Kurosawa un samurai sedotto dal cinema

Società' e Cultura Viaggio da Kònigsberg a Odessa I l'autobiografìa del regista che ha spiegato al mondo il suo Giappone Kurosawa, un samurai sedotto dal cinema i TAVO nella tinozza, nudo. L ' Il luogo era poco illumina1 to,e io, immorso nell'acqua il caldissima, mi dondolavo *J I afferrandomi ai bordi della vasca. La tinozza era poggiata su due assi incurvate che le permettevano di altalenare, e il dondolio faceva sciaguattale l'acqua. Dovevo trovare tutto ciò molto divertente perché facevo dondolare la tinozza con tutte le mie forze. All'improvviso, si rovesciò. Ho un ricordo vivissimo di quello strano senso di choc e di incertezza che provai in quel momento, della sensazione umida e scivolosa dello spazio tra le assi sulla mia pelle nudo, e dello sguardo che rivolsi verso l'alto a qualcòsa che brillava sopra di me in maniera da t'armi male». E' il primo ricordo che Akira Kurosawa ha di se stesso, quando aveva meno di un anno. Ed è anche l'inizio della sua autobiografia {l'ultimo samurat, Baldini & Castoldi) scritta nel 1981, a 71 anni compiuti, tradotta in inglese nel 19R3 da Audie Bock, profonda conoscitrice del Giappone e del cinema giapponese, ed ora in italiano da Roberto Buffagni (dal testo inglese) in una bella edizione illustrata a cura di Aldo Tassone, che vi ha aggiunto un ampio capitolo finale che giunge sino ai giorni nostri. Perché Kurosawa, con la discrezione che gli è propria, ed anche un pizzico di autoironia, ha voluto concludere la sua narrazione autobiografica proprio laddove avrebbe potuto cominciarla, magari a ritrd- so. Cioè dal 1951), l'anno di Rasilo mon, il film che lo rese famoso in tutto il mondo e gli apri la strada dei mercati occidentali. Un film che invece, proprio per il suo successo di critica e di pubblico, egli ha scelto come punto d'arrivo, conclusivo, d'una vita e d'una carriera che si erano sviluppate nei suoi primi quarant'anni, al riparo da sguardi indiscreti, nella solitudine di una quotidianità appartata Scrive infatti Kurosawa: «Penso che per sapere che ne fu di me dopo Ha shomon la via più ragionevole sia cercarmi nei personaggi dei film che ho girato in seguito. Anche se gli esseri umani non sono capaci di parlare di se con totale onesta, fanno molta più fatica a sfuggire alla verità quando fingono di essere un altro. In questo caso finiscono col rivelare molte più cose di se, e in modo diretto, lo almeno sono ceno d'averlo fatto. Niente più della sua opera la dice lunga su un creatore». Lasciando cosi all'analisi dei suoi film più tannisi o piti personali - da Vivere ai Sette samurai, dal Trono ili sangue a Doclt's'ku dai, da Dersu Uy.aìa a Kagemusha, da Rem a Rapsodia in agosto - il compito di individuare, in questo o quel personaggio, in questa o quella situazione, i modi e le l'orme di un'autobiografia ideale, i caratteri e i fatti d'u¬ na vita d'uomo e d'artista, e proprio questo libro scritto alle soglie della vecchiaia, col distacco tempo rale e la saggezza dell'età, a dirci molte cose su Kurosawa e il suo mondo, la sua formazione e il suo spirilo. Sempre con grande umiltà, con semplicità, quasi con noncuranza. Sono immagini vive, ricordi abbaglianti, d'una infanzia tranquilla, borghese, percorsa tuttavia da un'inquietudine sotterranea, da una sensibilità precoce. La balia che lo porta sempre sulla schiena, anche quando va al bagno. 