I nuovi soldati di Allah «L'incubo è l'espulsione» di Pierangelo Sapegno

10 I nuovi soldati di Allah «L'incubo è l'espulsione» LA MILANO MUSULMANA IMILANO N principio, Milano era la Centrale. Ce n'erano pochi come lui, solo gente che andava e veniva, e correvano tutti dietro a qualcosa, a una donna, a un lavoro, a un treno che passava. Solo lui non correva. Aveva lo scalinate alle spalle e cercava una panchina. La sua panchina ora non c'è più. Se ci fosse, la riconoscerebbe. «Invocate Allah per noi», dice Nhari. Allah è grande, e adesso Amel Abdel Salma Ziada ha una pizzeria in via Arnaldo da Brescia. Ci sono delle notti che gli piace raccontare, quando c'era ancora Sadat e c'ora la guerra, o lui arrivò dal Cairo alla Malpensa, poi prese un pullman. Aveva 35 sterline racimolate dalla famiglia e del minin, il pane biscotto che gli aveva preparato sua madre. La prima sera cercò una panchina per dormire. Imparò a dire in italiano: «c'è un lavoro?)). E gli rispondevano di no. Ma dopo riusci a fare il manovale, il lavapiatti con 70 scalini da salire e scendere mille volte al giorno e poi il cameriere. Mustafà Nhari, di Khenifra, quando ascolta questa storia tira su i baffi o guarda la cava, sotto il ponte della Bovisasca, un po' di questo cielo opaco, senza anima, sulla testa: «Non è vita. Se tornassi indietro non lo rifarei». Una di quelle baracche è la sua casa, e quando una donna lo tenta lui prega Allah perché ci sono le leggi di Dio e bisogna rispettarle. Lo fa tutte e cinque le volte, ogni giorno. «In Dio ò il nostro aiuto», dice il Corano. C'ò un mondo che non conosciamo a Milano, un popolo fatto di miserie c di qualche successo, di paura e di Allah. Sono centomila, e una sola fede. E gli integralisti, quanti sono, chi sono? C'è una macelleria con scritte arabe dietro il ban- cone. «Maometto fedele di Dio». Allah è grande. «Abbiamo anche riso e maccheroni». Ma niente politica qui, dice il commesso. E in via Corelli c'ora un dormitorio che era una baso di spacciatori e di sbandati, con i sacchi a pelo per terra e le scritte sui muri e i panni stesi alle finestre. Il Comune un anno fa decise di chiuderlo e tolse la corrente. Adesso è un centro di accoglienza, è stato firmato un contratto per l'elettricità, e stala rimessa a nuovo la moschea, e sono stati allontanati quelli che rifiutavano la nuova legge. Vialetti silen ziosi e uomini con lunghe vesti bianche. «La gente ha capito: grazie alla religione. La preghiera è un aiuto, anche sociale», diceva poco tempo fa Ibrahim Saad Abu Zeid, Sono arrivati i poliziotti a prendere anche lui, l'altro giorno, e prima di salire sulla pantera ha mormorato: «Prego che Allah abbia salvato Shaban». L'ha fatto, perché lo sceicco Anwar Shaban non l'hanno preso: è latitante. Sono loro gli integralisti? Eppure, Anwar Shaban era quello che durante la guerra del Golfo aveva attaccato pubblicamente Saddam Hussein: «Io non sto dalla sua parto», aveva dotto. Per la Digos, doveva essere un moderato. Il fatto è che in questa cittadella musulmana nel cuore di Milano, «il fondamentalismo è una cultura radicata in un popolo e nella sua emarginazione», come dice Mahmoud, palestinese, studente di architettura. Anche nella sua fede: «Quando uno perde la speranza nella vita, non rosta che la speranza nel Paradiso». Parola del Corano. E dice Mahmoud: «A Milano e in Italia siamo la seconda religione». Corto, centomila sono un esercito. Tre, quattro generazioni di immigrazioni. Le prime sono quelle di Amed Ziada e le ultime degli spacciatori tunisini o dei lavavetri marocchini arrivati dai campi di Beni Mellal, terre di miserie e di alluvioni. In mezzo, ci sono stati gli immigrati clandestini, poi i tunisini cacciati dal governo e gli algerini del Fis «scappati nel Paese europeo che ritengono meno nemico». E poi, ancora, una generazione intellettuale, di studenti, soprattutI lo giordani e palestinesi. Fra di j loro, fra tutti questi gruppi, gli | integralisti sono una piccola o grande corrente trasversale a I tutte le generazioni. Dice un : giornalista arabo che vive a Mi! lano che «l'unica cosa certa è che non sono quelli più disperati, i fondamentalisti, perché la loro prima preoccupazione è di non farsi mandare fuori dall'Italia». Nelle moschee, al venerdì, non ci sono più di 500 fedeli, e molti sono i lavavetri che qui possono trovare un piatto di riso a tremila lire, prestiti a interesse zero, elemosine. Sono i contadini di Beni Mellal, non hanno studiato e non pensano alla politica. Come Sayed, dietro il bancone della macelleria, che mugugna e non parla. Niente politica, va bene? Niente arresti, niente di niente. Eppure, racconta il dottor Abdel che fa il muratore a Milano, «in viale Jenner erano diventati troppo arroganti. Si erano messi persino a distribuire i volantini che rivendicavano gli attentati del Fis in Algeria». Lo facevano, dicono, nei giorni della settimana. Al venerdì, il muezzin va al microfono e comincia a chiamare i fedeli, mo¬ dulando la voce in una nenia nasale: «Dio è grande, e Maometto è suo servo e profeta». Ci sono solo uomini, nella sala, a pregare. Si inginocchiano, poggiano la fronte sul pavimento, tengono i palmi delle mani stesi a terra. Alcuni, fra i più integralisti, sono proprio gli egiziani della prima generazione, quelli che hanno trovato un lavoro, che si sono inseriti, che hanno studiato. Nella preghiera, durante il sermone, si parla della guerra santa, si denuncia il regime di Mubarak. E quelli che ascoltano, quelli che approvano, sono i più istruiti e i meno disperati. Dice Mahmoud: «Io li ho visti i marocchini che fanno i lavavetri. Bevono birra, vanno al bar e chiedono whiskie. Io per adesso fra di loro ho visto solo gente emarginata, più drogata che fondamentalista». Anche quelli che hanno preso nella retata è gente che sta bene, che si è integrata. Dice Allah: «Essi tramavano intrighi e Allah tesseva strategie. Allah è il migliore degli strateghi». E Nahri. sotto al ponte della Bovisasca, non vede più il cielo. Non importa, dice. Non importa. Pierangelo Sapegno «In viale Jenner erano diventati troppo arroganti Facevano propaganda con i volantini che rivendicavano gli attentati degli ultra in Algeria»