IMRE NAGY

Un crimine ancora impunito Laverà storia della farsa giudiziaria che chiuse tragicamente la rivolta ungherese: ce la svela l'ultimo superstite, Miklós Vàsàrhelyi IMRE NAGY condannato da Krusciov due anni prima dà processo HBUDAPEST 0 vissuto i momenti più dolorosi della mia vita quando, la sera del 15 giugno 1958 - dopo l'emissione della terribile e vergognosa sentenza -, ci portarono via dall'aula del tribunale ermeticamente chiusa al mondo esterno. Uscimmo uno a uno. La fila s'iniziava con un alto ufficiale della sicurezza statale: dietro di lui Imre Nagy, il primo ministro dell'insurrezione del 1956. Poi ancora un ufficiale di polizia, dopo di lui l'imputato di secondo grado e così via. Io chiudevo il corteo. Fuori della fila vidi il colonnello Sandor Rajnai, il capo dell'istruttoria, i cui ricercati abiti borghesi erano in stridente contrasto con le condizioni pietose degli imputati: con faccia impassibile, fece allineare in disparte i condannati a morte con un semplice gesto della mano. Non potemmo scambiarci neanche uno sguardo. I superstiti furono riportati nelle loro celle, i condannati a morte - sempre rigorosamente separati - vennero condotti alla periferia della città, nel carcere nazionale situato in prossimità del cimitero pubblico, in celle singole strette e nude: il braccio della morte. Qui passarono la, not^e. Imre Nagy non chiese la grazia. Pài Maléter, ministro della Difesa, e Miklós Gimes, dirigente della resistenza intellettuale successiva all'invasione sovietica, usufruirono del diritto di chiederla. Il Tribunale supremo del popolo, l'infausto organo creato dopo la sconfitta della rivoluzione per condurre a termine lo spietato regolamento di conti, non inoltrò le loro domande al cosiddetto Consiglio presidenziale, la più alta istanza del regime comunista. Fu dunque il Tribunale del popolo stesso a deliberare sul giudizio della propria sentenza. Gli altri imputati non ebbero neanche la possibilità di appellarsi. La sentenza anticostituzionale così divenne esecutiva nel giro di pochi minuti. Imre Nagy, Pài Maléter, Miklós Gimes furono impiccati all'alba del giorno dopo. Si chiuse il primo capitolo della luttuosa tragedia. Il comunicato ufficiale, pubblicato sui giornali del mattino seguente, venne accolto da rabbia e indignazione in tutto il mondo. Secondo la prassi dei regimi comunisti, ai lunghi mesi di silenzio e di segretezza seguì un torrente di menzogne. Dal novembre 1956, dalla loro deportazione in Romania, non si poteva sapere nulla su Imre Nagy e i suoi collaboratori. La polizia segreta li aveva chiusi al mondo esterno. E ora all'improvviso, dopo un anno e mezzo, si scopriva che erano stati arrestati e condannati in seguito all'organizzazione di un processo-farsa segreto. 1} testo del comunicato fu portato personalmente all'agenzia Mti da un membro della direzione del partito comunista. Le circostanze della sua nascita erano dunque chiare. Il comunicato non era stato formulato dal tribunale, ma era venuto alla luce nella sede centrale del partito. Lo stesso ministero della Giustizia seppe solo dalla stampa del 17 giugno che genere di comunicato portasse la sua firma. La tesi di base del processo era stupefacente: il legittimo governo ungherese era accusato di aver congiurato contro la repubblica e di aver commesso tradimento della patria. Per mezzo di questa pubblicazione fabbricata, l'opinione pubblica veniva a conoscenza della sorte di Imre Nagy e dei suoi compagni per la prima volta dal 24 novembre 1956, ossia dall'epoca della loro deportazione forzata. Non vi si faceva parola de! fatto che Imre Nagy e i suoi erano stati deportati in Romania, che lì erano stati arrestati dalle autorità romene e ungheresi e per un certo periodo avevano languito nelle prigioni della Siguranca romena. Nel comunicato non appariva neanche che in origine era stata elevata