Pannella «divora» gli ultimi figli

Pannella «divora» gli ultimi figli Pannella «divora» gli ultimi figli Da Rutelli a Taradash, tutti gli abbandoni FUGA DAL LEADER PADRE AROMA UGURI» dal sapore asprigno e dal tono pungente. Li rivolgo Pennella ai «disertori» Marco Taradash, Peppino Calderisi, Elio Vito e Francesca Scopelliti, tutti e quattro assenti all'assemblea dei club che portano il nome del leader radicale, e già approdato, il primo, in altri lidi, quelli della «convenzione per la riforma liberale» promossa da Giuliano Ferrara e da un gruppo di intellettuali in odor di berlusconismo. «Tanti auguri», a denti strettissimi: il capo del pr prende atto che «è nato un nuovo soggetto politico di fondisti che scrivono belle cose». «Ma - avverte, sferzante e ironico, Pannella - non passi per l'anticamera del cervello di nessuno di loro di poter fare le formiche operaie o la lotta partigiana per tutta la vita, come abbiamo fatto noi. Comunque adesso potremo marciare divisi per colpire uniti». Si defilano altri quattro radicali, di cui tre - Taradash, Vito e Calderisi - rigorosamente «doc». Il loro gesto era nell'aria, dopo le virulente litigate di questi ultimi tempi (quella, per esempio, sulla decisione di presentare, in autonomia dal Polo, le liste Pannella alle regionali), e soprattutto dopo i silenzi rancorosi che sono seguiti ad ogni alterco. Ora si dirà, secondo un'aneddotica assai in voga, che Marco «padre padrone» ha perso per l'ennesima volta i suoi «figli», che li allontana lui, che se ne disfa, incosciamente, perché li vuole «annientare». Ma non è cosi: tutta la storia del Partito radicale ò costellata di «microscissioni», di fughe silenziose o gridate, e ad andarsene non sono solo le «creature» di Pannella, anche i suoi «parigrado» nel corso degli anni gli hanno detto addio. Lo ha fatto, per esempio, clamorosamente, nell'89, Mauro Mellini. che con Marco aveva fondato il pr. «Hai ucciso il partito, lo hai demolito», gli gridò. E glielo ripetè per iscritto. Feroce la risposta di Pannella: «Caro Mauro, mi hanno chiesto se questa tua lettera comporta le tue dimissioni. Assunte le doverose informazioni ho risposto che non poteva comportarle per la buona ragione che non sei iscritto quest'anno al pr». E Spadaccia e De Cataldo sono altri due «radicali storici» che sono andati via. Poi c'è Bruno Zevi, che non ha fatto atti di rottura, ma che si è stancato delle rutilanti avventure politiche di Pannella, con cui spesso e volentieri, in questi anni, ha litigato. Quanti ne sono fuggiti dal partito radicale. Militanti, come Massimo Teodori e Adelaide Aglietta. O «frequentatori occasionali», come Domenico Modugno, che nel 90 ruppe con Pannella e si fece eleggere alle amministrative di Agrigento con il pei, e quattro anni dopo insultò il leader radicale dandogli del «buffone» perché stava con il Polo. C'è pure chi è andato, tornato, e adesso è a metà del guado, come Giovanni Negri. Una lista infinita, quella dei transfughi radicali, dove ci sono «figli di Marco» dai nomi eccellenti: il sindaco di Roma Francesco Rutelli, per esempio. Con cui Pannella si è «beccato» molte volo. Sì, perché qualcuno, andandosene ha fatto fortuna. E il leader del pr, quando li vede scappar via, fa finta di niente, ma non lo tollera. Al primo cittadino della capitale diede lui l'«ok» ad involarsi per portare, nell'89, il «seme radicale» tra i verdi. Dopo ci ripensò. Lo definì, ridendo, Galeazzo Ciano, però nel periodo in cui sosteneva la sua corsa a sindaco, dimenticò di aver pronunciato quella battuta e smentì i giornalisti che la riportarono. E quando Calderisi, Teodori e Negri tentarono 1 avventura della lista Giannini, lui commentò sarcastico: «Non sa¬ ranno eletti e mi dipiace soprattutto per Negri. Gli altri due hanno un lavoro: Massimo è professore, Peppino un ingegnere, Giovannino invece un mestiere non ce l'ha». Non solo, in sovrappiù avvertì Giannini di non fidarsi troppo di quei tre. Pure per questa ennesima «separazione», Pannellla mastica amaro. Anche se doveva aspettarsela. Doveva prevedere, per esempio, che Calderisi prima o poi avrebbe mollato gli ormeggi. Con il vice presidente dei deputati di Forza Italia, infatti, i rapporti sono conflittuali da tempo. Da quando, nel '91, Calderisi escogitò il referendum elettorale che due anni dopo avrebbe cambiato il volto della politica italiana. 11 leader radicale non ne volle sapere, lasciò la partita nelle mani di Segni (che grazie a questo divenne famoso) e cambiò idea solo all'ultimo. E nel suo diario, nell'aprile del '91, Calderisi appuntò: «L'atteggiamento di Marco per me è poco comprensibile e comunque inaccettabile». Ora che si sente liberato dal giogo di Pannella, il «radicalforzitalista» spiega: «Marco non è adatto al maggioritario, lui andava bene con il proporzionale. Eppoi è malato di protagonismo». E Taradash ripeto spesso che lui Pannella non lo capisce più: «E' impazzito». E adesso, dunque, le truppe pannelliane in Parlamento si sono notevolmente assottigliate: alla Camera i fedelissimi sono due, Paolo Vigevano e Lorenzo Strik Lievers, al senato uno solo, Sergio Stanzani. Ma perché sono in così tanti a fuggire dal partito radicale? Teodori nel 90 illustrò una sua teoria che sembra avere un fondamento di verità: «Il problema spiegò - è che Marco non ha mai apprezzato a sufficienza le battaglie e gli impegni che non fanno capo direttamente a lui». E' per questo, dunque, che alla fine, scappano. Perché Pannella è il «padre padrone» di un unico figlio: il partito radicale. Ed è quell'unico figlio che Marco uccide, risuscita, e uccide ancora. Maria Teresa Meli Teodori: la verità è che Marco ama una sola creatura che uccide e risuscita: il suo partito radicale Peppino Calderisi In alto: Marco Taradash e il sindaco di Roma Francesco Rutelli con Marco Pannella in una foto di qualche anno fa

Luoghi citati: Agrigento, Roma, Vito