Vortici inafferrabili

Vortici inafferrabili Vortici inafferrabili Le ardue ricerche sulla turbolenza FORSE Isocrate la definì meglio di tutti: «la turbolenza in cui viviamo». Infatti, l'uomo nasce e vive in quella parte dell'atmosfera terrestre (chiamata strato limite) che è quasi permanentemente in stato turbolento. Il fumo di una sigaretta, lo zampillo di una fontana, l'acqua dei fiumi (eccetto il placido Don!), tutti i miliardi di miliardi di stelle dell'universo, sono turbolenti. Se non ci fosse turbolenza, non ci sarebbe inquinamento, o per meglio dire, starebbe dov'è prodotto invece di essere trasportato così rapidamente altrove (e forse ne saremmo più coscienti). Data l'ubiquità di questo fenomeno fisico, dovremmo conoscerlo benissimo. Invece no. Il grande fisico americano Feynman disse che si tratta del più importante problema non risolto della fisica classica. Chi lo studia? Andate alla Boeing e troverete che la preoccupazione degli ingegneri aerodinamici è di «descrivere» la turbolenza facendo tanti esperimenti quanti bastano nelle gallerie di vento, un approccio empirico dal quale è difficile trarre leggi di carattere universale. Una cosa è descrivere, un'altra prevedere. Gli astrofisici? Dalle stelle ai dischi di accrescimento attorno ai buchi neri, alle stesse galassie, che Gamovv propose fossero vortici congelati nello spazio, relitti di un giovane universo turbolento, essi devono affrontare la turbolenza. Marcus ha impietosamente scritto che gli astrofisici trattano la turbolenza nel modo più disinvolto: come se non ci fosse. Poco caritatevole come giudizio ma è certo che un miglioramento nel trattamento della turbolenza in Europa, uno dei quattro satelliti di Giove scoperti da Galileo, fotografato dalla sonda americana "Voyager»: sopra, in una visione d'insieme, sotto, una immagine ravvicinata che ne mostra la superficie di ghiaccio solcata da crepacci IL satellite di Giove chiamato Europa è uno dei corpi più anomali del sistema solare. Con un diametro di 3000 chilometri, paragonabile a quello della nostra Luna, ha una superficie chiara e liscia percorsa da un complesso sistema di crepe scure e la sua temperatura si aggira sui -145 "C. La superficie è principalmente costituita da ghiaccio di acqua, benché la densità del satellite (2,97 grammi/centimetro cubo) indichi una predominanza di silicati. I calcoli indicano la possibilità che Europa abbia un oceano di acqua liquida a una profondità di circa 100 chilometri sotto la superficie solida: le forze di marea e il decadimento radioattivo potrebbero fornire l'energia necessaria per mantenerla liquida. La presenza di questo oceano sotterraneo è favorita dalla quasi mancanza di crateri, fenomeno che caratterizza invece gli altri satelliti di Giove. L'acqua può evaporare dalle crepe superficiali, levigare la superficie e poi ricondensarsi su di essa. Il materiale scuro associato a queste crepe mostra caratteristiche spettroscopiche simili a quelle delle meteoriti carbonacee, caratteristiche che fanno pensare a una possibile astrofisica non guasterebbe. Visitiamo gli oceanografi che devono modellare i primi 200 metri di mare. Sotto l'azione dei venti, mostrano chiari fenomeni di turbolenza. Il lavoro è parzialmente aiutato dal fatto che le esplosioni atomiche (prima che venissero abolite nel 1963) producevano del trizio che si diffonde negli oceani e dalle misure fatte si può ricavare qualcuna delle proprietà di trasposto e diffusione causate dalla turbolenza. Anche qui però non è una teoria o un modello: si tratta di qualche dato, ma tutto fa brodo. Andiamo dai fisici teorici. Finora, essi hanno brillato per la loro assenza eppure la loro preparazione è quanto mai adatta a capire o per lo meno a vedere tali fenomeni sotto una luce diversa. Nel 1974, Heisenberg, uno dei padri fondatori della meccanica