Chi ha tradito l'Italia? di Maurizio Assalto
Perché manca una cultura nazionale discussione. «Liberal» accusa: colpevoli anche gli azionisti Chi ha tradito l'Italia? Perché manca una cultura nazionale SI i ONO esistite - esistono tut' I torà - nazioni senza lena, , j nazioni senza Stato. L'Ita| Ha ò uno Stato senza nazio I ne: senza il senso della propria identità, senza la consapevolezza di appartenere' a una comunità storico-politica, senza cultura nazionale. Più che cittadini tenuti insieme da un patto condiviso, sembriamo tanti ospiti casuali della medesima area geografica. Che cosa ci è mancato, e perche? Alla «cultura nazionale» - parola-chiave di questi anni, dopo un lungo periodo di rimozione - è dedicata un'ampia sezione del nuovo numero di Liberal, il mensile di Ernesto Galli della Loggia e Giorgio Rumi, in distribuzione da domani. 11 problema è sviscerato in una serie di interventi che vanno dai filosofi Gennaro Sasso e Biagio De Giovanni, al direttore della «Fondazione Agnelli» Marcello Pacini, allo stesso Rumi, storico cattolico. Dall'Unita a Tangentopoli, passando attraverso il fascismo e la (prima) Repubblica dei partiti; «Un secolo di illusioni e di tradimenti», proclama la rivista. E aggiunge, fra parentesi: «Ultimo l'azionismo». Azionisti, sia pur involontariamente, traditori? E' la ripresa di un motivo polemico già sollevato tre anni fa da Galli della Loggia, a cui aveva risposto dalla Stampa Norberto Bobbio, con un fitto seguito di discussioni. A monte di tutto c'è il «difetto di un pensiero politico volto alla costruzione di un modello di Stato moderno», osseina Sasso sollecitato dalle domande di Massimo De Angelis. «Su una impostazione politico-giuridico-istilUzionalé, che è essenziale all'edificazione di uno Stato, ha prevalso largamente un approccio storiografico segnato dalla tesi delle varie rivoluzioni incompiute: la riforma mancata, il Risorgimento incompiuto». E' un filone che arriva lino a Gobetti e a Granisci, sottolinea Sasso. E anche oltre. «L'azionismo, che pure aveva punti di riferimento importanti nella vicenda nazionale, da Mazzini a Cattaneo, subì variamente l'idea della rivoluzione mancata e incompiuta! ed ebbe, in molti suoi esponenti, la tendenza a costituirsi in una minoranza orgogliosa di essere tale, e aperta alla tentazione moralistica della condanna». In conclusione: «Questo è un atteggiamento impolitico. Comprendo benissimo che si possa cadervi. Meno capisco che il cadervi sia sentito come il tratto inconfondibile della propria nobiltà». Ma se davvero gli eredi di Gobet¬ ti e di Rosselli hanno qualche colpa, sono comunque in buona compagnia. Come ricorda De Giovanni, il mentore della svolta post-comunista occhettiana, l'ultimo grande tentativo di pensare la nazione e la cultura nazionale è stato quello di Gramsci. Prima di lui, pochi altri; gli hegeliani di Napoli, Francesco De Sanctis e Bertrando Spaventa, quindi Croce e Gentile. Poi l'idea di nazione è stata trascinata nei gorghi del nazionalismo più aggressivo e infausto, durante il Ventennio, e dopo la Liberazione si è preferito non parlarne più: un'inerzia mentale, la paura di sollevare veli che era meglio lasciare ben posati su una serie di problemi insoluti. Del resto «sia il pei sia la de scelsero una strada che privilegiò le forme politiche lo le forme di costruzione di una democrazia di massa) rispetto al processo di identificazione di una comunità nazionale-statale». L'antifascismo, da solo, era «certo essenziale per la possibilità di costituire il "fondo" comune della Repubblica, ma non tale da dislocare nella sua autonomia un'idea di nazione-Stato che fu rapidamente coinvolta nella divisione delle forze antifasciste». Così, conclude De Giovanni, «il processo di modernizzazione italiano non si è innervato nella costruzione di uno Stato-nazione». E così «le lacerazioni quotidiane esauriscono e dividono quanto rimaneva di unitario». La prima Repubblica si è sbriciolata senza lasciare niente, non un brandello di identità comune intorno a cui ricostruire un futuro, nemmeno una parvenza di ubi consistati! a cui aggrapparsi nello sfacelo. Debole come nazione e come Slato, l'Italia rischia la balcanizzazione. Maurizio Assalto Benedetto Croce e Antonio Gramsci: in oltre un secolo di Stato unitario sono stati fra i pochi a pensare l'idea di una cultura nazionale
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