Da piazza d'Armi a Orbassano di Marco Ansaldo
Da piazza d'Armi a Orbassano Da piazza d'Armi a Orbassano e Zoffe Platini schivavano le auto LA STORIA UH secolo ^allenamenti FRA due anni la Juve avrà compiuto il secolo. Tanto c'è voluto prima che la società più scudettata d'Italia decidesse di costruirsi una casa, un proprio posto per vivere. Ora, a quanto pare, siamo alla svolta: se non ci saranno intoppi burocratici a settembre partirà la costruzione di Juventinello o come si chiamerà il centro sportivo che ingloberà i campi di allenamento e una serie di strutture. E' l'addio, questa volta definitivo, al quartiere di S. Rita che ha vissuto quasi tutta l'epopea juventina. Agli inizi, ma siamo alla fine del secolo scorso, i campi della Signora erano la vecchia piazza d'armi, un vastissimo spiazzo alla Crocetta che oggi sarebbe racchiuso tra corso Galileo Ferraris e corso Duca degli Abruzzi. Durò poco. I giovanissimi studenti del D'Azeglio per evitare la rischiosa coabitazione con i cavalleggeri del reggimento Foggia presero a frequentare la patinoire del Valentino oppure il Motovelodromo Umberto I al fondo di corso Re Umberto, quello che fu il primo campo cintato per il calcio a Torino. Lì si giocò la prima partita internazionale in città tra una formazione italiana e una svizzera, il 30 aprile del 1900. Presto il Mo¬ tovelodromo passò sotto il controllo del Torino, nato nel 1906 da una scissione bianconera. La Juve cominciò a girovagare. Prima della Grande Guerra sfruttò persino quel monumento fantastico e smisurato che era lo Stadium, nell'area dell'attuale Politecnico: 120 mila posti, due piste per le corse dei cavalli e per le parate, un paio di campi così lontani dalle tribune che i giocatori apparivano piccolissimi. Ci giocò pure la Nazionale. Poi venne il campo di corso Marsiglia (nella zona di corso Tirreno e via Tripoli, costeggiando la ferrovia). Lì si allenavano Combi, Rosetta, Munerati. «La prima volta che andai a vedere la Juventus - racconta Giovanni Agnelli - nel settembre del '25, fu perché mio padre voleva che ammirassi Hirzer». Ferenc Hirzer, la gazzella ungherese, un campione giovane e straordinario, il primo fuoriclasse della storia bianconera. Il quinquennio degli scudetti negli Anni Trenta, fu vissuto tra corso Marsiglia e il Comunale, l'allora Stadio Mussolini, inaugurato il 14 maggio del '33. In quegli anni la Juve cominciò a lavorare nell'attuale piazza d'Armi poi si spostò per cinquantanni in via Filadelfia, al «Combi». Non c'era un campo solo, ce n'erano tre. Ma il «Marchi» e il «Caligaris» non li citava nessuno. Per tutti era il «Combi». Le tribùnette in legno, un capanno per gli attrezzi, sullo sfondo la sagoma cupa dei «Poveri Vecchi», che nei giorni di pioggia sembrava ur .ita dalla scenografia de «La Cittadella» di Cronin. Ci si chiedeva perché una società potente e ricca come la Juve non potesse costruire un proprio centro. L'avevano il Milan e l'Inter, poi l'hanno avuto la Roma e la Lazio e tante altre squadre. La Juve no. Ci aveva provato Boniperti una decina di anni fa. Voleva costruire uno stadio da cinquantamila posti e i campi di allenamento sull'area del Campo Volo di Collegno. Non se ne fece niente. La Juve rimase al Combi. Per vestirsi i giocatori dovevano sfruttare gli spogliatoi del «Comunale» e faceva effetto vedere le gambe preziose di Zoff e Platini attraversare di corsa la via, schivando le auto. Poi Maifredi spostò tutti alla Sisport di Orbassano, facendo costruire la famosa gabbia da 220 milioni: usata un anno. Lì rimase il Trap, finché con l'arrivo di Lippi la Juve è tornata al «Comunale». Marco Ansaldo
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