Credenti e atei pellegrini di Dio

Un saggio dedicato a Cacciari I Ninfetti e donne fatali: scandalo a Vienna per i quadri dello scrittore Un saggio dedicato a Cacciari I Credenti e atei pellegrini di Dio ARTIN Buber, in un piccolo libro, // cammino dell'uomo (ed. Qigajon), racconta: «Il giorno in cui rice- Iveva ospiti eruditi, Rabbi Mendel di Kozk li stupì chiedendo loro a bruciapelo: "Dove abita Dio?". Quelli risero di lui: "Ma che vi prende? Il mondo non è forse pieno della sua gloria?". Ma il Rabbi diede lui stesso la risposta: "Dio abita dove Io si lascia entrare"». I piccoli libri sono sempre preziosi. Contengono spesso tanta sapienza che neppure i grandi volumi riescono ad avere. Ora esce un libretto di 40 pagine, dalla non pretenziosa editrice napoletana Cronopio. Autore è Bruno Forte, appassionato teologo, anch'egli napoletano. E' intitolato Confessio theologi. Ai filosofi, come ai bei tempi degli umanisti, quando si coltivava l'amicizia tra letterati, il libro è dedicato a due amici-filosofi: Massimo Cacciari e Vincenzo Vitiello. Anche Bruno Forte, come Rabbi Mendel, e insieme con i suoi amici filosofi, è alla ricerca del luogo o del tempo o del cuore dove abita Dio. Cacciari, qualche tempo fa in un convegno, ha rilevato una «negligenza» della Chiesa: quella di non ascoltare le difficoltà dei non credenti. Ora Bruno Forte, con la sua calda teologia del sentimento, con le sue poche paginette, ispirate più a San Giovanni della Croce che a San Tommaso d'Aquino, non solo è in ascolto, ma si pone in cammino con il non credente, perché sente di essere anch'egli niente altro che «pellegrino di Dio». Canta il salmo di Davide: «Destati, o arpa, o cetra. Voglio svegliare l'aurora». E Bruno Forte scrive: «Il teologo vive in una sorta di pensiero notturno, assetato dell'aurora». E' l'immagine precisa non solo della condizione del teologo, ma anche del credente, cioè del credente che è consapevole di dimorare nella notte e di essere bruciato dentro dal desiderio che il giorno spunti. Ma egli sa che in questa condizione è anche la sua pace. San Giovanni della Croce parla della notte che è più amabile dell'aurora. Il teologo, spiega Bruno Forte, «è testimone non soltanto della ricerca che lo accomuna, in condizione di povertà, al non credente, all'ateo che soffre del suo ateismo, ma anche di questa patria che in qualche modo è sfolgorata nella notte, nella croce e risurrezione di Cristo, anche se è patria intravista e non posseduta». «Condizione di povertà»: è il concetto più forte che corre in questa pagina. A una società attratta dal lascino del potere e del denaro, Bruno Forte offre come qualità suprema la «povertà dell'uomo». Ai tempi del Concilio Vaticano II, a Roma, tra vescovi, teologi e cardinali, si aggirava Paul Gauthier, un prete francese, che viveva tra i pro¬ fughi palestinesi e a tutti parlava di «Chiesa dei poveri». Un giorno gli chiesi: «Chi sono i poveri?». «I poveri - rispose - siamo tutti noi, perché tutti dobbiamo morire». «Questo pensiero - dice Brano Forte - nasce dalla suprema povertà che è il dolore: l'essere noi gettati verso la morte. Questa è l'evidenza della vita E' proprio la lotta che facciamo per ribellarci a questa evidenza, cioè di andare verso la morte, che ci fa pensanti, che ci fa porre le domande vere, le quali rendono poi la vita degna di essere vissuta. In questa condizione di povertà, siamo tutti accomunati». Andare verso la morte forse vuol dire anche andare verso Dio, poiché morire, come dice un antico midrash ebraico, è «scivolare in Dio». E Dio è esattamente il punto verso cui è orientato non solo il teologo, in quanto credente, ma, per Forte, anche il filosofo, anche il non credente, sincero nella sua incredulità. L'estrema povertà dell'uomo è, infatti, avere povertà di Dio. Nel suo libretto Bruno Forte scrive di Nietzsche che, nella Gaia Scienza, racconta «dell'uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare: "Cerco Dio! Cerco Dio!"». Diogene, in una società greca che era piena di dei, con la sua lanterna, cercava l'uomo. Oggi, in una società che si gloria di avere trovato l'uomo, la potenza dell'uomo, quanti «folli» rimangono che cercano Dio? «Credo che sia molto vero quello che osservava Heidegger - risponde Forte -, che la malattia del nostro presente non è la mancanza di Dio, ma il fatto che gli uomini non soffrono più di questa mancanza. Un pensatore che si ponga questa domanda, che soffra questa ricerca, è vicino a me credente molto più che un credente soddisfatto, convinto di aver trovato le risposte a tutto e non vive più la passione della verità, che è fuoco che brucia, che arde. Anche il credente, in fondo, se ha fede viva, è un ateo che ogni giorno si sforza a credere. Per questo, ho dedicato la mia Confessio theologi a Cacciari e a Vitiello. Sono uomini in ricerca, questionanti, mendicanti di verità come me. Pellegrini di Dio». E Cacciari e Vitiello che cosa rispondono a Bruno Forte? Vitiello si riconosce «povero» e «questionante». Dice: «La Confessio theologi si mescola, come un dono, alle mie domande, che sono povere, non perché irrigidite in se stesse in un io ostinato, ma perché non conoscono l'abbandono». E Cacciari: «La fede non è un fondamento sul quale siamo seduti, ma una croce alla quale siamo appesi». Domenico Del Rio

Luoghi citati: Rabbi, Roma