11 cane trancialo di netto da un trenu in corsa ad un passaggio a livello che gli rimane impresso nella memoria, come un incubo, e lo condiziona per trenl'anni. Il primo film visto con l'intera famiglia in un cinema vicino alla stazione di Aomono Yokocho, nel centro di Tokyo, lontano dalla loro abitazione nel quartiere di Umori. Il padre severo, educato in un ambiente militare, che tuttavia considera il cinema uno spettacolo educativo, in un'epoca in cui l'idea slessa di vedere un film era giudicata dannosa por i ragazzi. E più di tutto la famiglia, il caldo e comprensivo ambiente familiare: «Noi Kurosawa siamo stati sovente lodati per la sensibilità e il buon cuore, ma io direi che abbiamo nel sangue una buona dose di sentimentalismo e di assurdità». Ma sono gli anni di scuola a costituire il leitmotiv della narrazione. Le difficoltà incontrale, l'isolamento dai compagni, lo scontro con i maestri, la contrapposizione continua tra scuola e famiglia. «Non mi piace l'idea - ricorda Kurosawa - di essere stato un bambino rilardato, ma certo non avevo uno spirilo rapido. Poiché non capivo niente di quello che diceva il maestro, facevo solo quel che mi pareva, per divertirmi». Ed è l'atmosfera di quegli anni, alla fine dell'era Meiji e nel corso dell'era Taisho, cioè fra il 1910 e il 1926, con i suoi ritmi quotidiani e i suoi suoni, che Kurosawa riesce a ricreare con grande finezza psicologica e memoriale: la trombetta del venditore di tofu, il fischio del riparatore di pipe, il rumore della «serratura che chiudeva l'armadio del venditore di canditi, il tintinnio delle campanelle a vento vendute da un mercante, il tamburello dell'uomo che riparava le cinghie degli zoccoli di legno, la campanella dei monaci itineranti che salmodiavano, il tamburo del venditore di dolci, la campana del carro dei pompieri e cosi via. Un mondo di suoni, di abitudini, di ritmi quotidiani di una Tokyo che non c'è più, che tornano a galla, nei ricordi, non tanto per contrapporsi al frastuono «innaturale» del mondo contemporaneo, quanto per sottolineare una dimensione anche «acustica» della realta che ha avuto, per Kurosawa, una importanza «estetica» non trascurabile, Poi venne il settembre 1923, il giorno del terremoto che distrusse gran parte del centro di Tokyo. «Per me - scrive Kurosawa - il grande terremoto di Kanto fu un'esperienza terrificante, ma di un'importanza capitale. Mi rivelò non solo gli straordinari poteri della natura, ma anche gli straordinari abissi che si nascondono nel cuore umano. Tanto per cominciare, il terremoto sconvolse la mia vita trasformando istantaneamente il inondo in cui vivevo». A poco a poco egli si allontana dai riti familiari, comincia una sotterranea ribellione, si avvicina alla politica: a diciannove anni si iscrive alla Lega degli Artisti Proletari («mi stancai di dipingere paesaggi e nature morte mentre succedevano tante cose nel mondo intorno a me»). Ma intanto anche in famiglia le cose precipitano, il fratello maggiore si suicida, l'atmosfera incantata si dissolve. Con gli Anni Trenta comincia la camera cinematografica di Kurosawa, prima assistente e sceneggiatore, poi, molto più tardi, regista. Ed è un lavoro duro e appassionante, ricco di soddisfazioni s di delusioni. Un lavoro che mette a dura prova il carattere «iracondo e testardo» che dice di avere. Finalmente, nel 1942, gira il suo primo film, Sugata San shiro, ed è l'inizio di un percorso registico folgorante con undici film prima di Rashomon. Un percorso che non è ancora giunto al suo termine, dopo altri diciannove film, tutte tappe di un cammino all'interno di se stesso, di cui questa autobiografia ci fornisce gli elementi primari, indispensabili e suggesti- Gianni Rondolino //padre militare il primo film visto e la lunga carriera tra poesia e mercato appone

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