quantistica, in un seminario alla Colombia University di New York citò la turbolenza come uno dei grandi problemi non risolti della fisica moderna. Quando gli chiesi cosa potevo leggere su questo tema mi disse di cominciare con la sua tesi di laurea che io erroneamente credevo fosse di meccanica quantistica e invece trattava e risolveva un classico problema di stabilità idrodinamica posto da Rayleigh. Mi disse anche del suo lavoro del '45 quando, contemporaneamente e indipendentemente dal russo Kolmogorov, introdusse uno dei modelli più fondamentali ancora in uso oggi. Heisenberg disse chiaramente che la non-linearità dei fenomeni naturali è la regola e che la linearità (o laminarità in idrodinamica) è l'eccezione. Eppure, le equazioni più usate in fisica sono quelle lineari, a cominciare da quelle di Maxwell. La turbolenza è l'apoteosi della non-linearità con un'aggravante in più, come se ce ne fosse bisogno: non esiste un parametro piccolo che permetta un trattamento perturbativo, come invece esisto in meccanica celeste e in fisica atomica. Heisenberg fu il profeta inascoltato della non-linearità, propose persino una equazione di Dirac non-lineare, ma non ebbe grande seguito: troppo avanti sul tempo. Ora le cose incominciano a cambiare grazie al caos. La turbolenza esibisce non solo una acuta dipendenza dalle condizioni iniziali, come i sistemi caotici, ma è anche una struttura fatta di un numero grandissimo di gradi di libertà o di vortici, grandi, mediani e piccoli che interagiscono in modo nonlineare. I fisici del caos sono i primi a riconoscere che le loro equazioni sono ancora ben lontane dalle equazioni dell'idrodinamica alla base di ogni fenomeno turbolento, di cui vorremmo conoscere le soluzioni. Quindi, per il momento, il caos non ci aiuta, nel senso pratico, a descrivere la turbolenza dentro una stella, attorno all'ala di un aereo o nell'atmosfera. Ci aiuta però a capire come un fenomeno laminare diventi prima caotico e poi turbolento, problema concettualmente molto importante. Chiudo con due esempi presi dall'astrofisica e dalla climatologia (effetto serra). Un gruppo di astrofisici dei laboratori di Frascati, Mazzitelli, D'Antona e Caloi, ha dimostrato che il miglior trattamento della turbolenza stellare riduce l'età degli ammassi globulari, dai canoni¬ ci 14-18 miliardi di anni, a un'età attorno ai 12-13 miliardi, una riduzione che per sé non dice molto (eccetto por un po' di invidia!) ma che invece può essere quanto mai importante. Infatti, il telescopio spaziale «Hubble» ha recentemente indicato un'età dell'universo tra gli 8 e i 12 miliardi di anni. Ma come è possibile avere stelle con un'età di 15-18 miliardi di anni, cioè più vecchie dell'universo? Il gruppo di Frascati può aver brillantemente risolto questo dilemma non buttando a mare il Big Bang, come alcuni hanno suggerito, ma calcolando meglio l'età delle stelle più vecchie. Nel campo climatico sappiamo che si immettono annualmente nell'atmosfera circa 7 miliardi di tonnellate di carbonio di origine antropogenica: la metà rimane nell'atmosfera, mentre il rimanente viene assorbito dagli oceani e dalla vegetazione. Se l'effetto serra dovesse veramente avvenire, ci si domanda: un oceano più caldo assorbe più CO, o meno CO, ? Servirebbe cioè à smorzare l'effetto serra o a retroalimentarlo portandoci così a una situazione invivibile come su Venere? Senza un modello credibile della turbolenza oceanica non possiamo rispondere (i dati sul trizio non ci aiutano perché lo scenario oceanico sarebbe diverso). Non è una domanda retorica perché ne può dipendere il destino di lutti noi. Dall'età dell'universo, alle stelle, agli oceani: la turbolenza è un cimento per tutti. Vittorio (VI. Canuto Nasa. Goddard Institute for Space Sludies New York. N. Y.

Luoghi citati: Colombia, Europa, Frascati, New York