La cerniera dell'Europa
Viaggio da Kònigsberg a Odessa I l'autobiografìa del regista che ha spiegato al mondo il suo Giappone La cerniera dell'Europa v da parecchio tempo checercavo di seguire Anne Applebaum, una giova- L| ne giornalista inglese Icresciuta ed educata in America, vicedirettrice del prestigioso settimanale di Londra Spedato?. Mi colpiva il suo interesse particolare per l'Europa dell'Est, sfociato nel suo lungo soggiorno a Varsavia, nel matrimonio con un giornalista polacco e vice-ministro di uno dei governi post-comunisti, e nell'esplorazione intensa di tutta la zona che lei chiama le terre di confine d'Europa, tra Est ed Ovest, Uh giorno mi venne a trovare a Napoli, inviata dal suo giornale alla riunione del ( i~ (o era il duello tra Bassolino e la Mussolini.-'). La nostra conversazione- fu una prova supplementare della sua ottima conoscenza dell'argomento, che trova adesso una espressione definitiva nel grosso volume Bettveen liti>t and West, Across tòt Borderlands of Europe. Il libro della Applebaum è un felicissimo connubio tra i brevi e ben informati saggi di retroscena storico e i reportageeia un lungo viaggio: da Kònigsberg (la città di Kant sul Mar Baltico, rimasta nella mano dei russi come Kaliningrad) a Odessa sul Mar Nero (oggi un porto ucraino). Si procede quindi dai tedeschi (o piuttosto teutonici) che- hanno fondato Kònigsberg, passando per polacchi e lituani prima, russi, bielorussi ed ucraini dopo, per arrivare alla Moldavia e Bessa rabia, alle •■città-isole-" come le chiama la Applebaum, cioè Cernovtsi, Kame-nets Podolski. Kishinev e infine Odessa. Un viaggio estenuante, difficile e a volte non privo di rischi per una giovane donna sola, anche- se rifornita bene di indirizzi e raccomandazioni. Perché nel titolo del libro si parla delle terreeli confine, delle Borderlands nj Europei Ber la semplice ragione che nello spazio di secoli furono sottoposte a continui cambiamenti d'appartenenza statale e nazionale, mettendo così a dura prova il sentimento e il concetto stesso d'identità degli abitanti. Nel secolo XVIII un contadino delle terre eli conline, se gli si chiedeva di quale nazionalità fosse, rispondeva nei termini di confessione religiosa: sono "Cattolico- oppure -sono ortodosso", ma nella maggioranza dei casi ricorreva all'espressione vaga •sono di qua», sono «locale». Nel secolo XIX i figli dei ••locali-, indipendentemente dalla lingua usata, ò dal dialetto usato, hanno cominciato a trasferirsi nelle città, diventando polacchi, russi, tedeschi, lituani, ucraini, bielorussi. Nasceva in quésto modo la tavolozza ricca delle coscienze nazionali, che però non bisogna confondere con la nascita e crescita del nazionalismo. E' l'Occidente cheterne il fenomeno, ricordando con una certa nostalgia mascherata ó meno la facciata apparentemente compatta delieterre di confine sotto il dominio sovietico, sia prima della guerra sia - anzi molto di più - negli anni dello stalinismo postbellico trionfante. La Applebaum cita a proposito - e quanto a proposito! - la visita di Bush a Kiev nell'estate pieno di ammirazione per Gorbaciov e pieno di buoni consigli per gli ucraini che secondo lui avreb- La tomba di Kan t a Kònigsberg bero dovuto liberarsi delle pericolose tendenze nazionaliste. • Evviva l'Unióne Sovieticagridò, probabilmente d'accordo con altre Cancellerie occidentali. Eppure qualche settimana dopo l'Ucraina diventò indipendente, insieme alle Repubbliche baltiche, alla Bielorussia e alle Repubbliche del Caucaso. Certo, il nazionalismo postsovietico è stato dai diplomatici occidentali considerato pericoloso e destabilizzante. Dall'altra parte è lecito ricordare che per i popoli dell'ex impero sovietico nazionalismo era patriottismo; e che la stabilità, tanto cara agli uomini di Stato del mondo libero, era per i sudditi dell'Est una prigione. Nel secolo XIX i! nazionalismo faceva parte del liberalismo e della democrazia. Dopo torto i periodi dei "disgeli" sovietici - gli Anni Venti e gli Anni Sessanta - furono accompagnati dal risveglio nazionale. Così pure, e in modo lampante, il periodo dopo la caduta del comunismo e dopo la disintegrazione dell'Unione Sovietica. Ma occorre dire una volta per sempre: esiste un pericolo incombente di un nazionalismo propagato dai buffoni come Zhirinovskij; ed esiste quel che si chiama l'autocoscienza nazionale, un principio giusto di un Solzenicyn e dei suoi simili. Anne Applebaum descrive nei resoconti del suo viaggio il risvegliò, a volte prorompente, dell'autocoscienza nazionale. Non c'è ragióne di temere le sue forme esagerate, troppo spinte; sono sfoghi occasionali e quasi inevitabili dopo un lungo sogno forzato; passeranno col tempo. C'è invece ragione di temere le escrescenze del nazionalismo imperiale, il nazionalismo rabbioso di chi non vuole rassegnarsi alla perdita dell'impero. Capita di sentire dai russi più ottusi, appartenenti alla «razza padrona", che nelle terre di confine, le Border/aiidi «/ Europe, si cerca di far rivivere il famigerato cordoli s,mit,iin lungo la frontiera della Russia isolata. E' una sciocchezza ripetuta in malafede. La fascia esaminata dalla Applebaum è aperta alla collaborazione onesta con la Russia, non ha l'aria dell'assediante, al contrario vuole servire da ponte tra l'Est e l'Ovest, rendendo più armoniosi i rapporti della Russia coi Paesi occidentali. Diciamolo pure. Sotto l'allarme sincero o artificiale di Eltsin sostenuto dall'Esercito si nasconde la verità dell'ex impero aspirante alla sua ricomposizione. Mosca è già riuscita ad attirare la Bielorussia sotto la presidenza del compiacente presidente Lukashenka. Sono, per ora. i primi passi. Il vero bersaglio è l'Ucraina. Se l'Ucraina non sarà sufficientemente sostenuta dall'Occidente, le difficoltà economiche la costringeranno ad avvicinarsi alla Russia, a scapito della sua importantissima indipendenza nazionale. E allora qualche stupido presidente americano ripeterà a Kiev il grido di Bush ••Evviva l'unione tra la Russia e le terre di confine». E qualche suo altrettanto stupido successore allargherà le braccia, nel segno d'impotenza, di fronte alle nuove (maggiori, si intende) Bosnie e Cecenie. Gustaw Herling La tomba di Kant a Kònigsberg
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