I deliqui del frate pittore di Marco Vallora

Affascinante retrospettiva di Bernardo Strozzi a Genova Affascinante retrospettiva di Bernardo Strozzi a Genova I deliqui del frate pittore Anti-Caravaggio, pari a Velàzquez Eri GENOVA / la vivezza, la prodigiosa vividezza d'immagine, quello che colpisce a pri I ma vista nel cappuccinopittóre Bernardo Strozzi: ed ò anche l'impressione che deriva dall'affascinante mostra al Palazzo Ducale sin da quelle prime signore, martiri-violiniste o piumate, che ci accolgono nella Stanza d'ouverture (catalogo Electa). La vita schiumante e trepida del colore: come se il pigmento si ritraesse vulnerabile e pudico, fragile come cristallo e ferito dalla luce. Una vitalità animale, rabbrividente. Cose e sentimenti che esplodono naturali sulla tela, come fiori di pittura. Autentiche epifanie del creato, che hanno pochi confronti: soltanto Velàzquez forse può superare il genovese e Kraus Hals stargli alla pari. Il percorso della mostra è costituto su una curiosa non-cronologia che provoca indesiderati fenomeni di ritorno indietro. Per esempio, dalla già matura Santa Cecilia-violinista, tutto uno spasimo di drappi e rossori, o dalla sussiegosa Caterina d'Alessandria, intagliata raffinatamente come nel diaspro, si ritorna a quella giovanile e ingenua «devota lavolina» della Madonna Odigitria issata da vispi fraticelli sul rustico, periclitante pianale d'una madia da paese: e la santa donna sezionata alle reni sembra piuttosto un automa da organetto. Stilisticamente ancora del tutto naif: anche se invero questo frate (che si sottraeva al convento sino ad esserne carcerato, e che grazie alla sua capacità di ritrattista corrompeva i vicari generali dell'ordine, che cosi gli permettevano di uscire nel mondo, per provvedere alla povere madre e al nipote cieco) non sembra quasi conoscere apprendistato: è maturo e duttile sin dagli esordi. Incominciano molto presto le sue «fughe» nel mondo, quelle, diciamo così, autorizzate. Temperamento quanto mai prensile e bizzarro (carattere impossibile, ricordano i contemporanei: ed un'esistenza tutta traforala di liti, cause, pignoramenti contenziosi e malintesi) il Cappuccino assorbe come una vorace spugna tutta quella prodigiosa atmosfera carica d'innovazioni che trova a disposizione nella sua Genova: da Caravaggio al Giambologna, dal Barocci del Crocefisso in Duomo al Fiasella retour de Home, da Simone Vouet a Battistello Caracciolo attivo nella loggia di Marcantonio Doria, che verrà ultimata da Orazio Gentileschi: e poi circolano inoltre in città Gerrit van Honthorst e naturalisti olandesi come Jan Koos, «molti franzesi e fiammenghi che vanno e vengono non li si puoi dar regola» e cioè il Vignon, Valentin, Van Bauren, Ter Bruggen. Mentre è certo che nella precoce collezione del suo committente Gio Carlo Doria egli ha modo di scoprire il Ribera, Procaccini, Rubens e il Morazzone, cui porta via pure una commessa. Un crocevia davvero miraco¬ Nella Casa d'arte d lato: soprattutto se teniam conto che nella sua formazione. Strozzi risente ancora delle influenze del maestro senese Pietro Sorri (chissà se per questa via gli derivano quelle sue fumiganti, delibate increspature di tinte trasparenti, alla Beccafumi), un impianto ligure d'ascendenza cambiasesca e molte assonanze tardo-manicriste, tra Lomi, Vanni e il suo fratellastro Ventura Salinibeni. Basta soffermarsi poi su quella straordinaria natura morta del cestino da lavoro della Madonna di Palazzo Rosso (col piede paesano che tiene modesti i lembi arrotolati di trine, stoffe, di velluti e cuscini, ed il filo che rotola fuori senza nemmeno i! bisogno dell'ausilio del gatto di tradizione lotlesca) per capire quanto abbia pesato su eli lui quel senso cordiale della domesticità, che era sigla di Barocci. Certo, l'incontro traumatizzante e formativo e con le sagome di ghiaccio rovente del Caravaggio, come dimostra la possente Vocazione di Pietro e An diva, con quella folgorante micro-vignetta fiamminga dei pesci boccheggianti come i capponi di Renzo e le figure scolpite dei santi-pescatori. Ma è come un attimo: Strozzi è troppo fuggente e leggero per sposare a vita questa poetica rigorista e minerale del caravaggismo internazionale. Talvolta sembra sfumare col polpastrello, con un effetto-movimento che troveremo poi nella pop-art. Ha bisogno di spuma, lui, di superfici mosse ed increspate dalla brezza della coieria corsiva, che incontreremo «Bambina in piedi» opera del 1942 di Fausto Pirandello oggi finalmente rivisitato