Una folgore nell'infinito

Martigny rilancia l'avventurosa opera di Nicolas De Staél Martigny rilancia l'avventurosa opera di Nicolas De Staél Una folgore nell'infinito Vita divorata e morte misteriosa ~j\ MARTIGNY |L corpo di Nicolas De I Staél fu trova'ii il 16 I marzo 1955 sui bastioni ~ I Hi Antibes, ai piedi della sua casa-atelier dal cui balcone pativa e gioiva quotidianamente la «vertigine» di fermare sulla tela, fra certezza e dubbio, fra orgoglio e angoscia, l'infinito pittorico del mare e del cielo, che divorava in sé la massa grigia del «Fort Carré» eretto da Vauban all'imboccatura del porto. E' il soggetto-oggetto dell'ultimo quadro, dal Museo Picasso di Antibes, della ben scelta antologia di 60 opere dedicata dalla Fondazione Gianadda fino al 5 novembre a questa folgore bruciatasi nell'infinito a quarant'anni. Era il momento della svolta cruciale a metà secolo, fra la Parigi degli amati «maestri» Braque - prima, 19461952 - e Matisse, poi, e dei compagni di strada, da Fautrier a Dubuffet, e la New York di Pollock e di Rothko, che lo accolse alla pari, caso unico, nel 1953. Il soggetto, l'oggetto. Nel 1951, nel momento in cui modellava a grandi colpi di paletta i propri muri di colore - mosaici ravennati, nature morte, colori che concorrevano al diapason dei grigi argentei e violetti di Braque - con esiti paralleli a Burri, fu chiesto a De Staél se il soggetto aveva un significato speciale, personale o simbolico. Rispose: «Non esiste il soggetto... Significato speciale in rapporto a che cosa? Personale, naturalmente. Simbolico, non ne so niente... Le cose comunicano costantemente con l'artista mentre dipinge, è tutto quello che so». L'oggetto pittorico come universo, l'identificazione totale e senza scampo, ma ricercata e meditata, con l'atto pittorico: «Tutta la mia vita ha avuto bisogno di pensare pittura... Di fare della pittura per aiutarmi a vivere, per liberarmi di tutte le impressioni, di tutte le sensazioni, di tutte le inquietudini per le quali non ho mai trovato altro sbocco che la pittura». Togliendoci dalle secche del dibattito dei suoi tempi e assurdamente ricorrente fra astrazione e figurazione, solo in questa chiave e per rispetto dell'esito finale, sublimante il suo ultimo sogno in modo tragico quanto veramente eroico nell'antico modo degli stoici (la sua cultura e il suo spirito erano greci, mediterranei, non orientali), possiamo veramente comprendere o sentire le fanfare in pari grado solari e funeree, blu e rosse, bianche e nere, gialle e arancio che risuonano senza tempo lungo le pareti della Fondazione intorno al rettangolo mitico delle fondamenta del tempio gallo-romano. Un paio di quadri iniziali, prima dell'esplosivo intrico di segni e di materia fra De la Danse del 1946 e Jour de fète del 1949, i cui bianchi e grigi e ocra travolgono ìa reverente memoria di Braque nella costruzione della nuova pittura, e soprattutto i fogli a china degli Anni 40 ci testimoniano che la meteora ha bruciato innanzitutto con «la fulgurance de l'autorité» di cui egli stesso dira nel 1953 («Attenzione al genio. E' una parola curiosa. Non serve a niente»), tutta la esperienza europea di sogno e di gesto dei successivi Anni 50. A quel punto, nelle Composi zioni a cavallo degli Anni 40 e 50, a «taches» mosaicate e quasi a litostrato, in cui Braque fa compagnia a Rembrnndt, i tetti di Parigi sono «natura» quanto i deserti di Dubuffé e i ritmi delle Bottiglie incrociano Morandi con Fautrier in una sorta di paleografia fossile e di ritualità misterica, De Stael è pronto a bruciare anche se stesso nel mistero cosmico dell'identità fra pittura e natura. Sa di potersi permettere tutto: la cronaca notturna e policromata di Francia-Svezia al «Pare des Princes», commemorazione finale della prima metà francese del secolo dai Fauves a Delaunay; la follia cromatica pura impressa sul jazz di Sidney Bechet - e quel solo quadro vale quanto tutta la bella ma non dannata pittura di Larry Rivers - e sulla memoria dei nudi di Bonnard e di Modigliani. Un anno prima, aveva scritto dal Lavandoli: «Qui la luce ò semplicemente folgorante... 11 colore é letteralmente divorato... Si finisce per vedere il mare rosso e la sabbia color violetto». Uno degli ultimi quadri in mostra, mare celeste, cielo arancio e oro, ha per titolo Che min de fer au boni de la mei; snleil couchant. A quel punto, pur essendo ancora fisicamente ad Antibes, De Staél era già noll'ultraterra dei pittori a colloquio con Turner e, Monet. Marco Rosei A fianco "Pare des princes», dipinto da Nicolas de Stael nel I9S2 Sopra, l'artista nel SI

Luoghi citati: Antibes, Francia, Parigi, Svezia