accusa contro dieci imputati, e dopo l'esecuzione della sentenza solo cinque di questi rimanevano in vita. Géza Losonczy era morto in carcere già il 21 dicembre 1957, in circostanze a tutt'oggi non delucidate. Più tardi si chiarì che era impazzito, che era morto durante un'alimentazione artificiale forzata e che aveva diverse costole rotte. Non risulta dalla pubblicazione che l'udienza del 9-15 giugno 1958 ormai era una recita. La prima udienza infatti s'iniziò il 5 febbraio di quell'anno e il 6 fu interrotta con un pretesto giuridico inventato. In realtà si temeva che la sentenza influenzasse sfavorevolmente il processo distensivo allora ripreso e nuocesse al partito comunista italiano prima delle elezioni. Dal testo pubblicato era come se anche József Szilàgyi fosse stato condannato a morte il 15 giugno, mentre il suo caso era stato separato ed egli era stato giustiziato il 25 aprile, per cui al momento della proclamazione della sentenza era già morto da quasi due mesi. Fu taciuto il nome dei giudici e dei procuratori, così come il fatto che i cosiddetti difensori erano tutti persone assegnate d'ufficio. Non erano stati scelti dagli imputati, ma dalla polizia politica. Più volte furono chiamati testimoni a deporre, ma erano tutti testimoni dell'accusa. Per la mostruosa sentenza, così come per le altre sentenze, che condannarono più di 22 mila persone a pene carcerarie e circa 400 a morte, fino a oggi nessuno è stato chiamato a rispondere. Il partito socialista ungherese attualmente al potere, nato da una metamorfosi del partito comunista che a quell'epoca esercitava la dittatura, non ha mai condannato questo crimine e non ha preso le distanze da esso. Formalmente il regime di Kàdàr si sforzò di affermare la tesi secondo cui l'anno e mezzo che aveva separato la deportazione e poi l'arresto dall'annuncio della sentenza era stato necessario all'istruttoria, all'indagine e all'accertamento dei fatti. Le autorità inquirenti produssero più di centomila pagine di atti in 83 volumi. Tutto questo però era solo una tragica farsa, un imbrattamento di carte tendente a creare l'apparenza della legalità. La data del processo in realtà fu decisa da considerazioni tattiche di politica interna e internazionale. La sentenza però era stata pronunciata fin dalla vigilia della seconda invasione sovietica. La notte del 3 novembre 1956, nella seduta straordinaria del praesidium sovietico (a Mosca), il nuovo governo fantoccio venne formato assieme a Kàdàr. Krusciov già in quella seduta qualificò Imre Nagy come traditore e dichiarò che i sovietici per parte loro lo avrebbero arrestato già da tempo. Tutto ciò che accadde in seguito costituì la formalizzazione di questa sentenza. In base a esperienze storiche sappiamo quali conseguenze abbia nel regime sovietico A fatto che il partito comunista definisca qualcuno come traditore e sostenga la necessità del suo arresto. La vicenda postuma del processo, durata tre decenni, fu tormentata, e gravida di conflitti. E' vero che con le amnistie proclamate nel 1960 e nel 1963 furono liberati i condannati a pene carcerarie, la maggior parte dei sopravvissuti, ma la loro vita fu accompagnata da discriminazione organizzata. Non poterono tornare al loro posto di lavoro, non poterono proseguire le loro carriere, le loro professioni originali. Molti - come l'attuale presidente della Repubblica, Arpàd Gòncz - non riuscirono mai a trovare un impiego. Si strinsero ai margini della società, riuscendo appena ad arrivare al minimo per vivere. La suddetta società peraltro non si arrischiava a correre in loro aiuto. Ma già negli Anni 70 il gruppo dei reduci del '56 iniziò a mobilitarsi. Si commemorava illegalmente il 23 ottobre, giorno dello scoppio della rivoluzione, in appartamenti privati. Intellettuali coraggiosi organizzavano seminari, nei quali - contro la falsificazione storica diffusa