Collodi moderno come Verga

Collodi moderno come Verga Collodi moderno come Verga Asor Rosa: «Assieme ai "Malavoglia" è Vesempio della nuova narrativa italiana» D OPO Manzoni e prima di D'Annunzio, la nostra narrativa espresse nell'Ottocento soltanto due capolavori di modernità: il burattino di Collodi e i pescatori di Verga. Chi lo sostiene? Alberto Asor Rosa, in un ponderoso saggio, «Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi», scritto per il nuovo volume della Letteratura italiana Einaudi, da lui diretta: «Nei trent'anni che intercorrono tra le Confessioni di un italiano (fine Anni Cinquanta) e l'inizio della nuova prosa dannunziana con II Piacere (fine Anni Ottanta), I Malavoglia e Pinocchio rappresentano i due tentativi più alti di creare una narrativa italiana moderna (che gli italiani del tempo non se ne accorgessero né nell'uno né nell'altro caso è un diverso discorso)». Ma questa modernità, che accomunava due opere così diverse e singolari, prendeva forma attraverso un linguaggio totalmente divaricato, perché l'intento dì Verga, come ha osservato Devoto, «è di far confluire la varietà e le intemperanze del parlato nella disciplina del racconto», mentre la lingua di Pinocchio è quella che Collodi trova «bell'e fatta nell'uso fiorentino del suo tempo, e ciò che egli deve fare è semplicemente sistemarla e normalizzarla». La teatralità è un altro elemento che accomuna, secondo Asor Rosa, I Malavoglia e Pinocchio: «La narrazione del Pinocchio si colloca a metà strada tra la fiaba e il racconto toscano. Sarebbe però un limite grave ignorare che un forte elemento teatrale s'inserisce sovente a mediare tra questi due possibili versanti della narrazione». Non si tratta però di elementi esteriori, diciamo scenografici, ma «di una forma interiore di visione del mondo», dichiarata fin dalla prima pagina, quando Geppetto progetta di fabbricarsi «un bel burattino che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali», con il quale girare il mondo, per buscarsi un tozzo di pane. Pinocchio dunque nasce come un autentico «saltimbanco», per il quale il vagabondaggio - scrive Asor Rosa - «è al tempo stesso una marca d'irregolarità e una ragione di vita». [a. p.].