MICK la vita oltre il ROCK

la vita oltre il Jagger, in tournée, racconta tutto: musica soldi e amori di un mito della trasgressione la vita oltre il IL 27 e 28 maggio i Rolling Stones hanno registrato al club Paradiso di Amsterdam un disco «unplugged». Poi, il 3 giugno, sono cominciati i concerti europei. Adesso la band è in Germania. In Italia non dovrebbe venire: c'è chi dice che gli Stones hanno rifiutato il nostro Paese, altri sostengono che sono i promoter italiani a non credere nell'«evento». Comunque sia, il tour «Voodoo Lounge», cominciato l'agosto scorso, ha già venduto oltre 6 milioni di biglietti. E ad ogni concerto, al centro dell'attenzione c'è lui, Mick Jagger, 52 anni. Mister Rolling Stones. Che qualche giorno fa s'è preso la briga di partecipare in incognito a un'asta di Christie's aggiudicandosi, per 50 mila sterline, il nastro con una vecchia canzone da lui stesso registrata insieme con Keith Richards, chitarrista del gruppo. Una volta Richards l'ha definita «imprevedibile». Si sente ancora così? «Difficile dirlo. Posso essere un tipo molto paziente, pacifico e amichevole, finché non mi rompo. Questo dannato tour mi tiene impegnato da quasi un anno, e giorno dopo giorno entro di più nel personaggio del cantante rock insopportabile. Divento cosi perché sono nell'occhio del ciclone, e non è esattamente una situazione piacevole. Se qualcuno mi avvicina, mi viene subito da pensare: questo qui vuole un autografo. Quando non sono in tournée, a volte la gente non mi riconosce: succede che mi chiedano un'informazione per strada. Mi è capitato di recente in un negozio d'abbigliamento che uno mi abbia domandato: "Lei lavora qui? Può dirmi dove trovo i pantaloni da uomo?"». E' difficile liberarsi dei panni della rockstar? «Beh, alla fine del concerto devi abbandonare la "personalità da palco", perché non s'adatta a un camerino. Taluni prendono la vita da rockstar con troppa serietà: anche fuori dal palcoscenico si comportano nello stesso modo. Il che, alla fin fine, significa sbronzarsi o sfasciare qualcosa. Anch'io ho giocato a fare la rockstar ventiquattr'ore su ventiquattro. Non riuscivo a essere nient'altro, e non ero un tipo simpatico. Proprio no. E' andata avanti per anni, quella storia: da metà dei Sessanta a tutti i Settanta. A un uomo serve un tempo terribilmente lungo per crescere. Non so perché, ma è così». Gli Stones vivono in una torre d'avorio? «Quando siamo on the road, sì. Ma credo che crescere, maturare, significhi soprattutto saper tornare alla realtà. Ciò può anche essere noioso: odio andare per negozi, anche se è per comprare cose bellissime e costose, e non mi piacciono i supermercati. Ma anche una piccola cosa come quella può aiutarti a ritrovare il contatto con la vita normale. D'altra parte, mi si potrebbe obiettare che sono un artista e come tale non devo sprecare il mio tempo a fare la spesa o cucinare, perché non me ne rimarrebbe per fare ciò che so davvero fare. Ma una volta scendevo dal mio aereo privato e filavo diritto in albergo, e da lì al concerto, mentre adesso esco ogni notte e vado a vedere la gente normale». E non regna più su una corte corrotta e pronta a esaudire ogni suo desiderio? Ma volnon mi riche qualcun 'inform «Penso che siano tutte storie, quelle. Da fuori, non si può immaginare che cosa significhi vivere con una valigia sempre in mano, o quanto pesi tutta 'sta faccenda della rock band. Certo, volo su jet privati, ma ciò non significa che debba essere tagliato fuori dal mondo. Quando sto a Londra, beh, alla sera ci sono ot- timi spettacoli, dove incontri persone interessanti...». Quali persone interessanti ha incontrato di recente? «Non potevo credere ai miei occhi quando mi sono imbattuto in Vaclav Havel in un aeroporto nel bel mezzo dell'Australia. Voleva salutarci. Penso che sia un tipo fantastico, uno che è stato uno scrittore dissidente e poi l'esatto opposto, un politico». I rapporti fra rock e politica oggi sono più stretti? «No. Il vero rapporto è questo: i politici vogliono farsi fotografare con le rockstar perché pensano che sia utile per le loro campagne elettorali». Le rockstar dovrebbero fare