dalla propaganda comunista - facevano conoscere il reale svolgimento degli aweni menti del 1956. Contemporanea mente cominciava la ricerca della sepoltura dei compagni giustiziati A costoro non erano toccati neanche quegli ultimi onori che in ogni società civile spettano anche ai parricidi, agli autori dei peggiori crimini comuni. Le vittime della repressione del 1956-'59 erano state sotterrate in luoghi non identificati, come gli animali morti. Al la fine degli Anni 70 grazie alle in dicazioni dei custodi del cimitero e di guardie carcerarie congedate, si riuscì a identificare il luogo dove erano stati occultati i corpi: un an golo lontano e abbandonato del ci mitero situato in prossimità del carcere, invaso da cespugli ed erbacce. Solo qualche rialzo del terreno, qualche croce o lapide indi cava dove riposavano circa dieci giustiziati. Degli altri nessuna traccia. L'angolo del cimitero era uno squallido deserto. Quando le autorità scoprirono che avevamo individuato il luogo e che metteva ino fiori sulla tomba di qualche compagno di sventura, fecero calpestare l'intero luogo da poliziotti a cavallo. Dall'inizio degli Anni 80 andammo ormai sistematicamente a rendere omaggio il 23 ottobre, il 1° novembre e il 16 giugno, senza farci turbare dalla sorveglianza poliziesca, dal controllo dei documenti o dalie riprese filmate: si fece in noi sempre più solida la convinzione che sarebbe venuto il tempo della riabilitazione della rivoluzione del 1956 e delle sue vittime. A cavallo tra il 1988 e il 1939 il partito comunista e il governo furono costretti a cedere alla richiesta di rivelare il luogo della sepoltura e di identificare i corpi. L'autorità dapprincipio provò a chiamarsi fuori, sostenendo che il compito era irrealizzabile, perché nessuno sapeva chi e dove era stato sotterrato. Poi risultò che la direzione del cimitero aveva un preciso prospetto dei singoli luoghi di sepoltura. Nulla ormai sbarrava più la strada alla riesumazione e identificazione dei corpi, cui parteciparono antropologi ed esperti medici. A maggio, tutto era pronto per iniziare le onoranze solenni. Occorreva però affrontare ancora una dura lotta con il potere. Comprensibilmente, si volevano circoscrivere i funerali a una cerchia ristretta di persone. Alla fine dovettero rassegnarsi a che la cerimonia di addio si svolgesse nella piazza più grande e solenne di Budapest, il piazzale degli Eroi, il 16 giugno 1989, nel 31° anniversario dell'esecuzione. Alcuni dirigenti del partito comunista, il presidente del Consiglio, il presidente del Parlamento, un ministro di Stato chiesero il permesso di partecipare e di montare la guardia d'onore accanto al feretro dei dirigenti e membri del governo giustiziati. La cerimonia funebre, alla quale parteciparono un quarto di milione di persone con serietà maestosa, e che fu trasmessa in diretta dalle principali catene radiotelevisive del mondo, significò l'ammissione della sconfitta del regime comunista. Poiché la legittimità di questo regime si basava sul fatto che il 1956 era stato una controrivoluzione e i suoi dirigenti dei traditori e dei congiurati. Il 16 giugno è diventato festa nazionale. Nel prato di tombe trasformato in parco comanda il protocollo. Proclami solenni, deposizione di corone di fiori, banda militare, salve, invito ufficiale, cordone di polizia. Tra i partecipanti capita anche chi con la rivoluzione del '56 non c'entrava per nulla. Familiari, amici, compagni di sventura sull'imbrunire commemorano con un fiore gli eroi caduti e giustiziati. Miklós Vàsàrhelyi La sentenza era stata pronunciata a Mosca fin dal '56, il dibattimento cominciò nel febbraio '58 e terminò a giugno, quando alcuni imputati erano già stati eliminati A lato Imre Nagy, il primo ministro del corso riformista in Ungheria, con la figlia Sopra Nikita Krusciov

Luoghi citati: Budapest, Mosca, Romania, Ungheria