A Sarajevo la strage della Cattedrale di Aldo Rizzo

Ennesima giornata di sangue in città, mentre i serbi con i radar «chiudono» l'Adriatico Ennesima giornata di sangue in città, mentre i serbi con i radar «chiudono» l'Adriatico A Sarajevo la strage della Cattedrale Granate vicino alla chiesa, sette morti (quattro bimbi) F Cannes, i 15 provano a rilanciare l'Europa ! caschi blu francesi hanno risposto ieri con una bomba fumogena a tiri d'artiglieria serba contro un convoglio Unprofor diretto a Sarajevo. Secondo l'Onu, il convoglio di 19 veicoli è stato preso di mira alle 9,30 circa sulla strada del monte Igman. I colpi provenivano da Bacevo e Ilidza, due posizioni serbe. Dopo il tiro di avvertimento le forze serbe hanno smesso di sparare e il convoglio ò poi giunto senza incidenti all'aeroporto di Sarajevo. La tensione resta alta anche tra la Croazia e i serbi seces¬ p Un ragazzo ferito viene portato via dalla oi vendita. Juppé: paz cattedrale cattolica, nella città vecchia sionisti della Krajina. Una decina di serbi armati sono penetrati ieri nella zona cuscinetto che li separa dalle forze croate, sequestrando alcuni civili croati e i loro veicoli. Questo mentre Zagabria ha protestato con l'Onu perché non impedisce a Belgrado di inviare aiuto militare ai serbi secessionisti di Croazia. Sempre secondo la Croazia, Belgrado ha mobilitato nelle ultime due settimane circa 4.000 serbi originari di Croazia e li ha inviati in Krajina. L'Alto commissariato dell'Onu per i profughi ha valuta¬ ienza, cambierò casa di Sarajevo to in 2-2.500 il numero di persone mobilitate con la forza, ma la Jugoslavia ha smentito tale eventualità, precisando di aver solo espulso coloro che «soggiornano illegalmente» sui suo territorio. C'è un nuovo rompicapo per gli strateghi occidentali. Secondo fonti dei servizi segreti dell'Alleanza, i serbi di Croazia e di Bosnia sono riusciti a estendere un sistema radar di difesa aerea fino sulle montagne della Dalmazia: una minaccia per i pattugliamenti aerei Nato e i voli umanitari. Stando a quanto ha scritto ieri Tiberi annuncia «Stop ai favori a politici e portaborse» defeziona, passando armi e bagagli alla Sinistra. Ci sono ormai due Parigi. Quella chiracchiana, tradizionale, e una «cittadella rosa» forte di oltre 500 mila elettori. Convivere sarà problematico, E proprio per dare un segnale ELVETICI ALLE URNE Al fronte del rifiuto il 5 il giornale amburghese «Welt am Sonntag», citando fonti dell'Alleanza a Bruxelles, è stata collegata una rete radar e di preallerta tra i territori serbi in Croazia e Bosnia. Le installazioni consentono ai serbi di avere un sistema integrato di difesa aerea in grado di seguire i tracciati delle rotte dei voli Nato e Onu anche in partenza dalle basi italiane. Questo consente alle difese serbe di aumentare di dieci minuti il tempo di reazione. Secondo quanto scrive il giornale, vi è motivo di ritenero che il' comando e controllo comunicazioni della rete sia a Belgrado. Gli esperti militari Nato e dell'esercito tedesco ritengono che questo nuovo sviluppo ponga di fronte a un'alternativa: decidere di interrompere le missioni di " pattugliamento della zona di interdizione ai voli o attaccare immediatamente le instrallazioni radar appena saranno attivale. La prima ipotesi, sottolinea il giornale, rischierebbe di compromettere gli aiuti Onu alla regione. Non solo. Le nuove informazioni minacciano anche le possibilità del governo tedesco di avere l'appoggio dell'opposizione per l'impiego di Tornado della Luftwaffe come appoggio aereo all'eventuale «Forza di reazione rapida». |Ansa-Agi) Il nuovo sindaco di Parigi Tiberi (seduto) e a sinistra il premier Juppe agli avversari nonché infrangerne l'opposizione astiosa, Jean Tiberi ha compiuto ieri il gran passo. Annuncia «trasparenza» sui beni immobili e lo stop ai favoritismi. Un «beau gesto» doveroso. Ma con il senno di poi. Attuandolo in campagna elettorale, poteva forse limitare i danni. Ma era persuaso che Chirac all'Eliseo galvanizzasse i suoi ex amministrati lasciandogliene incassare i dividendi. Vana speranza. Erede designato - non senza polemiche interno: il ministro Jacques Toubon punterebbe tuttora alla sua poltrona - ora Tiberi dovrà governare la capitale