Marina voglio una vita da eroe

Amore e passione romantica nelle lettere inedite della poetessa sedicenne pubblicate ora a Mosca Amore e passione romantica nelle lettere inedite della poetessa sedicenne pubblicate ora a Mosca Marina: voglio una vita da eroe Quando la Cvetaeva sognava la rivoluzione s MOSCA I può fare a meno di tante cose: dell'amore, della famiglia, di un "nido caldo". Questi desideri si possono sopprimere. Ma come rassegnarsi all'idea che la rivoluzione non arriverà mai? Come si fa, se soltanto la rivoluzione è vita?». Queste righe appassionate non sono state scritte da un bolscevico confinato in Siberia, ma da una sedicenne studentessa di buona famiglia moscovita, Marina Cvetaeva. Una Cvetaeva inedita, sconosciuta, che viene rivelata da un carteggio pubblicato su Novy Mir. Sono quattordici lettere (ne pubblichiamo una qui accanto insieme con una poesia medita) che la giovane poetessa aveva scritto tra il 1908 e il 1910 a Pietr Jurkevich, Pontile come lo chiamava lei. Sono rimaste sconosciute per più di 80 anni. E' una storia d'amore in lettere, tipica della Cvetaeva, che precede le intense corrispondenze che la poetessa avrebbe tenuto più tardi. Marina conosce Pontik, uno studente di medicina di tre anni più anziano di lei, nell'estate del 1908. Ne nasce uno scambio di lettere quotidiano (anche due volte al giorno). Pontik viene trasformato dalla Cvetaeva - come anni dopo avrebbe fatto nei carteggi con Pasternak e Rilke - in un personaggio in parte reale e in parte di fantasia al quale la ragazza confessa, sempre per lettera, il suo amore. Ma lui risponde sincero di non amarla. La Cvetaeva ne rimane ferita, ma non interrompe l'amicizia (più tardi gli scriverà «Non so se amavo Lei o il mio desiderio di amare»). La corrispondenza continua, diventa ima confessione, un racconto di se stessa: la sua solitudine, le sue paure, i sogni. La sua paura più grande è una vita «ordinaria». Il sogno più grande: la rivoluzione. Ma la sua non è una rivoluzione sociale. La passione infantile por il socialismo, vissuta in Italia, a Nervi, tra gli esuli russi, è ormai superata e dimenticata. Marina è completamente immune alle idee socialiste, così di moda all'epoca. La lotta «per il bene del popolo» non le dice niente. La sua rivoluzione non è «un modo per saziare lo stomaco», ma una vita eroica e romantica, mi sogno di libertà e bellezza, che lei stessa riconosce «irraggiungibile». Eppure non riesce a rassegnarsi. Dopo aver letto un libro sulla rivoluzione del 1905, la Cvetaeva lo scaraventa contro il muro e scrive al suo amico: «L'idea che tutto questo sia già successo, che la mia giovinezza finirà senza di questo non mi dà pace. Possibile che queste strade non perderanno mai il loro aspetto pacifico? Possibile che questi vetri non verranno mai sfondati dalle pietre? Possibile che tutto sia finito?». Impacciata, miope e timida, Marina soffre di solitudine («Capisco che si può essere soli in nome di qualcosa, di un'idea, ma essere soli senza avere qualcosa che colmi tutta l'anima è difficile»). La vita scorre noiosa. Il turbinio di emozioni è tutto interiore, «fuori» non succede nulla. Quando Pontik le consiglia di non scavare troppo nel proprio animo, la Cvetaeva risponde: «Dove trovare im avvenimento esterno? Non ce ne sono!». La terrorizza l'idea di avere una vita che sia «una fila interminabile di oggi, ieri e domani». «Mi indichi qualcosa - supplica l'amico - di cui si può vivere fino alla fine». E poi aggiunge con una lucidità spaventosa, come a presentire tutto il suo tragico destino: «Il fatto è che mi rendo conto di essere completamente disadattata a vivere. La rivoluzione fa salire in alto, ma è solo un attimo e la vita è così lunga». Ma l'età e l'ambiente - la Mosca intellettuale e borghese di inizio secolo, lontana dalla ribelle e stravagante Pietroburgo - si fanno sentire. Ed ecco che nelle lettere, accanto alle riflessioni sulla vita e sulla morte e agli inni alla rivoluzione, appaiono frammenti di vita quotidiana: le amiche di ginnasio, la paura degli esami di algebra e di chimica, le mucche e i vitelli incontrati nelle passeggiate in dacia a Tarussa, i libri che la Cvetaeva sta leggendo (Heinrich Mann e D'Annunzio). Ed è proprio questo mondo ovattato, fin troppo conosciuto, tranquillo e sicuro, che la Cvetaeva vuole sconvolgere con la rivoluzione: «Come mi piacerebbe buttare dalla finestra queste statue, con quale gioia vedrei bruciare la nostra vecchia cara casetta». Le poesie non erano ancora diventate per la Cvetaeva la ragio¬ ne di vita. Ne scrive tante, ogni giorno, ma non sembra prenderle molto sul serio. Più tardi, nel 1910, ormai accettando il suo destino di poeta scriverà a Pontik: «La natura e i libri: non c'è nulla che sia più in alto e che abbia più luce... Tutto il resto è solo autoinganno». E quando, sette anni dopo, arriverà una rivoluzione che non sarà sogno di libertà e bellezza, la Cvetaeva le andrà contro, come aveva giurato. Anna Zafesova E Ss senti nel cuore il suono delle campane, l'n suono melodioso dall'alto dei campanili. Vuol dire che è arrivato il momento dell'eroismo. Ora. ora. vai, li sta chiamando. /:" il momento del coraggio in una corona di raggi luminosi. Li loro luce scintilla accecante, /:" la risposta al gemilo, la risposta sicura Agli enigmi delle notti insonni Se la tua anima si lacera nella gioia folle. Se desidera follemente l'immensità azzurra. Allora saprai che la vita è una lotta felice E che la morte è bella, bella. Marina Cvetaeva, 1908 A sinistra Marina Cvetaeva; sotto, Rilke: in alto Pasternak

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