Parliamo di questa benedetta moschea

Parliamo di questa benedetta moschea Parliamo di questa benedetta moschea I OME si può impe- dire a un uomo di pregare? Voglio dire pubblicamente, alla luce del sole, non nelle viscere delle catacombe o nella verticalità della propria anima. Come presumere che una fede viva non senta il bisogno di un tempo comunitario, il tempo della coesione e della mutua carità? Purché accetti le leggi non discriminanti, non punitive del *patto sociale, non predichi l'odio e la sopraffazione, non pretenda di imporre ad altri l'immagine che si è fatta del volto cangiante di Dio. Sono vecchi discorsi vecchissimo per certi aspetti è il mondo - che si ripropongono davanti alle discussioni e ai malumori che hanno accompagnato l'inaugurazione a Roma della grande moschea. Per certi cattolici all'antica - e non parlo di quelli che sognano gli stendardi di Lepanto - il tempio di Allah può sembrare una offesa, provoca disagio. Si ha un bell'obiettare che tante piccole, miserabili moschee (vogliamo chiamarle dantescamente ineschile?) sono sparse ormai per tutta la Penisola, che in certe baracche e stanze di condominio si stende il tappetino e si prega in direzione della Mecca. Roma, per quanto irriverente e profana, rappresenta pur sempre il simbolo della cattolicità, di un Cristo che con Paolo si è latto «romano». Ed è indubitabile che, per la sua prossimità al soglio papale, per la profusione di mezzi con cui è stata edificata, la moschea, la più grande d'Europa, rappresenta una sfida. Soprattutto nella prospettiva di grandi, future, immigrazioni. Ciò ammesso, va detto che è bene raccogliere la sfida, e che proprio nel suo accoglimento va individuato, con gli occhi di chi crede, il seme di una possibile vittoria, aperta a tutti gli uomini di buona volontà. Essa consiste nella superiorità di chi rispetta, in nome di Dio, la diversità delle culture e delle credenze, di chi si è lasciato alle spalle il tempo in cui si imponeva la Croce alla moschea di Cordova e la mezzaluna a Santa Sofia. Seguendo l'insegnamento magnanimo degli ultimi pontefici e senza piegarsi, per questo, ad un improponibile sincretismo o deismo. Recitando magari il Rosario, non por invocare artificiosa barriere contro l'islamismo, ma per fortificare è rendere più visibile la propria fede. La moschea di Roma può diventare (almeno ce lo auguriamo) un segno di contraddizione tra il mondo musulmano inquinato dal fanatismo, un ammortizzatore di sospetti e tensioni, un punto fermo per reclamare un uguale trattamento per tutte le religioni nei Paesi arabi. E' un compito di sensibilizzazione che spella in primo luogo alla Chiesa, alla sua saggezza, al suo spirito di adattamento, al soffio originale che dovrebbe animarla. Spetterebbe anche alla comunità dell'Occidente, alle nazioni che si fanno vanto di professare, laicamente, la religione della libertà. Ma non c'è da farsi troppe illusioni. Mai fidarsi dei «bracci secolari» che, in passato, hanno servito la Chiesa, ne hanno assecondato le pretese assolutistiche e le devianze a fini propri, per surrettizia volontà di potenza. Ed ora che si sono emancipati, continuano a battere la via degli interessi concreti, vengono meno agli stessi valori che ne fondano la legittimità e l'eticità. Non si tratta soltanto di barattare una moschea con una chiesa o una sinagoga, ma di battersi senza colpevoli silenzi e complicità perché si rispetti dappertutto la libertà di coscienza. Si tratta, ad esempio, di non utilizzare le differenze religiose dell'ex Jugoslavia per acquisire vantaggi economici o politici, di non voltare gli occhi dallo spaventoso massacro che si consuma da anni in Sudan contro le popolazioni non musulmane. La moschea di Roma non può diventare, per nessuna parte, il coperchio di queste sgradevoli, maleodoranti realtà. Lorenzo Mondo ■do j

Persone citate: Cordova, Lepanto, Lorenzo Mondo

Luoghi citati: Europa, Jugoslavia, Ome, Roma, Santa Sofia, Sudan