come un grande del Novecento MILANO OPO vent'anni di mostre antologiche di Fausto Pirandello, quella allestita in Palazzo Reale fino al 1° ottobre offrirà finalmente l'occasione di rie onoscere che si tratta di uno «tra i piii grandi pittori del Novecento europeo», come scrive di Mario Kuesada nel catalogo Charta? Questa grandezzza è stata fin dal principio l'eredità grande e angosciata, fisica e nevrotica, esistenziale e magica, impressa e trasmessa dal padre al figlio; un grande respiro coniugante la tangibile - e illusoria - convenzionalità quotidiana e le profonde inquietudini della psiche, l'integrazione di realismo e di i Nespolo Invenzioni ludich quello immediato ò il sodalizio vent'anni fa nel «Premiato Studio d'Arte Baj e Nespolo». Con il dominante puzzle di incastri lignei, che trionfa nei grandi Ex Libris, in Storie di oggi, cantafavole contemporanee che è la versione nespoliana dei murales, e si proietta in questa occasione nella terza dimensione ambientale e «arredata» di Avanguardia educata in White, si incrociano vetri e ceramiche, manifesti e scenografie - la fantastica meraviglia dell'Elisir d'amore di un mese fa all'Opera di Roma -, Swatch e il francobollo della Juventus campione. anche in Luca Giordano. Conosce altri gradi di nevrosi. Il colore s'infrange sulla cima ventosa dei suoi panni mossi, come un'onda che non regge più la tensione erettile della propria virtuosità. Non vuol essere un discorso moralistico: alla verità corposa delle anatomie tormentate di Caravaggio Strozzi sostituisce un'altra drammaturgia, più di superficie e recitata, teatrale. Basta guardare la formidabile Incredulità di Tommaso di Ponce, con quella miopia proterva del vecchio Santo, che vorrebbe quasi penetrare il niveo corpo del Cristo, e quel cacciarsi scomposto degli allarmati compagni sul cielo color pegamoide, come sorpresi da quell'ardire trasgressivo' ma il buco che s'apre nel costato di Gesù s'affaccia davvero su un desolato paesaggio di vuoto. Il corpo è sgonfio. Quasi una carnalità sfaldata, frollata, friabile. Di panneggi e gesti retorici: con un arricciarsi del vero ancora differente da quello più fosco del Serodine. Anche del dolore Strozzi ha un'idea galante, cantata, nimbesca. Il suo è davvero un canto di superficie, tra sagome di latta e rutilar serico di turbanti. Una panna di deliqui (vedi il meraviglioso Compianto sul Cristo Morto): per questo egli preferisce lo «macchine» preziose dei martiri, con sante dalle guance accalamarate dal tormento e le ostriche imploranti delle occhiaie vuote, conficcate al cielo. Tutto è meraviglia: i suoi ritratti, che umiliano Tintoretto, con espressionismo, anticlassica e anti-idealistica. Si leggano pittura e pirandellismo in questa nota nelle «Piccole Impertinenze» di Fausto Pirandello, pubblicate nel 1987 dalla nipote: «Una delle mie più grandi fatiche con la quale aggravio la mia vita, è quella di correre a mettermi da tutti, o quasi, i punti di vista attraverso i quali le cose di qtiesto mondo possono essere guardate, e da lì interpretate per come appaiono». Ma tutta e nella Casa d'arte di Nespolo Marco Rosei quelle sagome panciute di borghesi che paiono dei Guarnerì del Gesù e hanno gale che sono puro El Greco; le cascanti don ne vanitas, dalle carni fradicie come fiori marci; le splendenti nature morte degne di Sanchez Cotal; quella prodigiosa Cuoca che sembra sussumere tutte le macellerie di Passarotti. Carracci e C. Insomma, quell'attività per lo più proibita («parimenti dipinge d'ogni sorta di verdure et effigie lascive») che gli valse un processo memorabile, almeno quanto quello di Veronese. In cui dovette fieramente discolparsi, dimostrare di «fare esercizio della pittura in casa sua nobilmente et honorevolmente» e soprattutto provare di non aver sfruttato i suoi allievi a fine di bottega. Incarcerato per diciotto mesi «in un camerone all'oscuro» (pensiamo con quale tormento per questo maestro delle zuppe di colore) Strozzi, travestito rocambolescamente, scappa a Venezia e in una mirabile lettera lamenta che «da grandi che sono nella corte romana non mancano a inventarsi immaginate strade per opprimere prete Bernardo Strozzi». Così Venezia rappresenta anche - sulle orme del Liss, di Fetti e di Veronese che gli apre gli spazi sconfinati della prospettiva dal basso - la vittoria della golosità quasi viziosa del colore. Per capolavori assoluti, che non tollerano commento: alle soglie del tetro, come solo sapranno fare Fùssli, Manet e Ribot. Marco Vallora Milano scopre in