politica? «Non mi sono mai iscritto a un partito. Non ho mai pensato che un certo partito sia migliore di un altro tanto da doverlo appoggiare. Quando mi chiesero di fare qualcosa per il Labour Party, i laburisti erano molto vicini ai sindacati, molto radicali. Quando mi fecero la stessa proposta per i conservatori, c'erano alcuni punti del loro programma che non mi piacevano. Sono convinto che la signora Tatcher fosse una donna con grandi qualità, ma anche grandi difetti. Così ho preferito tenere la bocca chiusa». Che cosa pensa della Comunità europea? «Quand'ero adolescente, la mia generazione sognava un'Europa unita, volevamo farla finita con tutte le guerre e le rivalità del passato. Ma oggi mi domando se questa nuova, mirabolante unione politica ed economica abbia davvero dato qualche risultato: non direi, a parte una disastrosa politica agricola». Perché gli Stones vanno in tournée? Dovete ancora di-| mostrare qualcosa? «Buona domanda. Prima di tutto, la gente vuole vederci. Non faremmo un tour se nessuno ce lo chiedesse. E mi piace andare sul palco e fare un grande show. E' così che mi guadagno da vivere. Ovviamente non ne avrei un assoluto bisogno: ma, senza, la mia esistenza sarebbe davvero noiosa. Ogni sera, specie all'inizio del tour, mi sembra di rivivere. Non è detto che, se uno ha fatto una certa cosa una volta, non la possa mai più ripetere». Dicono che la testa di Keith Richards è piena di note musicali, la sua invece di fatture e bilanci. «Mi piace organizzare grandi spettacoli. Contrariamente a quanto pensano alcuni, non sono interessato all'aspetto economico. Quello che davvero mi eccita nel preparare uno show è l'aspetto visivo: il palcoscenico, gli effetti speciali, le luci. A quel punto, arriva il mio amministratore e mi dice: Mick, lo sai che tutto ciò ti costerà 30 milioni di dollari? E cosi sono costretto a occuparmi della contabilità: sennò gli Stones non guadagnerebbero più un soldo, e Keith sarebbe il primo a dolersene». Insomma, Mick l'affarista e Keith il musicista... E' soltanto un luogo co¬ mune? «Certamente. Cantare è la cosa più importante di me. Ma prima di cantare, prima che lo showman possa scatenarsi, è necessario un bel po' di lavoro. Non voglio che una mia esibizione non sia all'altezza degli "standard Stones", di quello che abbiamo fatto in tutti questi anni. In fon- do, è in gioco la mia reputazione, non quella degli organizzatori del tour». I gusti musicali di gran parte dei fans degli Stones sono fermi a parecchi anni fa. E qualche critico sospetta che la stessa cosa valga per gli Stones. «Un sacco di gente ama soltanto ciò che amava da giovane, e non apprezza le novità. Il problema dell'industria musicale è convincere chi ha più di 35 anni a com- fondo, asciare kstar oj ip perare i dischi; lo fanno di rado, e quando lo fanno comperano una compilation di vecchi successi degli Eagles». Quali canzoni degli Stones preferisce? «Sono tutte importanti per me; ciascuna mi ricorda qualcosa. A dire la verità, mi interessano soltanto le canzoni nuove; quelle vecchie le suoniamo soltanto quando stiamo preparando la scaletta di uno show, e vogliamo vedere se funzionano ancora». Le capita di non ricordarne qualcuna? «No. Ricordo ogni singola canzone. Almeno il ritornello e una strofa. Prendo in giro senza pietà Keith e Charlie (il batterista Charlie Watts, n.d.t.) perché non possono superarmi su questo terreno. E non importa quanto sia sconosciuta o minore la canzone...». Rimpiange gli anni passati sotto l'influenza delia droga? «Sono sempre stato abbastanza furbo da non spingermi troppo oltre. Ma quello che è successo a Brian (Brian Jones, il primo leader degli Stones morto per droga, n.d.t.) mi sembra così tragico, oggi; e la stessa cosa poteva accadere a Keith. Devono essere stati molto soli. Se soltanto fossimo stati un po' più vecchi, un po' più maturi, quel che è capitato si poteva evitare. Gente come me ha alcune certezze nella vita: la famiglia, gli amici. C'è una bella differenza fra drogarsi per puro piacere, e farlo come surrogato della vita». Negli Anni Sessanta, gli Stones potevano avere qualsiasi donna desiderassero. Che