Macchina corri l'uomo vincerà di Luciano Gallino

Scienze, tecnologia e pensiero I Dai Greci al gruppo dei Beach Boys, vita nell'acqua tra erotismo, costume e letteratura Scienze, tecnologia e pensiero I Dai Greci al gruppo dei Beach Boys, vita nell'acqua tra erotismo, costume e letteratura Macchina corri l'uomo vincerà ww%\EATRI delle macchine, o di ili macchine, erano libri diffu- T 1 I si tra il Cinquecento e il Settecento che illustravano 1 Irnn abbondanza di immagini le macchine utilizzate nei più diversi tipi di lavorazione, dalla tessitura al taglio delle lenti, dalla produzione della carta alla molitura del grano. Erano dirutti a un pubblico più largo che non quello degli ingegneri, dei costruttori di macchine, ed ebbero una parte importante nella diffusione delle conoscenze tecniche che alimentò verso la fine del XVIII secolo la rivoluzione industriale. In questo senso può essere definito, a suo modo, un teatro della macchine anche l'ultimo volume della Storia delle scienze edita da Einaudi (Co noscenze scientifiche e trasferimento tecnologico, a cura di Vittorio Marchisi. E qui chi ami i circuiti autoreferenziali, gli strani anelli alla Escher o alla Godei, dove dopo aver percorso innumerevoli scale - reali, figurate o logiche - ci si ritrova da capo allo stesso punto, ha di che trovar ampia gratificazione. Innanzitutto la definizione riportata sopra (con qualche ritoccol dei teatri delle macchine si trova proprio in un capitolo del libro in parola, dedicato ai paradossi dell'attivila innovativa. Chi sa se il curatore ha progettato lui stesso questo strano anello, d'accordo con gli autori del capitolo: ma inserire dentro un libro che parla di macchine la miglior illustrazione dei libri che parlano di macchine è una trovata che mette in circuito molte altre idee. L'idea, ad esempio, che noi essere umani formiamo con le macchine davvero un teatro, e non da ieri. Un teatro dove non si sa mai bene chi siano gli spettatori e chi gli attori; o, meglio, dove esseri umani e macchine si scambiano di continuo di posto e di ruolo. Sul palcoscenico le macchine vanno e vengono, diventando di scena in scena sempre più grandi e più potenti (come le navi, gli aerei o le turbine energetiche), oppure sempre più potenti ma sempre più piccole (come gli elaboratori elettronici), o, ancora, sempre piti piccole ma sempre meno potenti (come i microrobots elaborati dalle nanotecnologie). Ma non siamo soltanto noi a osservare cosa fanno low, le attrici macchine; sono anche loro a osservare cosa facciamo noi, gli spettatori umani, e spesso a stabilire cosa dobbiamo fare o dire, rendendoci cosi attori d'uno spettacolo da esse stesse concepito. Nelle fabbriche, sin dal medioevo, sono le macchine a dettare i gesti ed i ritmi dell'uomo; è quest'ultimo che è costretto a diventare una besogne à machine, roba da macchine, non il contrario. Nei gabinetti medici e negli ospedali le macchine prima si limitano a misurare l'uomo dall'esterno, poi a fine Ottocento imparano a guardarlo attraverso (con i raggi X), infine arrivano ad esaminarlo dentro (con gli apparecchi endoscopici). Dal cielo le mongolfiere, che già verso il 1780 si innalzano a migliaia di metri d'altezza, poi gli aerei, infine le astronavi e i satelliti possono guardare agli uomini come questi a un popolo di formiche, se non anzi di microbi. E se il mio computer mi dice per filo e per se¬ gno che cosa debbo fare per archiviare in modo ordinato le mie note di lettura, rimbrottandomi con voce umana quando sbaglio, sono io che uso lui, o è lui che usa me? Ma il più avvincente degli anelli autoreferenziati chiamati in esistenza da questo teatro di macchine è quello che coinvolge, già nel titolo, scienza e tecnologia. Chi si occupa oggi di ricerca scientifica (per sua disgrazia, si ò costretti a dire), sa bene che tre quarti del suo tempo dovrà dedicarlo non alla ricerca, bensì alla compilazione di moduli; e non fa differenza che provengano da Roma, Bruxelles o Boston. In detti moduli una delle prime domande cui si deve rispondere è se la ricerca che il proponente vuol fare è (al di base, Ibi di sviluppo, o (c) applicata. Il modello mentale implicito in siffatta tripartizione è che esiste un primo tipo d'attività rivolta a produrre conoscenze die non paiono servire a niente, ina intanto descrivono come è fatto il mondo; un secondo tipo di attività che si sforza di trovare una qualche utilità alle conoscenze di cui sopra; e un ultimo tipo che riesce a trasfonderle in qualche oggetto di uso comune. La storia delle macchine mostra che tale tripartizione astratta non si regge in piedi, né ora né mai. Nella realtà scienza e tecnologia hanno interagito da sempre in modi strettissimi. In certi momenti e Paesi e settori di attività è stata la prima a sospingere la seconda; in altri fu questa a sollecitare quella, e in altri ancora è impossibile distinguere l'una dall'altra. Come avviene oggi, dove più che di scienza e di tecnologia come entità separate è sempre più spesso giocoforza parlare di tecnoscienza. Non il minore degli aspetti positivi del rutilante teatro di macchine montato da Marchis e compagni è, paradossalmente, il suo effetto rilassante. Ci sentiamo ormai un po' tutti sopraffatti dalla velocità del progresso tecnologico. Non si fa in tempo ad imparare come funziona un videoregistratore, una macchina fotografica, uno sportello automatico, o un robot da cucina, che ci si imbatte in un nuovo modello di fronte al quale le conoscenze faticosamente acquisite non servono più. Per fortuna la storia delle macchine è lì a rasserenarci mostrando che la velocità del mutamento tecnologico ha dei bassi non meno che degli alti, e che abbastanza spesso è pili apparenza che sostanza. Gli aerei attuali hanno un look ultramoderno, ma la tecnologia aeronautica ha fatto più progressi tra il 1935 e il 1945, quando si passò dal biplano al reattore, che non nei successivi cinquant'anni. Restiamo attoniti dinanzi agli sviluppi delle nuove reti di telecomunicazione, ma la storia ci ricorda che la rete di comunicazione più estesa e capillare che sia mai stata realizzata esiste da secoli, raggiunse la sua massima efficienza intorno al 1890, e dopo di allora non ha fatto che degradare in tutti i Paesi: è il servizio postale. Allora lasciamole correre, le macchine; prima o poi, anche se ci limitiamo a camminare, le raggiungeremo e saranno loro ad ansimare. Luciano Gallino

Persone citate: Einaudi, Greci, Marchis

Luoghi citati: Boston, Bruxelles, Roma