Non c'è la finale più temuta l'Europeo si chiude senza metter di fronte i due Paesi nemici

L'Europeo si chiude senza metter di fronte i due Paesi nemici L'Europeo si chiude senza metter di fronte i due Paesi nemici Non c'è la finale più temuta Croazia ko, oggi Serbia-Lituania ATENE DAL NOSTRO INVIATO Diciottomila greci ululanti non hanno formato i serbi, ma dodici lituani guidati da Sabonis (26 punti e 17 rimbalzi) e Marchulonis (27 punti) sono riusciti a togliere all'Eurobasket l'attesa finale: oggi all'ultimo atto la Croazia non ci sarà. Niente derby nò rivincite che andavano oltre lo sport. Serbi e croati si erano lasciati a Roma, 29 giugno '91, undici medaglie d'oro al collo, un groppo in gola per la dodicesima, rimasta là sul piatto mentre Zdovc piangeva, bloccato in albergo dal nascente governo di Lubiana; e un dubbio: sarebbe capitato anche a loro? Poi la separazione cruenta, la guerra, l'embargo che ha cancellato per 3 anni i serbi dal basket mentre la Croazia vinceva l'argento olimpico. Qui, l'occasione per incoronare la vera credo della grande Jugoslavia. Ma anche per rivincite avvelenate che non potevano non toccare i giocatori: se era impossibile che Marie, croato, e Savie, sorbo marito di una croata, scordassero d'essere cresciuti insieme a Zenica, in Bosnia, dove la vecchia casa di Savie è stata saccheggiata sia dai musulmani sia dai serbo-croati, o che Vrankovic e Paspalj si odiassero dopo un anno da compagni ad Atene, sarebbe stato puro impossibile che Danilovic non pensasse al cugino ucciso a Sarajevo. Così tra giocatori si è parlato, a volte si è anche scherzato, nei giorni scorsi, ma con occhi e orecchie attenti a non urtar la suscettibilità di nessuno. Giorni di vigilia in cui le parole dei serbi suonavano forzate, col pacifismo tipico di chi si sente sotto osservazione e sa che tutto è ancora subjudice, che un nuovo embargo, a giorni, potrebbe espellerli da Atlanta: «I nostri rapporti sono ottimi c mi tutti, anche con i musulmani-bosniaci», diceva il team manager Kicanovic, ex stella di Pesaro. Ma un mese fa, nel girone di ripescaggio a Sofia, la Bosnia si era rifiutata di affrontarli. «Una decisione che non ho capito: i politici sono pazzi, uomini stupidi. La Serbia non è in armi: quella in Bosnia è una guerra civile. Quanto ai croati, sono stati loro a voler uscire dalla Jugoslavia». Già, Jugoslavia, come vuole essere chiamata la Serbia, come risulta nei referti ufficiali. E come i croati si rifiutano categoricamente di chiamarla: «La Jugoslavia ormai non esiste più». Era l'altra faccia della medaglia, quella delle ferite ancora aperte. Se non qui, a casa: «In Croazia l'80% della popolazione sognava soltanto di vincere questa partita - dice deluso Bezzi, radiocronista croato -: sarà contento l'altro 20%, gente vicina alla linea di confine, che non voleva neppure giocare coi serbi». E tra gli stessi giornalisti c'è stata fred¬ dezza: «Noi siamo sempre gli stessi, da anni, loro invece sono quasi tutti nuovi, gente giovane, allineata, quasi fanatica». Era quello che spaventava in previsione dello scontro: provocazioni, come gli insulti di alcuni tifosi a Vrankovic e al presidente Tuczman, giorni fa, o quello striscione «Serbian Rockets» che paragonava Divac & c. agli Houston Rockets, campioni Nba, ma che evocava i razzi su Sarajevo. No, non sarebbe stata una partita gradevole, prevedeva Pino Gergia, ex stella dalmata; e Kukoc ribadiva: «Siamo cresciuti insieme, ma quello che è successo non si dimentica». La guerra, ma anche le minacce di morte che hanno spinto al forfait Radulovic, croato montenegrino con famiglia in territorio serbo, e quella bandiera croata che Divac strappò di mano a un tifoso, ai Mondiali '90: «Allora la Croazia non esisteva come Paese - ha cercato di scusarsi alla vigilia degli Europei -, ora la rispetto». Troppo tardi: «Anche quando giocavamo insieme c'erano diversità - rivangava ieri mattina retrovie, citi croato -: ci facevano sempre sentire il dominio di Belgrado. Ora tra noi non c'è più niente: strade diverse, due Paesi diversi. La nostra gente sente questa partita: tutto il resto non esisto più, conta solo batterli». Aveva dimenticato i lituani. Guido Ercole