pensa delle donne, oggi? «Probabilmente le rock band usavano le donne... ma forse le donne, con i loro insaziabili appetiti sessuali, usavano noi. Non posso mettere ogni donna sullo stesso piano e dire come le vedevo allora e come le vedo oggi. E' una domanda difficile, non aggiungo altro». Ian Stewart (pianista, da sempre nel ((giro» degli Stones, n.d.t.) una volta ha detto di invidiarla, perché ha avuto una storia con Brigitte Bardot... «Peccato che non sia vero. Probabilmente lei era disponibile, ma io mi sentivo intimidito. La consideravo una divinità, non potevo "avere una storia" con lei». Il futuro della band dipende da lei, dalle sue condizioni? «Finché continueremo a creare, a comporre, cantare, fare dischi e concerti, gli Stones saranno vivi. Verrà il momento in cui non ce la farò più a correre su e giù per il palcoscenico. Mi sono sempre detto, "beh, allora la smetterò...". Ma non mi sento stanco: né di scrivere canzoni, né di cantarle». Che cosa si prova ad essere una «icona pop»? «Naturalmente mi rendo conto dell'impatto che gli Stones hanno avuto su un'intera generazione, ma non mi occupo di storia sociale. Penso che la gente ricorderà le giacche di Keith, i capelli imbrillantinati, i pantaloni a sigaretta... E la musica, certo, e come ballavamo...». Gli Stones riflettono ancora lo spirito dei nostri giorni? «Glielo dirò dopo aver scritto le prossime canzoni. Ma spero di sì. Altrimenti siamo morti». Robin Eggar Copiright «Focus» e per l'Italia «La Stampa» Mr. Rolling Stones: «Amo il palcoscenico mi fa rivivere» Ma volte la gente non mi riconosce: e succede che qualcuno mi chieda un 'informazioneper strada j j «C'è differenza fra drogarsi per piacere o per disperazione» Fare la rockstar, in fondo, significa sbronzarsi o sfasciare qualcosa. E anch'io ho giocato a fare la rockstar oj ip SPE OLI tutto: musica soldi e amori di Brigitte Bardot ' «Timido davanti a lei» 4 la vita oltre il o. Il vero rapporto è questo: i litici vogliono farsi fotografare n le rockstar perché pensano e sia utile per le loro campagne ettorali». Le rockstar dovrebbero fare politica? on mi sono mai iscritto a un rtito. Non ho mai pensato che certo partito sia migliore di un ro tanto da doverlo appoggia Quando mi chiesero di fare alcosa per il Labour Party, i laristi erano molto vicini ai sincati, molto radicali. Quando mi cero la stessa proposta per i nservatori, c'erano alcuni pundel loro programma che non mi acevano. Sono convinto che la gnora Tatcher fosse una donna n grandi qualità, ma anche andi difetti. Così ho preferito nere la bocca chiusa». Che cosa pensa della Comunità europea? Quand'ero adolescente, la mia nerazione sognava un'Europa nita, volevamo farla finita con tte le guerre e le rivalità del ssato. Ma oggi mi domando se uesta nuova, mirabolante unio politica ed economica abbia vvero dato qualche risultato: on direi, a parte una disastrosa litica agricola». Perché gli Stones vanno in tournée? Dovete ancora di-| mostrare qualcosa? «Buona domanda. Prima di tutto, la gente vuole vederci. Non faremmo un tour se nessuno ce lo chiedesse. E mi piace andare sul palco e fare un grande show. E' così che mi guadagno da vivere. Ovviamente non ne avrei un assoluto bisogno: ma, senza, la mia esistenza sarebbe davvero noiosa. Ogni sera, specie all'inizio del tour, mi sembra di rivivere. Non è detto che, se uno ha fatto una certa cosa una volta, non la possa mai più ripetere». Dicono che la testa di Keith Richards è piena di note musicali, la sua invece di fatture e bilanci. «Mi piace organizzare grandi spettacoli. Contrariamente a quanto pensano alcuni, non sono interessato all'aspetto economico. Quello che davvero mi eccita nel preparare uno show è l'aspetto visivo: il palcoscenico, gli effetti speciali, le luci. A quel punto, arriva il mio amministratore e mi dice: Mick, lo sai che tutto ciò ti costerà 30 milioni di dollari? E cosi sono costretto a occuparmi della contabilità: sennò gli Stones non guadagnerebbero più un soldo, e Keith sarebbe il primo a dolersene». Insomma, Mick l'affarista e Keith il musicista... 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