max, Papa Nico, Don Cato, Davide, Parpa - musicisti con strani nomi di battaglia e la testa piena di noto - hanno messo una bella pietra tombale, elegante, austera, ma pur sempre al disopra l'intera retorica del reggae, la Giamaica da cartolina e i rastafari e il reverendo Marley. Adesso sembra il liscio delle orchestrine, quella roba lì. Perché gli Africa Unite hanno buttato nel calderone del reggae l'Italia di oggi. E ci hanno aggiunto le fantasie sonore di gente cresciuta tra campionatori e rap; e la rabbia di chi non si sente servo di nessun Grande Fratello. Hanno giocato e vinto, gli Africa Unite: fino a ieri li conoscevano in pochi, erano una «band di culto», che bravo ma non se lo fila nessuno. Poi hanno pubblicato «Un sole che brucia», un disco bello in maniera speciale: ed è scoppiata la scintilla. In un mese hanno venduto 15 mila copie. Un'enormità, se non hai dietro il battage delle grandi case discografiche, so non vai a fare il cretino in tivù, so vuoi essere un musicista e nient'allro. Ai loro concerti, ora, arrivano migliaia e migliaia di ragazzi: gli Africa cantano le loro storie, storie di partigiani e d'immigrati, d'amore e di ribellione, cantano dei Murazzi, la Torino maledetta dove c'è Giancarlo, l'uomo col cappello che «ha un giradischi per cannone». Lo show gira a mille. Pieno di trovate, eppure senza trucchi. Mada, il frontman gigantesco, è l'uomo in più, quello che rischia anche fisicamente, si tuffa sul muro di braccia tese e viene portato in trionfo mentre la band macina musica. E' un'intera tribù, una tribù urbana, che balla. Libera. Capito perché gli Africa Unite sono il futuro del reggae? [g. fer.)

Persone citate: Cheb Max, Papa Nico

Luoghi citati: Africa, Africa Unite, Africa Unito, Italia, Torino