Il Rainbow Warrior torna alla battaglia del Pacifico

Il Rainbow Warrior torna alla battaglia del Pacifico Il Rainbow Warrior torna alla battaglia del Pacifico LA NAVE DI GREENPEACE UAUCKLAND SCITO dalla sala dei modellini del museo navale di Auckland, in Nuova Zelanda, un turista guarda l'imponente peschereccio color verde mela ancorato nella baia davanti a lui. «Guarda - dice alla sua accompagnatrice - ò il famoso Rainbow Warrior». Il tempo è bello, ma fa freddo; siamo nei giorni più corti dell'anno, in quest'inverno dell'emisfero Sud. Sul battello, un equipaggio di Greenpeace (la «pace verde») si prepara a una nuova missione a lungo raggio: Tahiti, Mururoa, dove, come dieci anni fa, il Rainbow Warrior intende incrociare per protesta contro la ripresa degli esperimenti nucleari fancesi. A osservarlo da vicino, questo peschereccio, con i suoi tre alberi, è più imponente del precedente, colato a picco da due cariche esplosive dai servizi segreti francesi il 10 luglio 1985. E le colombe della pace che decoravano la prua del primo sono state sostituite da delfini. Ma il fascino è lo stesso, con quel «Greenpeace» scritto a grandi lettere sulle fiancate. «Non è quello che hanno af- fondato, e completamente nuovo» spiega il guardiano. «Se volete saperne di più - aggiunge - stasera in tv sentite Dominique Prieur». Scettici, i turisti - americani scrollano le spalle; probabilmente si domandano chi sia mai questa Dominique Prieur, perché il guardiano ne parli cosi... Dominique Prieur era l'ufficiale dei servizi segreti francesi, incaricata assieme a Alain Mafart - si facevano passare per i coniugi Turcnge della parte logistica dell'operazione. Nella memoria collettiva della Nuova Zelanda, «quello fu senza dubbio uno degli eventi più importanti, se non il più importante in assoluto, della storia contemporanea del Paese», secondo Stéphanie Mills, responsabile por le questioni nucleari di Greenpeace International. E spiega, nel piccolo e ben attrezzato ufficio che occupa nel sottoponte del battello: «Il fatto è che la Nuova Zelanda, questo piccolo Paese ai confini del mondo, noto per il suo pacifismo, è stata teatro di un atto di terrorismo di Stato, per di più da parte di una nazione "amica". Una cosa che questo Paese non potrà mai perdonare del tutto». L'approssimarsi dell'anniversario ha dato occasione a numerose manifestazioni e documentari televisivi di rievocazione. Con qualche capello bianco in più, la maggior parte dei poliziotti citati nel libro di Dominique Prieur, «Agente segreto», sono ancora del mestiere. Al commissariato centrale della polizia di Auckland, il comandante Alan Galbraith è a pochi giorni dalla pensiono. Ammette che quel caso rappresentò per la sua carriera «qualcosa di speciale». «Non capita tutti i giorni che vi diano carta bianca per agire, e che precisino: con tutti i mezzi necessari!», esclama. Maurice Withman, numero due dell'inchiesta, mostra nella stanza accanto al suo ufficio alcuni dei mezzi di prova che furono presentati al processo: fra essi il gommone usato per avvicinare il Rainbow Warrior, con il motore comprato in Inghilterra e arrivato in Nuova Zelanda a bordo dell'Ouvéa (il veliero noleggiato in .Nuova Calcdonia dagli agenti francesi, che con esso portarono ad Auckland il materiale necessario al sabotaggio); il passaporto svizzero del sedicente Alain-Jacques Turenge, che «persino il consolato svizzero trovò quasi irriconoscibile da un vero passaporto elvetico»; varie schegge delle bombe che affondarono il Rainbow Warrior, e una serie di foto di agenti segreti, Alain Mafart e Dominique Prieur naturalmente, ma anche i membri dell'equipaggio dell'Ouvéa. La maggior parte di questo materiale è stato mostrato al pubblico per la prima volta alla fine del mese di maggio. In quell'occasione l'ufficio neozelandese di Greenpeace ha organizzato un seminario, col concorso di quattro ufficiali di polizia. Uno di essi ha detto che «gli agenti francesi si sono fatti scoprire a causa della loro scarsa conoscenza del nostro Paese. Non sapevano che il nostro sistema telefonico registra tutti i numeri chiamati - la Prieur telefonò a Parigi per annunciare l'avvenuto affondamento, ndr Quando se ne sono resi conto, sono crollati». Alla vigilia del seminario, Alan Galbraith ha dichiarato a un quotidiano di Wellington che «fin dall'inizio, la pista francese ora talmente evidente che la polizia di Auckland pensò a una montatura». Galbraith lamenta che la giustizia non abbia fatto il suo corso fino in fondo. Solo Dominique Prieur e Alain Mafart sono stati arrestati e giudicati (hanno subito una breve condanna per concorso in omicidio, a morire fu un giovane portoghese di Greenpeace che si trovava sul battello, ndr). Il dossier fu chiuso dopo tre anni, quando il governo di Wellington decise di rinunciare alla domanda di estradizione dei membri dell'equipaggio dell'Ouvéa. Florence de Changy Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa»

Luoghi citati: Inghilterra, Italia, Nuova Zelanda, Parigi, Wellington