Tombe di sabbia per i guerrieri

Cina, scoperte decine di mummie I Tra censure e vendette, nelle lettere inedite 35 anni di persecuzioni del regime Cina, scoperte decine di mummie I Tra censure e vendette, nelle lettere inedite 35 anni di persecuzioni del regime Tombe di sabbia per i guerrieri "w~t|N ampio numero di I mummie in perfetto stai to di conservazione sta I I riemergendo dal deserto ._*^Jdi sabbia presso le rive del fiume Tarim, nella Cina nord-occidentale. Gli archeologi osservano con ammirato stupore quegli esseri umani che il radiocarbonio data Ira 4000 e 2400 anni fa con le loro vesti colorate, le giacche di pelle, i guanti, gli ampi cappelli, gli alti e va riopinti calzari. Perfino le fisionomie sono evidenti; e negli uomini la barba corta ò rimasta tal quale. E' una scoperta straordinaria, senza precedenti. Per spiegarla, occorre considerare le particolarissime condizioni climatiche, per cui il caldo del deserto disseccò i corpi, il gelo dell'inverno li conservò come in un immenso frigorifero, il terreno ricco di sali inibì la presenza di batteri. E cosi, chiusi nei loro sarcofagi, quegli esseri umani hanno mantenuto sotto le vesti la pelle, la carne, i capelli, gli organi interni. Subito il confronto con l'antico Egitto, anche per la coincidenza approssimativa dell'epoca, è stato richiamato all'evidenza Ma qui dobbiamo smentire i primi commentatori, perché la situazione è del tutto diversa. La mummificazione in Egitto ò un procedimento artificiale, realizzato dopo la morte mediante l'imbalsamazione e cioè l'estrazione di alcuni organi interni e l'inserimento di sostanze conservatrici. In Cina, invece, il fenomeno è avvenuto naturalmente. Si aggiunga che, come fenomeno naturale, la mummificazione non manca di precedenti, anche se essi non l'aggiungono il livello qualitativo e quantitativo delle scoperte del fiume Tarim. Il caso più noto e quello del cosiddetto uomo di Similaun, il cacciatore preistorico scoperto sui ghiacciai al confine tra Italia e Austria qualche anno fa, ora oggetto di intenso trattamento conservativo a Innsbruck. Riportata la scoperta cinese nei suoi giusti termini, il caso vuole che un altro straordinario ritrovamento nelle steppe asiatiche, a Nord di quello precedente nell'area di Sintasha-Petrovka tra Russia e Kazakistan, riapra la questione dei rapporti, o almeno delle analogie, con l'antico Egitto Sono stati scoperti, infatti, numerosi carri da guerra a due mote, databili con il consueto metodo del radiocarbonio, tra il 3000 e il 2200 a.C: è lo stesso mezzo da trasporto bellico che usarono i faraoni e che ci rimane raffigurato nelle pitture e nei ribevi egiziani! I carri sono stati trovati in quantità (oltre cento) nelle sepolture dei guerrieri che li condussero, insieme con loro. Erano guidati da cavalli, dunque già addomesticati, che furono sepolti anch'essi insieme ai guerrieri, evidentemente per un rito che li accomunava. Ne danno conferma le offerte votive, sia di altri animali sacrificati, sia di vasi e di oggetti pregiati (il che, si noti, non accadde per quanto sappiamo in Egitto). A questo punto, il valore generale delle nuove scoperte comincia a delinearsi. Ma non nel senso, apparente e tuttavia ingannevole, di una dipendenza dall'Egitto del Medio ed Estremo Oriente o viceversa; bensì in quello, ben più ragionevole alla luce della storia, di innovazioni nella millenaria vicenda dell'uomo (o di riti, o di costumanze) che si determinano indipendentemente in aree diverse e remote, per analogia di condizioni o di naturale sviluppo. Del resto, si pensi al caso delle mummie analoghe a quelle cinesi scoperte recentemente nell'America precolombiana. Attribuiremo anch'esse a un'influenza dell'Egitto? E ripeteremo l'errore di coloro che, per spiegare la struttura a piramide di alcuni templi nel Messico, immaginarono l'arrivo di navigatori egiziani? Non cosi si ricostruisce la storia: bensì assumendo la poligenesi delle culture e, al contempo, la fondamentale analogia degli esseri umani. Sabatino Moscati Si E sai tacere anche quando I hai ragione, solo allora sa| rai simile agli dei». Questa J massima di