Al telefono Marilyn e la Callas di Sandro Cappelletto

Trittico al S. Carlo Trittico al S. Carlo Al telefono Marilyn e la Callas NAPOLI. Da chi Maria Callas aspettava, con un'ansia che la soffocava, l'ultima telefonata? A chi continuava a rispondere Marilyn Monroe, indispettendo l'ultimo fidanzato? Rievocare due leggende contemporanee e incrociare ì loro destini con quelli delle due anonime protagoniste de «Il telefono di Menotti» e «La voix humaine» di Poulonc. La regia di Roberto De Simone sceglie questa via per catturare il pubblico del Teatro San Carlo, che chiude la propria stagione con un trittico di operine comprendente anche «11 maestro di cappella» di Cimarosa, già allestito in occasione del vertice dei G7 a Napoli. Detto che nella doppia veste di direttore e interprete Claudio Desderi si muove con agio e brillantezza, e che questo divertimento in musica dovrebbe essere somministrato ai piccoli assieme alle pappe e ai grandi come il Gerovital, concentriamo l'attenzione sui due titoli del Novecento. Ecco la scena del teatrone napoletano riempirsi delle riproduzioni del ritratto di Marilyn firmato da Andy Warhol; il soprano Giovanna De Liso ò vestita come lei in «Quando la moglie è in vacanza», con quel vestito bianco che vola mosso dall'aria calda della metropolitana. Lo «scherzo» di Menotti è uno dei grandi misteri del Novecento musicale: lo stesso maestro non sa spiegarne il successo. Una spruzzata di musica, tra Puccini, musical, declamati e recitativi, una storia che non c'è se non per l'incubo degli squilli e per l'incapacità di lui (Roberto Scaltriti) di dirle - a voce - quanto l'ama. Devo inventarmi qualcosa, deve aver pensato De Simone e poiché la Munroe appartiene (si fa per direi a tutti noi, siamo autorizzati a pensare quello che pare: sarà John Kennedy o Frank Sinatra a cercarla, o il primo marito campione di baseball o l'intellettuale che ebbe la (s)foituna di incontrare? Fosse stata un po' meno disponibile: invece, sempre pronta a rispondere. Esempio di regia evasiva, utile a far consumare in fretta la minestrina. Dal bianco di Marilyn al nero mortale della Pizia greca. Chi c'è all'altro capo del filo: l'armatore, il commendatore ambro-veneto, il tenore amato fino all'ultimo? Povera Maria, tutto il tempo ad aspettare, chiusa in una stanza che sembra già pronta per Elettra, gelida e tetragona come un mattatoio. «Poulenc rappresenta una delle più grandi tragedie del secolo, l'impossibilità di comunicare la verità in uno spazio disumanizzato, connotato dall'assenza», spiega De Simone: le sceno di Mauro Garosi lo servono a puntino. Ma ecco a consolare la Maria i fantasmi del passato, lei come la Bolena, lei come Violetta, perfino togliersi lo scarpo come le aveva insegnalo Visconti alla Scala. Però qui c'è Poulenc, con la sua partitura volutamente «telefonica», fatta di frasi mozzate dalla risposta, di plasticità dure, di abbandoni ed impennate improvvise, aspra e dolce come l'addio di due amanti. 11 testo teatrale di Cocteau (intrepretato anche dalla Magnani) e meraviglioso tormento per un'attrice, ma troppo fedelmente affidato dal compositore ad una cantante perde la propria tensione emotiva. La voce è sempre umana, dire e cantare hanno molte caratteristiche comuni, ma anche insuperabili differenze tecniche, espressive, di ricezione. Silvye Valayre, chiamata all'ultimo istante a sostituire Katia Ricciarelli - laringite, dicono i clinici - è interprete di classe, di teatralissimo talento, di voce non troppo estesa ma densa e sensuale. Applausi convinti: il doppio dramma telefonico vieni! assai apprezzato nel Paese con la più alta percentuale al mondo di telefoni cellulari. Sandro Cappelletto

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