privilegiando sull'autocrazia la concertazione. Impresa difficile. E le frecce più velenose gli arrivano proprio dagli amici. «Senza Chirac, Parigi non è più la stessa» dice Juppé. Core ingrato. La Ville Lumière - che irradia l'intera nazione, complice un centralismo duro a morire esige in ogni caso una leadership vera, non solo tecnica. Enrico Benedetto 4 percento: tutti i parti OSSERVATO RIO I CANNES JL i| ELLA piccola città francese nota por le mondanità del cinema, oltre che per la bellezza della Còte d'Azur, i quindici capi di Stato o di governo dell'Unione europea affrontano, oggi e domani, temi seri e gravi: dalle prospettive della moneta unica alla revisione del Trattato di Maastricht, dalla disoccupazione diffusa alla possibilità di una politica estera comune, di fronte soprattutto a una tragedia sempre più aperta come la Bosnia. Ma, se i risultati saranno ancora una volta deludenti o interlocutori, non prendetevela con l'eleganza un po' fatua di Cannes. Quei temi non si è riusciti a risolverli adeguatamente neppure nelle brume perpetue di Bruxelles. E tuttavia, ogni sei mesi, i leader dell'Ue ci riprovano in prima persona, con i vortici che chiudono lo presidenze di turno (in questo caso, francese). Dicevo della moneta unica. E' di pochi giorni fa, a Lussemburgo, la decisione dei ministri economici di rinviare dal 1997 al 1999 il fatidico appuntamento. Decisione contestata dal presidente della Commissione, Santer, anche nel metodo, perché non spetta ai ministri ma ai capi di governo dire l'ultima parola. Ma non è questo il punto, così come non è negativa la decisione in sé, anzi è realistica. Il punto è che anche al 1999 mancano solo quattro anni, e un'infinità di problemi restano aperti, compreso il nome slesso della moneta europea, a parte i rapporti tra i Paesi che vi potranno approdare e i ritardatari e i riluttanti. Poi c'è la revisione di Maastricht, che non e una questione formalistica, ma di grossa e decisiva sostanza politica. Si tratta di conciliare con nuovi criteri operativi l'allargamento dell'Unione (domani, alla conclusione del vertice, saranno consultati i capi di governo di ben undici Paesi candidati) e il suo funzionamento, la sua capacità di esprimere decisioni concrete. Se no, invece dell'unità europea, ci sarà una grande area di libero scambio, politicamente quasi irrilevante. Si sa che di questa grossa questiono dovrà occuparsi un'apposita conferenza intergovernativa, prevista polla primavera pròssima, sotto tergla pr ti avevano fatto la campa =1 la presidenza di turno italiana; ma già si dice che anche questa scadenza potrebbe essere rinviata di un anno. Il vero fatto nuovo di questo vertice di Cannes ò che, per la prima volta dopo quattordici anni, a rappresentare la Francia non c'è Frangois Mitterrand, col suo sperimentato europeismo, ma il neoeletto Jacques Chirac, dal passato tiepido e contraddittorio in questo campo. Certo. Chirac non ribalterà la politica europea di Parigi, non metterà in crisi il fondamentale asse franco-tedesco, ma c'è modo e modo di fare la stessa politica. E l'approccio di Chirac è di tipo gollista, insieme europeo e nazionalista, come dimostra la sua brusca decisione di riprendere gli esperimenti nucleari (per ricordare qual è il peso politico-strategico della Francia, anche o soprattutto di fronte alla Germania). Comunque Chirac non può volere il fallimento del veiti-. ce della Cote d'Azur, anzi ha già detto che da Cannes deve scaturire un «messaggio di speranza», capace di «creare le condizioni di una nuova partenza dell'Unione europea». E allora vedremo se ci saranno idee nuove, impulsi nuovi, per la soluzione dei tanti problemi, anche fuori dai vecchi schemi. La stessa Germania non intende drammatizzare qualche dissapore emergente; al contrario, ha abbassato i toni del suo euro peismo, pur di mantenere i contatti e proseguire; un di scorso comune. In altro parole, unti «nuova partenza» dell'Ue potrebbe avvenire noi segno del pragmatismo, di decisioni non altisonanti ma concrete. Per esempio sulla politica estera, sulla Bosnia. A condizione, tuttavia, di non compromettere, con troppe dilazioni «istituzionali», il disogno generale, il fine ultimo dell'integrazione europea. Aldo Rizzo gna per il «sì'