Catone doveva J portarla scritta nel cuore, Dmitrij Dmitrievic Shostakovic. Proprio con il silenzio, che fu scambiato spesso ed erroneamente per vigliaccheria, il grande musicista russo rispose alle ingiurie del destino, agli attacchi dei nemici, alle bizze dittatoriali del regime staliniano che mise al bando la sua musica, lo bollò come compositore «formalista antipopolare», lo costrinse a tenere chiusi nel cassetto per trent'anni capolavori come «Katerina Ismajlova» o la Quarta Sinfonia. Silenzio. Ma anche ironia, understatement. Nulla emerge più evidente di queste doti, oltre ovviamente a tantissime altre notizie e scoperte, dalla monumentale corrispondenza che Shostakovic tenne per oltre trent'anni con Isaac Glikman, musicologo di Leningrado suo anùco carissimo. Shostakovic era convinto che l'intima realtà di un artista fosse espressa massimaniente dalle sue opere: non conservò neppure una delle lettere di Glikman, così come rifiutò tutta la vita di scrivere ricordi su sé e sugli altri. Glikman invece, traduttore di libretti stranieri, autore di filmopera, insegnante a) conservatorio, tenne religiosamente tutte le lettere inviategli dal compositore. Dmitri| Dmitnevic Shostakovic negli Anni Sessanta mentre parla all'Unione dei compositori sovietici Nel vortice di Leningrado Quei fogli, che ci rivelano uno Shostakovic inedito, che ci proiettano all'interno della sua vita familiare e coniugale, adesso si possono leggere. Pubblicati prima in russo, sono usciti ora in Francia da Albin Michel «Dmitrij Shostakovic, Let tres à un ami, Correspondance uvee Isaac Glikman». Shostakovic e Glikman, che oggi è un signore di 83 anni, si incontrano a Leningrado e stringono una forte amicizia all'inizio degli Anni 30, Presto, divisi dal destino, dalla guerra, dal lavoro, incominciano a scriversi. Solo la morte del maestro, nel 1975, interrompe lo scambio epistolare. Le missive che precedono la guerra sono andate perse nell'assedio di Leningrado, vortice in cui, oltre a migliaia di vite umane, sono scomparsi manoscritti, libri, opere d'arte di inestimabile valore. Quelle dal 1941 al 1975 si sono «Ho ima gamba rotta. Dio mi punisce perché ho aderito al pcus» Incapace di contenere la mia gioia, sono tornato all'albergo deciso a descrivere, come posso, la festa nazionale di Odessa» Parodia, spiega Glikman, pura, geniale parodia. Nel giugno ilei '60 i due amici si vedono a Leningrado 11 musicista ha il volto scuri) K' un uomo di 54 anni, ma bastano poche domande per tarlo scoppiare nel pianti', pia disperato: «Mi perseguitano da tempo, mi perseguitami» Calmatosi, spiega a Glikman: Krusciov ha deciso di nominarlo presidente del l'Unione dei compositori russi e per occupare quel posto deve iscriversi al partito «Ho fatto lutto quel che potevo per rifiutare confessa all'amico -, lui detto che non conoscevo abbastanza bene il marxismo, che bisognava aspettare Ho confessato di essere religioso» Ma non c'è ragione che tenga, in uri crollo di nervi, Shostakovic ha detto si 1*1 è scappato a Leningrado, dove avviene rincontro con Glikman Ma qualche settimana dopo cede. E subito dopo, spiega Glikman, riversa tutta la sua disperazione nell'ottavo quartetto, «dove la melodia della canzone "vittima della terribile prigione" risuona come un singhiozzo». Pochi mesi dopo il compositore si rompe una gamba. E non fa che ripetere, ricorda l'amico: «Deve essere Dio che mi punisce peri miei peccati, compreso quello di avere aderito al partito» Ma nonostante l'adesione al pcus tre anni dopo riecco difficolta, accuse, divieti, quando, sui versi di Evtushenko, scrive la tredicesima Sinfonia BabyJar. L'ultima missiva di Isaac Davidovic Gli anni trascorrono, le lettere del compositore sono sempre più il resoconto di malattie, problemi di salute. Sino alla fine quando, ricoverato in ospedale, Shostakovic chiede alla moglie, Irina Antonovna: «Dov'è l'ultima lettera di Isaac Davidovic? Portatemela». E la moglie, dopo la morte del maestro, racconta l'episodio a Glikman: «Eccola la lettera. Se vuole la prenda. Mitja non conservava mai le lettere che riceveva, anche se amava moltissimo le sue»